In ricordo di Giuseppe Benanti

In ricordo di Giuseppe Benanti

di Francesca Ciancio

Ero sull’Etna quando, tre giorni fa, ho saputo della scomparsa di Giuseppe Benanti, per tutti il Cavaliere Benanti. Nei tre giorni di degustazione che ho fatto alla cieca, uno dei suoi vini, il Contrada Rinazzo (bianco da uve carricante), spiccava sempre per bontà ed eleganza. Come l’iconico Pietramarina, uno dei bianchi più famosi d’Italia, l’etichetta che ha fatto conoscere l’Etna prima che l’Etna diventasse il place to be dell’enologia italica. Sulla pagina Facebook dell’azienda c’è un bellissimo ricordo lasciato dai figli Antonio e Salvino che vale la pena leggere*.

Il Cavalier Benanti era un uomo che amava profondamente la vita e il vino era solo uno dei suoi tanti amori. Viscerale, ironico, anche fumantino, proprio come il vulcano siciliano. Uomo di successo nel mondo dell’imprenditoria, grazie all’impegno in campo farmaceutico e poi con la nascita della Cantina Benanti a Viagrande alla fine degli anni ’80.

Incontrarlo era sempre motivo di allegria e di arricchimento. Non era sempre facile “arginarlo” perché aveva sempre così tanto da dire e la cosa fantastica è che si poteva conversare di tutto con lui: fotografia, moto, viaggi, moda, cucina. Il baciamano era d’obbligo, parlava un francese perfetto, era charmant senza essere mai rigido, aveva mille storie da raccontare sulla Sicilia, si divertiva anche a condividere innocui pettegolezzi con l’obiettivo di strapparti un sorriso. E ci riusciva sempre.

Era confortevole incrociarlo a fiere ed eventi, perché sapevi che con lui c’era sempre il tempo di una chiacchiera spensierata e di un sorriso. Il vino era per lui una cosa seria, ma non seriosa. Era il futuro di una Sicilia radiosa e vincente, l’isola che con orgoglio ha portato in giro per il mondo.
Sarebbe fuorviante ricordarlo come un “uomo di altri tempi” perché Giuseppe Benanti è stato un uomo del suo tempo, con tutte le contraddizioni della contemporaneità. Sarebbe stato bello incontrarlo ancora, saperlo tra noi ancora a lungo, ma ha avuto una vita invidiabile per intensità e ricchezza. La sua infinità curiosità è, a mio avviso, il suo grande lascito.


* Questo il bellissimo messaggio su Facebook dei figli di Giuseppe Benanti.

“Ieri ci ha lasciato Papà, il Cavaliere del Lavoro Giuseppe Benanti, fondatore, ispiratore e faro della nostra azienda vinicola.
Chi gli ha voluto bene, potrà salutarlo sabato 4 febbraio alle ore 10:30 nella Chiesa Madre di Viagrande.
Molti hanno conosciuto l’imprenditore. Noi vorremmo raccontarvi anche l’Uomo, rendendogli omaggio.

Papà è nato nel 1945, nell’immediato dopoguerra, unico figlio maschio di una famiglia numerosa e molto tradizionale. Suo padre Nino, farmacista e gran lavoratore, era sempre in doppiopetto e scarpe lucide e profumava di “colonia e spezie di farmacia”. Sua madre Angelina era invece incaricata di gestire la Famiglia, fondando tale gestione su buona cucina, affetto e belle riunioni domenicali coi tanti parenti. Casa in centro storico, vicino al Duomo. Villeggiatura a Viscalori, frazione di Viagrande.

In questo contesto borghese, Papà avrebbe potuto vivere senza mai mettere piede fuori dalla propria cerchia…. ma lui era diverso, voleva conoscere tutto e tutti. Voleva vedere il mondo non solo oltre lo Stretto, ma oltre l’Italia e l’Europa.

Questo suo modo di essere, la sua infinita energia e la sua curiosità lo hanno portato a vivere gli anni d’oro dell’Italia (’70, ’80, ‘90, ‘00) da protagonista. Ha sì accettato il “consiglio” di suo padre di studiare farmacia, perché un giorno ci sarebbe stata da co-gestire la piccola azienda di famiglia, ma in parallelo ha sviluppato una serie di interessi variegati, dai viaggi (fino a Londra in auto a vedere i Beatles), alla fotografia (specializzato in ritratti, tanti i concorsi vinti), al canottaggio (con il suo amico Pio), ai motori (infiniti i pomeriggi passati a truccare moto da “Nino Gilera”) e, piano piano, al vino.

Il suo percorso nel mondo farmaceutico lo ha portato molto presto a capire che un buon prodotto, senza comunicazione, non può fare strada. Disse a suo padre che voleva “fare marketing” e suo padre, rassegnato, gli disse “OK, prova, ma sono solo americanate”. Il suocero Salvino invece lo incoraggiò. Papà imparò dunque l’inglese da solo, aggiungendolo al suo già buon francese appreso a scuola, cominciò a leggere libri di guru della gestione d’impresa, frequentò seminari e portò tutto questo nell’azienda di famiglia.

Amante della montagna, ha passato tante estati sulle Dolomiti, finendo per conoscere, lì, tanti imprenditori illuminati da cui trarre ispirazione, fra un sigaro ed una grappa… e portando poi in Sicilia cose nuove.

A metà anni ’80 capì che si poteva crescere e decise di costruire uno stabilimento nuovo. Gli vennero offerti terreni in Lombardia e nel Lazio ma lui voleva creare benessere qui e decise di costruire – letteralmente “in mezzo alla sciara” di Lavinaio – un plesso modernissimo, spostando contro ogni legge dell’economia l’epicentro del settore dell’industria oftalmologica italiana ai piedi dell’Etna, dando vita ad un’impresa futuristica che occupava ed ancora occupa centinaia di persone e che per anni è stata leader di settore. Tante famiglie lo portano quindi nel cuore anche per questo.

Fra i primi in Sicilia, Papà ha adottato politiche di Welfare moderne. La sua azienda era fatta in gran parte di giovani, con una lieve maggioranza di donne, e le neolaureate incinte venivano ad esempio assunte senza indugio e subito mandate in maternità affinché potessero “stare serene”. Al rientro in azienda, loro ed i colleghi trovavano non solo un lavoro stimolante in un’azienda leader ma anche un Asilo Nido, una Scuola per l’Infanzia, un parco, un laghetto, un fitness center. Alcuni dicevano che questi erano solo “sprechi” ed “inutili costi”, mentre lui giustamente li considerava investimenti nel benessere dei suoi collaboratori. Ha sempre scritto la parola “Persone” con la “P” maiuscola, perché le considerava il bene aziendale principale.

Ci ha sempre detto che l’imprenditore non deve lavorare per diventare ricco, ma per far diventare ricca la Comunità a cui appartiene. Per lasciare un segno.
Non era una persona di numeri, era un inguaribile sognatore che non si adattava al contesto, lo creava lui! A chi gli diceva di stare coi piedi per terra rispondeva che preferiva provare a volare.

E così ha fatto anche nel mondo del vino. Giunto a 43 anni di età, ha ripreso una passione di suo nonno Giuseppe, mettendosi in testa di valorizzare i vitigni etnei. Ci disse:”Non so quanti anni ci metterò, ma questa terra e queste uve sono eccezionali, e lo è anche la nostra cultura contadina, e voglio che tutto il mondo lo sappia”. Noi pensiamo che ci sia riuscito.

Ha volato alto, altissimo, sempre curioso di sapere cosa avrebbe trovato dietro il prossimo angolo. Il suo motto era “Guardare avanti, vedere oltre!”. Non lo abbiamo mai visto sfiduciato né scoraggiato, anche quando, nei suoi progetti, ci credeva solo lui.

Circa dieci anni fa, su spinta di noi figli, la nostra famiglia concluse la propria esperienza nel mondo del farmaco, cedendo le proprie quote societarie, per potersi concentrare al massimo sul vino, che rappresenta secondo noi il futuro della Sicilia.

Papà ci disse subito:”Prendete voi le redini dell’azienda vinicola, io ho quasi 70 anni e se vorrete vi darò qualche consiglio, ma sono certo che voi saprete meglio di me leggere il futuro”.

Il resto è storia…
Papà ha vissuto 77 anni in corsia di sorpasso, ha immaginato cose che altri non avrebbero mai immaginato, ha percorso tante strade, molte delle quali giuste. E’ diventato Cavaliere del Lavoro, Accademico dei Georgofili e Commendatore dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, ma riusciva a passare da un’udienza col Papa alla grigliata contadina in campagna restando sempre se stesso.

Era etneo, amava il nostro vulcano, la vigna, la nostra azienda vinicola. Per venticinque anni, prima di passarci il testimone, ha portato “l’Etna, Isola nell’Isola” in ogni angolo del mondo, lasciando in tutti un bel ricordo e tante nozioni, convogliando non solo informazioni tecniche ma soprattutto emozioni. Al Vinitaly, poi, era un’attrazione per tutti. In cantina, invece, un severo assaggiatore. E’ lui che ha ideato lo stile elegante dei nostri vini. Il suo palato era incredibilmente fine.
In tanti lo hanno apprezzato e stimato. Oggi non è più fisicamente con noi ma ci lascia una tale eredità etica, e talmente tanti strumenti morali e pratici per affrontare la vita, che è come se fosse ancora qui.

Noi lo onoreremo sempre.

Antonio e Salvino Benanti”

1 Commento

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daniele cernilli

circa 1 anno fa - Link

Lo piango come un amico quale è sempre stato per me. L'ho sentito per telefono l'ultima volta quando ci siamo fatti gli auguri per le festività. Avrò sempre nel cuore le tante volte che ci siamo parlati e la stima reciproca e l'affetto. Sono molto triste.

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