L’Integrale, quando il pane è il pretesto per raccontare le cose del mondo

L’Integrale, quando il pane è il pretesto per raccontare le cose del mondo

di Massimiliano Ferrari

Il pane accompagna da sempre il cammino dell’uomo su questo pianeta. È stato e continua ad essere presenza costante durante le guerre, in tempo di pace, nelle carestie e nelle rivolte, nei festeggiamenti e nelle cerimonie. Il pane sembra esserci sempre stato, immutabile e infinito allo stesso modo, declinato in mille versioni e svariate varianti tante quante le mani che l’hanno amalgamato.

Penso che il pane sia una delle poche cose a cui ognuno di noi attribuisca un significato e un significante. Tutti, credo, se scavano nel proprio vissuto, nei ricordi e nelle esperienze alla fine trovano un gancio emotivo con il pane. Un elemento bifronte che porta con sé cultura materiale e immateriale.

A me personalmente, se indugio con la mente sul concetto-pane, vengono in mente schegge incomplete e frammenti intimi di qualcosa che mi lega a quello strano miscuglio di acqua, farina e lieviti. Scorribande notturne che finivano spesso alla porta secondaria che dava su qualche forno a mangiare pizze e focacce ricostituenti, mia nonna che stendeva le micche di patate su una vecchia asse di legno annerita dove venivano tenute al caldo da una coperta di lana. Fare una tassonomia del e sul pane mediato attraverso racconti personali e storie universali diventa un esercizio inesauribile.

Questo inizio zoppicante, sospeso fra ricordi personali e sociologia spicciola del pane, serve solo per contestualizzare l’oggetto di questo pezzo ovvero una rivista dove pane e cultura cercano un intreccio, una simbiosi dove l’uno si nutre dell’altra e viceversa.

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L’Integrale è questo, un prodotto editoriale nato dalle mani, è proprio il caso di dirlo, e le menti di un gruppo eterogeneo di persone che ha intuito le potenzialità di un racconto della realtà mediato dal pane e dal quale si dipanano mille rivoli che portano ad altrettante storie. Parte dal pane, perché il pane è così antico che a divagare lungo la sua storia si finisce per ricostruire anche la nostra. Così è scritto nella prima pagina di questa intrigante scommessa editoriale.

Ma cosa troviamo dentro l’Integrale? I pezzi hanno il respiro lungo e meditato del giornalismo di qualità, longform che non si esauriscono in una lettura svogliata e veloce ma guardano al pane come un continente sconosciuto da attraversare seguendo percorsi lontani e diversissimi fra loro.

L’Integrale vede la luce in questo disgraziato 2020. La prima particolarità che salta all’occhio è che nasce in sinergia con un panificatore illuminato, Davide Longoni, che è a tutti gli effetti editore del periodico.

In un periodo in cui la stampa di qualità cerca nuovi modelli per sostenersi e forme alternative di business, quello dell’Integrale è un esempio da seguire. Un’idea vincente, dove un gruppo di persone, a guidare ci sono Diletta Sereni come curatrice editoriale e Gianluca Cannizzo art director, riunite intorno ad un progetto culturale unico e stimolante hanno trovato una cosiddetta terza via per la pubblicazione.

Anche la rete distributiva affronta nuove strade. Oltre a librerie specializzate e il sito della rivista dove acquistare la rivista, sono tanti i panifici sparsi per l’Italia che hanno fatto spazio nella propria vetrina per inserirne qualche copia.

Ho scambiato qualche riflessione con Diletta Sereni che dell’Integrale è ideatrice e curatrice.

Iniziamo dai fondamentali. Che cos’è l’Integrale?

L’Integrale è una rivista cartacea quadrimestrale sulla cultura del pane. Per spiegare in breve la linea editoriale abbiamo collaudato questa frase: il pane è orizzonte e pretesto per raccontare le cose del mondo.

Quando nasce l’idea di una rivista che abbia al centro il pane e gli innumerevoli collegamenti culturali che genera?

In concreto nasce all’inizio del 2020, da una chiacchierata tra me e Davide Longoni, noto panificatore di Milano che poi è diventato l’editore della rivista. L’intento era fare una rivista di cultura sul pane, che potesse essere letta da chiunque, non solo dagli appassionati di pane.

Che idea ti sei fatta di questo movimento di panificatori consapevoli, spesso giovani, con una forte etica di come dovrebbe essere il pane che consumiamo tutti i giorni?

Ammiro molto la loro capacità di fare rete, di mettere in comune idee e conoscenze (da poco è uscito il manifesto della rete PAU, Panificatori Agricoli Urbani). Anche loro fanno un lavoro culturale perché devono spiegare alle persone, ogni giorno, perché un filone di pane costa il doppio o il triplo di quello che sono abituate a pagare nei supermercati o nei panifici che assecondano la filiera industriale. Devono spiegare il valore delle farine, del grano, del tempo della lievitazione, e devono spiegare tutto questo senza allontanare le persone. Se la consapevolezza sul valore del pane sta crescendo è in gran parte grazie a loro. Resta un movimento ancora molto legato alle città; nei prossimi anni bisognerà portare tutto questo nella meravigliosa provincia italiana.

Domanda leggermente fuori contesto. Avendo scritto molto di vini naturali, vedi un rapporto fra il mondo dei vignaioli e quello di questi panificatori sospesi fra tradizione e innovazione?

Certo, entrambi recuperano una cultura agricola e artigianale che è stata quasi dissolta dall’affermarsi del cibo industriale, però lo fanno con un bagaglio di conoscenze che è contemporaneo. Il loro non è il pane di una volta, il vino di una volta: è una retorica diffusa e seducente, ma è fuorviante perché rischia di relegarli a una nicchia nostalgica. Il vero tratto identitario di questi “movimenti”, se li vogliamo chiamare così, è il rispetto profondo per la materia prima e il paesaggio in cui cresce, che non è una cosa religiosa e astratta, ma una ricerca concreta e quotidiana nel costruire i propri prodotti in modo che raccontino gli ingredienti di cui sono fatti e preservino i luoghi e le persone che li coltivano.

Questa forma di editoria ibrida è una cosa del tutto nuova in Italia, mentre all’estero, penso al caso di Noble Rot, è una pratica più diffusa. Pensi che il vostro progetto possa essere ispiratore di altre situazioni simili?

Non a caso Noble Rot è stato uno dei riferimenti per mettere in piedi l’Integrale… Oltre, tra gli altri, a Pipette e The Passenger, che però hanno alle spalle strutture molto diverse. Spero che l’Integrale sia ispiratore di operazioni simili, ma perché venga replicata altrove bisogna che esistano altri finanziatori pronti ad accettare il carattere puramente editoriale dei contenuti della rivista che supportano, e capiscano che portarli verso sponde più commerciali o promozionali della propria attività finirebbe per indebolirli. Davide Longoni è un convinto sostenitore di questa vocazione editoriale pura, anzi il difficile è semmai contenere tutti i suoi spunti di ricerca e approfondimento. Ma quanti Davide Longoni esistono là fuori?

Ho letto con interesse i diversi pezzi del primo numero e uno dei punti di forza è sicuramente l’eterogeneità dei contenuti. Qual è il criterio di scelta di cosa pubblicare?

I criteri, detti in astratto, sono la solidità dei contenuti, l’originalità del taglio e la qualità della scrittura. Insisto molto sulla qualità della scrittura, perché sarà importante tanto quanto i contenuti. La maggior parte dei pezzi sono longform di vario genere: saggistici, narrativi, giornalistici; si va da approfondimenti scientifici a memoir personali. Mi piacerebbe avere un racconto (nel senso di fiction narrativa) a numero. Le firme saranno quelle di esperti di pane o di temi gastronomici, ma anche e soprattutto di autori e autrici che non hanno mai scritto di cibo. E poi c’è anche una rubrica riservata ai panettieri. Non penso all’Integrale come a una rivista specializzata o tematica: è una rivista letteraria che esplora la cultura del pane e le connessioni tra il pane e i fatti umani. Mi va bene che sia considerata un oggetto strano.

Sono da sempre un sostenitore del fatto che oltre all’interesse suscitato da quello che viene scritto una rivista dev’essere anche bella da vedere e da toccare. In questo senso qual’è il contributo di Gianluca Cannizzo allo sviluppo dell’Integrale?

Gianluca è art director e autore delle illustrazioni, l’ho coinvolto subito, nelle prime fasi di gestazione del progetto, quando ancora non sapevamo se si sarebbe realizzato. Come potrai immaginare, anche per lui è cruciale che la rivista sia bella da vedere e da toccare, così come per Elisa Cusimano, che ha curato l’impaginazione. Ciò che apprezzo in particolare del suo lavoro è che gli interessa più la vitalità di una pagina, rispetto alla sua correttezza formale. E che la sua idea di bellezza non è estetizzante ma gioiosa, non distaccata ma concreta. C’è sempre un lieve umorismo che avvolge i suoi personaggi e le sue figure, un’atmosfera di gioco dove far respirare una scrittura impegnata.

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Massimiliano Ferrari

Diviso fra pianura padana e alpi trentine, il vino per troppo tempo è quello che macchia le tovaglie alla domenica. Studi in editoria e comunicazione a Parma e poi Urbino. Bevo per anni senza arte né parte, poi la bottiglia giusta e la folgorazione. Da lì corsi AIS, ALMA e ora WSET. Imbrattacarte per quotidiani di provincia e piccoli editori prima, poi rappresentante e libero professionista. Domani chissà. Ah, ho fatto anche il sommelier in un ristorante stellato giusto il tempo per capire che preferivo berli i vini piuttosto che servirli.

3 Commenti

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Nelle Nuvole

circa 3 anni fa - Link

Qualsiasi prodotto che sia fatto di carta stampata, di immagini e di bella forma avvolgente buon sostanza, merita un applauso in piedi. Poi merita un inchino per il coraggio e la testardaggine di esporsi, anche economicamente di questi tempi. Confesso di non avere idea di chi sia Davide Longoni, abito in campagna e mio marito è il panificatore casalingo. Mangio pochissimo pane, anche se è l'alimento principale che porterei su di un'isola deserta, ma ho letto questo bel post masticandolo a piccoli pezzi, come va fatto con il pane.

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Giuseppe

circa 3 anni fa - Link

Troverai facilmente informazioni e notizie circa Davide cercando in rete. Io ho la fortuna di averlo conosciuto di persona abitando vicino. Oltre 10 anni or sono mia moglie mi regalo` un "corso di panificazione domestica" di SlowFood tenuto da lui (gia` da qualche anno mi dilettavo in casa come tuo marito). Fu davvero interessante, il corso e fare la sua conoscenza. Comunque sono sicuro di personaggi come lui l'Italia sia piena per cui certamente anche dove abiti tu ci sono ancora panificatori (o panificatori di "ritorno" come Davide) appassionati che vale la pena conoscere, se non altro per assaggiare le loro creazioni!!! Buona giornata a tutti Giuseppe

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Nic Marsél

circa 3 anni fa - Link

Il pane è la storia del mondo. Speriamo sia anche il futuro. Se dovesse capitarvi di passare dalla brianza fate un salto a Carate, al panificio dei fratelli Longoni, da dove Davide è partito. Un luogo fuori dal tempo in un edificio che sembra costruito attorno al forno. Prevedete una lunga pausa. E provate ad assaggiare tutto se ce la fate. Se c'è Zorro meglio ancora.

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