In guardia, nobilastri! Fabio Motta è il Robespierre di Bolgheri. (Bonus: Le Gonnare in verticale)

In guardia, nobilastri! Fabio Motta è il Robespierre di Bolgheri. (Bonus: Le Gonnare in verticale)

di Tommaso Ciuffoletti

Per quanto lo vedrei bene vestito da sanculotto, con le ciabatte Haflinger al posto degli zoccoli, dire che Fabio Motta è il Robespierre di Bolgheri vale giusto come titolo acchiappaclick. Ma se ormai avete cliccato, il lavoro del titolo è fatto e ora possiamo passare alle cose serie.

Bolgheri: di nobiltà e non

O forse no, perché Fabio Motta non sarà un Robespierre, ma di sicuro è la nuova stella di Bolgheri e lo è con una forza comunicativa sorridente, anticonvenzionale, autoironica tanto lontana da quell’immagine un po’ impettita, seriosa e anche un po’ impomatata che classicamente s’associa a Bolgheri.

Perché Bolgheri è la terra in cui il vino italiano ha iniziato la sua moderna avventura sul palcoscenico mondiale. Un’avventura il cui retroterra non è contadino ma spudoratamente nobile. Siamo in Toscana e siamo su quella costa della provincia di Livorno dove il vino – a differenza di ogni altro luogo d’Italia raccontato da brochure aziendali – NON “lo si fa da sempre”. Perché lì, fra sabbia e argilla, i classici vitigni toscani (sangiovese su tutti) non trovavano modo di esprimersi sulle stesse note di altre zone più vocate (e poi perché le chiavi di sviluppo dell’area si erano storicamente giocate su altri tipi di commerci ed affari).

A cambiare il destino di quella terra è stata la precisa volontà (ed ambizione ) di un uomo ricco e di nobili natali, in collaborazione con un uomo ricco e di nobili natali. Mario Incisa della Rocchetta il primo, Piero Antinori il secondo. A confermare il nobile lignaggio dei vini bolgheresi sono stati poi Lodovico Antinori, la famiglia Frescobaldi e Giovanni Geddes da Filicaja con un esubero di cognomoni stile ancien régime.

Tuttavia, si racconterebbe una storia vera solo a metà se si trattasse solo di sangue blu, perché la fortuna di cotanti nobili ha ben poggiato sulle abilità di uomini di nascite senza pretese [1] ma di grande ingegno ed altrettanti studi. È il caso del terzo uomo (ed enologicamente parlando, il più importante) della vicenda Sassicaia: Giacomo Tachis, un ragazzo di Poirino, figlio di un meccanico tessile e di una casalinga. Ma è anche il caso dei vari Thomas DurouxGal Tibor (prematuramente scomparso nel 2005 in un incidente stradale in Sudafrica): “il più grande enologo che abbia conosciuto”, ha detto di lui Michele Satta. E proprio Michele Satta ha ben ragione di figurare in questo rapido elenco perché Lodovico Antinori lo volle (tra il 1993 e il 1995) per curare le vigne di Ornellaia, dove piantò anche la parte alta del vigneto di Masseto.

Fabio Motta e Le Gonnare

Michele Satta è oggi “suocero e mentore” di Fabio Motta, che nel 2005, dopo la laurea alla facoltà di Agraria a Milano, si trasferisce a Bolgheri proprio per lavorare nella cantina di Michele. E se la nobiltà non si misura in quarti di sangue blu ma in rapporto alle relazioni con i grandi di un luogo, Fabio Motta non sarà Robespierre e non sarà nemmeno di nobili natali ma si colloca nel solco di una strada che non spunta dal niente, percorrendo i passi di una dedizione e di una fede profonda nel cielo e nella terra.

Le Gonnare - Bolgheri

Le Gonnare – Bolgheri

E la strada di Fabio inizia a tracciarsi nel 2009 con l’affitto del vigneto “Le Pievi” e l’avvio dell’azienda agricola che porta il suo nome. 3 anni dopo, nel 2012, inizia la storia de “Le Gonnare“, con l’acquisto di un vigneto di 1,1h ai piedi di Castagneto Carducci, dove Fabio produce il suo Bolgheri Rosso Superiore. Un cru che in data venerdì 27 gennaio 2023 ci è stato raccontato da una verticale di 8 annate che vedremo in dettaglio. Ma prima inquadriamo questa vigna con le parole di Fabio.

Lavorando da Michele, alla fine mi è venuta voglia di avere un vino mio. Ho iniziato prendendo una vigna in affitto, poi la cosa si è fatta seria e mi è venuta l’intenzione l’intenzione di acquistare. Così sono andato in cerca di un vigneto che potesse andar bene e gira, gira, gira … alla fine trovo la vigna di Agostino, 92 anni. Praticamente lui viveva lì, ci trascorreva giornate intere. Ricordo in particolare che ci portava a stendere i panni! Arrivava con la Panda, scaricava le ceste di panni e li stendeva ad asciugare… perché diceva che a Donoratico l’aria puzzava per il troppo traffico!
Alla fine ha venduto a me, chiedendo un prezzo forse anche più basso di quel che avrebbe potuto spuntare, ma dicendomi “io non ho più tanto da vivere, ma quel che mi interessa è che ne abbiate cura”. Piantati nel 1987 c’erano Merlot e qualche fila di Syrah, per dirla in ercentuale: 85% merlot e 15% syrah.

Gonnare è un nome che viene dal fatto che proprio in quel punto c’erano degli antichi lavatoi. Per chi è troppo giovane per sapere cosa sia un lavatoio, è opportuno segnalare che un tempo non s’aveva l’acqua corrente in casa e per lavare i panni s’andava, o meglio le donne andavano (le gonnare, appunto), ai lavatoi: strutture dedicate alla raccolta dell’acqua piovana, distribuita in più postazioni per il lavaggio dei vestiti. Una specie di antica lavanderia non a gettoni, ma ad olio di gomito. Io ho ricordi di lavatoi grandi e bellissimi che poi qualche genio delle ristrutturazioni pubbliche ha ben pensato di far abbattere per costruirci orrendi garage in cemento armato (ma questa, come usa dire, è un’altra storia).
Il torrentello che portava acqua dalle vicine colline verso quei lavatoi, ha contribuito ad arricchire di scheletro un terreno che ha nella profondità una delle chiavi del proprio successo. Il fondo d’argilla sta sotto parecchi strati di sabbia e di sassi portati a valle dal torrentello, mantenendo quindi l’umidità anche nelle annate più siccitose (che son sempre più la norma).

Il blend di Merlot e Syrah si trova fino all’annata 2019, perché dalla 2020 entrano le uve del cabernet sauvignon piantato da Fabio nel 2012 insieme ad un po’ di cabernet franc. E proprio i due Cabernet sono al centro di nuovi impianti che porteranno a breve il vigneto de Le Gonnare a raggiungere i 2h. Quindi, per chiarirci, la 2020 e la 2021 hanno un blend di 70% merlot e 30% cabernet sauvignon e così sarà per le venture.

La verticale e i degustatori

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Per l’occasione Fabio ha invitato i sommelier dei ristoranti che hanno creduto in lui fin dall’inizio. Un modo per dire grazie e per guardare insieme a quel che verrà. A guidare la degustazione, 3 amici che più diversi non si potrebbe, che mi permetterò di descrivere brevemente per darvi conto di cosa vuol dire scegliere un panel in modo felicissimo.
In ordine di presentazione: Nelson Pari, Camillo Favaro e Divina Vitale.

Nelson Pari
A lui è stata affidata una presentazione che fila dritta, rapida e senza peli sulla lingua come lo stile dell’angloromagnolo. “Se Fabio fosse nato in Chianti Classico o a Montalcino oggi avremmo qui una superstar che firma autografi! E invece Fabio è a Bolgheri, che vuoi o non vuoi è comunque la terra di Antinori, Ornellaia, San Guido e per uscire fuori come novità devi essere bravo, ma veramente bravo. E Fabio è veramente bravo”.
Nella degustazione Nelson ha un piglio ipercinetico, non solo nel passare rapido da un bicchiere all’altro, ma anche nel muoversi tra rimandi internazionali che il suo background gli offre con una ampiezza e profondità che non tutti possono vantare. Corre veloce tra paragoni con Pomerol per poi volare in Inghilterra, richiama articoli dettagliatissimi su come lavora l’argilla rispetto alla ritenzione idrica e infine ti piazza là giudizi spiazzanti senza mai perdere il gusto di sentire chi non è d’accordo.
Bere con Nelson è come entrare in un flipper colorato di rimandi, rimbalzi, luci e divertimento. E tu sei la pallina.

Camillo Favaro
Se con Nelson avevo già bevuto, di Camillo conoscevo solo il lavoro di grafico elegantissimo (sue anche le etichette di Fabio) e di produttore altrettanto preciso. Ed è forse quest’anima di produttore che viene fuori nelle analisi di Camillo: la continua ricerca nel bicchiere dell’intenzione del vignaiolo. Perché certo si tiene in considerazione la terra, perché certo si tiene in considerazione l’annata, ma quel che più volte è ricorso nell’analisi di Camillo è stato l’andare in cerca della mano di Fabio Motta. Una mano precisa e leggera, non avvezza ad eccessi di protagonismo.
Se con Nelson il vino si misurava con il resto del mondo, con Camillo si tornava al suo rapporto col vignaiolo e infine, a completare un quadro che non credo fosse stato studiato, ma è risultato incredibilmente perfetto, arrivava Divina…

Divina Vitale
Perché Divina ci ha guidato annata dopo annata alla continua ricerca del carattere bolgherese nei vini di Fabio. Un carattere dato spesso da rimandi aromatici di macchia mediterranea (come mi sono appuntato su spunto di Nelson: di “orto mediterraneo”). Un carattere mediato da annate che a volte, come la 2017 hanno marcato il vino di un piglio meno dinamico, ma che pure ha un suo senso in relazione a ciò che il clima ha dato.
Insomma, Divina Vitale è una custode preziosa della storia dei vini di Bolgheri. La sua amicizia con Fabio e Michele Satta (“mi ricordo di lui quando veniva al ristorante dei miei suoceri ed io appena 16enne rimanevo affascinata da come quest’uomo parlava di vini e vigne della zona”) è chiara ed evidente. Ed il suo continuo rimando al territorio è stato prezioso per tornare dai voli intorno al mondo di Nelson, attraversare il carattere di Fabio con Camillo e infine atterrare a Bolgheri con Divina, chiudendo il viaggio attraverso il bicchiere.

Le mie note di degustazione

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Le costanti: tre i fattori piuttosto peculiari. Il primo è che nonostante la percentuale di merlot (75%) siamo sempre su toni più rossi che neri. Ciliegia (magari in versione Durone o Bella di Pistoia) e amarena scura, ma non la classica mora o il ribes nero. Il secondo è che la parte liquida è sempre ben presente e la consistenza del vino non è mai eccessiva, men che meno opprimente. Marmellatoni? No, anche quando la parte alcolica spinge sui 14 (se non sbaglio anche 14,5), a segnare l’andamento di annate calde. Il terzo fattore è che la degustazione ha avuto come chiavi di lettura più la parte tannica e l’acidità che non il frutto. Sembrerà strano per Bolgheri, ma questo giudizio l’ho ritrovato tanto nelle mie note di degustazione, quanto nelle riflessioni finali di Nelson.
L’altra costante che mi urge segnalare è che a rileggere le mie note, devo confessare di essere uno che predilige le annate meno regolari e costanti. 2013 e 2019 sono quelle che mi hanno divertito di più e nel raffronto con gli altri giudizi mi rendo conto di avere un moto meno appassionato per le prove invece giudicate al limite della perfezione come la 2015 e la 2016.

In corsivo le note così come appuntate durante la degustazione, senza riscritture o revisioni. 

Le Gonnare, Bolgheri Rosso Superiore 2013
Annata che ricordo piuttosto bene in Chianti Classico per la sua andatura irregolare, tra un sole anche intenso e acquazzoni improvvisi e forti. Naso e bocca sono su quella ciliegia scura di cui sopra, tannino morbidissimo, esce rapida un po’ di speziatura della syrah (e quel balsamico di cui ben dicevano Divina e Nelson). Bel finale ed ottima acidità. Prova convincentissima ed inizio col botto, tanto che ho bisogno di tornare un paio di volte sulle successive 2015 e 2016 per convincermi che sono loro le annate migliori del lotto. Aggiungo come nota il commento di Camillo Favaro: “Buonissima! Considerato che è la prima annata, se non conoscessi Fabio direi che gli è andata di culo!”.

La 2014 non è uscita a riprova della giusta dose di umiltà e prudenza di Fabio, ma anche del suo spirito: “Avevo appena fatto la 2013 ed ero contento, ma non ho fatto in tempo a gioirne che è arrivata la 2014 e mi sono cagato sotto!”.

Le Gonnare, Bolgheri Rosso Superiore 2015
Naso meno intenso della 2013, ma più definito ed elegante. Sempre ciliegia scura, con qualche nota leggermente surmatura, tannini molto lievi e più leggero come struttura della 2013. Ancora bene sul finale, lungo, appagante, buona acidità. 
Queste le note che mi sono appuntato a dimostrazione di quanto premesso sul mio gusto personale (per il quale si tratta sì, di vino eccellente, ma io oggi aprirei ancora una 2013, invece che una 2015) rispetto ad un’annata che invece ha riscosso il plauso unanime degli altri degustatori. Valga su tutti il giudizio sintetico di Simone Lo Guercio: “si tratta di annata di una precisione sconvolgente”.

Le Gonnare, Bolgheri Rosso Superiore 2016
Naso sulla linea della 2015, con un grado di intensità forse minore. Bocca in coerenza, con una parte balsamica più riconoscibile della 2o15. Tannino meno setoso delle precedenti annate, finale sempre buono, ma anche qui con qualche scarto di lunghezza in meno rispetto alla 2015, ma un’acidità più pronunciata.
Che tra queste due annate si siano mossi parecchi raffronti (oltre i miei che ho riportato qui) è perché in gran parte della Toscana, queste due annate sono spesso considerate gemelle ed entrambe di rara bellezza. Nota di sintesi di Fabio Motta: “2015 più piena, 2016 più lieve”, quella di Nelson “vino molto toscano e molto preciso”.

Le Gonnare, Bolgheri Rosso Superiore 2017
Naso intenso, con qualche accenno di bruciatura. Tannino molto più mordace delle altre versioni, ma bocca bella piena. Tanta speziatura. Finale più corto.
Qui l’annata credo abbia imposto il proprio carattere in modo inequivocabile. Io ricordo picchi di calore da cui difendere i grappoli ed una mancanza di pioggia preoccupante durata fin quasi a settembre. Fabio Motta conferma: “avevamo uva sultanina su alcune piante”. Ovvio che a risentirne sia stata più una varietà precoce come il merlot e meno la syrah. In questo caso però mi preme un raffronto con altri Bolgheri della stessa annata (raffronto che posso fare solo a memoria) e che premia quanto segnalato in apertura sul vigneto Le Gonnare (e la sua capacità di mantenere umidità). Ho memoria di 2017 bolgheresi di una certa pesantezza: ecco, non è questo il caso. Qui siamo sempre nell’ambito di una finezza che fatica ovviamente ad esprimersi come in altre annate, ma non scende mai sotto una soglia di levità calviniana.

Le Gonnare, Bolgheri Rosso Superiore 2018
Naso che ritorna su grado d’intensità spiccato, sempre con note di ciliegia e amarena, ma anche tanta parte di speziatura e salvia. In bocca tannino bello puntuto, ma piacevole. Pieno, sorso ricco, bel finale dove esce un po’ di legno. Syrah che si sente meno. Bel vino e commercialmente parlando ancora meglio.
Confesso di rileggere in queste note un mio giudizio o pregiudizio sulla 2018 come annata, in Toscana, perfetta per il mercato. Intendo con questo che per quanto ho assaggiato si tratta di annata che ha donato vini di una pienezza e piacevolezza più immediata e godibile, forse meno stuzzicante per i puristi del lunghissimo invecchiamento, ma… insomma, qui siamo proprio a fare le pulci. Prendetene e bevetene… poi mi saprete di dire se non vi fa star bene.

Le Gonnare, Bolgheri Rosso Superiore 2019
Come sempre la 2019 sembra giocare un campionato a parte. Vira subito su toni più scuri al naso, ma di un invitante come pochi. Parte di macchia mediterranea subito presente, complessità maggiore rispetto a tutte le altre annate. In bocca racconta di un tannino quasi assente e di un inizio sorso che passa come non fosse arrivato, quasi gracile diresti, ma aspetta il ritorno e godi, se almeno ti piace come piace a me quel che di un vino ti rimane. E qua rimane la sintesi in scuro di un frutto luminoso, un finale non intenso, ma che dura, l’acidità che arriva in ritardo, ma arriva. Così imperfetto, così bello.
Non ho altro da aggiungere alle mie note scritte sul momento.

Le Gonnare, Bolgheri Rosso Superiore Anteprime: 2020 e 2021
Un degustatore onesto deve conoscere i propri limiti. E io sulle anteprime posso sbilanciarmi in giudizi solo su quei vitigni di cui conosco un po’ l’andamento. Troppe volte, anche con quei vini che produco insieme a due cari amici, ho imparato quanto sia rischioso dare giudizi affrettati, ma se su Sangiovese, Trebbiano, Ciliegiolo ed altri vitigni toscani, mi sono fatto un po’ di palato anche nelle versioni giovanissime, del Cabernet Sauvignon ho imparato solo a diffidare.

Per questo evito di sparare giudizi senza le basi per poterli confermare, ma chiudo giudicando, per quel poco che credo di poter giudicare, Fabio Motta. Perché quel che posso dire è che si tratta di una persona sorridente e composta, seria e fiduciosa nel proprio lavoro senza perdere mai l’umiltà. Non è il Robespierre di Bolgheri, no, ma dopo Michele Satta è quanto di più vicino ci sia a ridefinire il senso del luogo in una chiave più moderna, più aperta, più vitale… più democratica? Non lo so e non la voglio buttare in politica, ma qui c’è una strada nuova. Fidatevi: andrà lontano.

[1] A parte il caso di André Tchelistcheff che veniva da una famiglia dell’aristocrazia russa.
[Leggi anche: La vera storia del Sassicaia clandestino e Una volta qui a Bolgheri era tutta campagna: il Giovin Re in verticale]

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Tommaso Ciuffoletti

Ha fatto la sua prima vendemmia a 8 anni nella vigna di famiglia, ha scritto di mercato agricolo per un quotidiano economico nazionale, fatto l'editorialista per la spalla toscana del Corriere della Sera, curato per anni la comunicazione di un importante gruppo vinicolo, superato il terzo livello del Wset e scritto qualcos'altro qua e là. Oggi è content manager di una società che pianta alberi in giro per il mondo, scrive per alcune riviste, insegna alla Syracuse University e produce vino in una zona bellissima e sperduta della Toscana.

15 Commenti

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AG

circa 1 anno fa - Link

Tommaso buongiorno, una domanda e un apprezzamento: - non è che le particelle migliori di San Guido e Ornallaia sono piantate su uno specifica costituzione geologica chiamata Massiccio Bolgherese? - bellissima la citazione della 'lavanderia ' a olio di gomito, gesto ed espressione di veri altri tempi. Bonne journèe

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Tommaso Ciuffoletti

circa 1 anno fa - Link

Ciao e grazie intanto. Confesso di non aver mai visitato San Guido. Ornellaia sì, erano i tempi in cui la cantina di Masseto era ancora in costruzione, ma già allora (su questo poi possiamo indagare e chiedere a chi ne sa di più) ci fu illustrata la divisione del vigneto di Masseto in tre aree (junior, centrale e alto) con una differente presenza di queste cosiddette argille blu. Ora io credo che con questo termine ci si riferisca a quel che in geologia si chiama (credo più correttamente) argille azzure: "Con il termine Argille Azzurre si intendono i depositi argillosi subappenninici del PliocenePleistocene p.p. che affiorano dal Piemonte alle Marche e in Toscana". Qui di seguito un link per approfondire: https://www.isprambiente.gov.it/files/pubblicazioni/periodicitecnici/quaderni-sgi/quaderno7fasc7/quaderno7-vii-appennino-argilleazzurre.pdf Si tratta sì di blocchi di argilla di compattezza da presentarsi in forma di veri e propri blocchi (di alcune decine di cm di dimensioni). Questo è quello che so, partendo da un presupposto: così come per la storiografia tendo sempre a diffidare del marketing aziendale e territoriale, così per la geologia (pur non essendo un geologo) applico lo stesso scetticismo! ;)

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Paolo mik

circa 1 anno fa - Link

Quindi Tommaso, il super Merlot del Piemonte o il Merlot stellato delle marche sarebbero possibili geologicamente parlando...adesso potete insultarmi...

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Tommaso Ciuffoletti

circa 1 anno fa - Link

... ma sai che secondo me ... Oh! Via! Io lo dico ... sangiovesista sempre, ok, ma a me il Merlot piace!

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AG

circa 1 anno fa - Link

È da u po ' che non cammino le vigne (cit.) bolgheresi ma a memoria e a occhio sinceramente non ricordo presenza di argille blu/azzurre/ grigie (quelle che mio nonno con disprezzo definiva 'bòne solo per facci il grano'). Sicuramente tanta argilla rossa nella parte alta sotto la collina con anche sabbia più in basso ma ricordo anche tanto sasso 'bello' (il Macigno Bolgherese appunto) nella vigna della quercia di Ornella e nella vigna originaria di Sassicaia (omen nomen). Mentre ricordo abbondante sabbia mista a argilla nella parte vecchia di Masseto (ma mi posso sbagliare)

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Tommaso Ciuffoletti

circa 1 anno fa - Link

Anche da noi - intendo San Giovanni delle Contee, che affaccia su tutto quel fu mare pleistocenico di argille che attraversano la Val d'Orcia e arrivano fino a Montalcino - l'argilla è sempre stata considerata buona per il grano e basta. Poi però, siccome le vigne i contadini le mettevano dove potevano, chi non aveva terreno su tufo o macigno, li metteva anche sull'argilla ... e chi ci ha messo il Merlot ci ha fatto un favore. Perché vorrei fartelo assaggiare quello che stiamo per mettere in bottiglia! Confesso che un giorno mi piacerebbe vedere San Guido!

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AG

circa 1 anno fa - Link

Io lo assaggio volentieri, se mi inviti. Non conosco San Giovanni delle Contee ma Gioele maps aiuta tutti.... Invece le giornate passate a San Guido o a Ornallaia o in altre aziende devo ammettere che sono state esperienze incredibili ma ahimè frutto di coincidenze estremamente fortunate e , anche, di altri tempi.

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Tommaso Ciuffoletti

circa 1 anno fa - Link

Allora a breve chiederò di poter scrivere tutto anche qui su Intra, ma intanto ti anticipo: San Giovanni delle Contee, 24 giugno, DISFIDA DELLE CONTEE! Un confronto tra vini contadini (veramente contadini) con giudici professionalissimi (davvero professionalissimi). Io Ornellaia la visitai come studente di un master in marketing internazionale del vino ... credo fosse il 2017 se non ricordo male, o forse 2016.

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AG

circa 1 anno fa - Link

Farò il possibile per esserci. Ma perdona il tono polemico perché non mi piacciono le auto etichettature: quali sono i vini 'veramente contadini '? Porto un esempio: il vino del mio nonno di cui sopra era vino del contadino e faceva schifo. Oppure, il vino di Federico Staderini, per fare un esempio, è un vino 'veramente contadino'?

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Tommaso Ciuffoletti

circa 1 anno fa - Link

No, no! Io dico contadini proprio contadini ... aspetta che ti metto qua un link (questa è la cronaca dell'edizione dell'anno scorso!): https://www.intravino.com/primo-piano/terza-disfida-delle-contee-perche-il-vino-e-buono-ma-la-rivoluzione-e-meglio/

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Andy

circa 1 anno fa - Link

Staderini contadino di lusso

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AG

circa 1 anno fa - Link

Ma sempre contadino è o no?

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Mattia Grazioli

circa 1 anno fa - Link

Fino a quando ci sarà gente che scrive così di vino, ci sarà speranza per tutti. E questa versione di Bolgheri mi piace.

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Capex

circa 1 anno fa - Link

Apprezzo da sempre Fabio Motta. Vorrei sottolineare la narrazione di Tommaso…se fosse stato un libro di 500 pagine lo avrei letto tutto in due giorni. Complimenti davvero

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Tommaso Ciuffoletti

circa 1 anno fa - Link

Grazie di cuore Mattia e Capex!!

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