Il vino, la vite e la vita in Georgia. A lezione da Lisa Grank MW (video)

Il vino, la vite e la vita in Georgia. A lezione da Lisa Grank MW (video)

di Andrea Gori

Georgia, ovvero la culla ancestrale del vino, e la capostipite di tutto quanto amiamo da impazzire in questa bevanda da sempre divina. 40 mila ettari per 18 denominazioni con un 75% di uve bianche e 25% rosse, i qvevri, i vini in terracotta ancestrali e i più affascinanti del mondo, e soprattutto un patrimonio ampelografico (525 varietà di uva registrate) ed enoico che annichilisce perfino la grande varietà italica. Per saperne di più siamo andati a lezione durante l’ultimo Merano Wine Festival: occasione bellissima, per completezza rigore e passionalità nell’esporre da parte di Lisa Grank, una MW come pochi altri. Ecco il nostro report, con video, e gli assaggi della giornata.

Dice Lisa: i Georgiani non solo hanno inventato il vino ma hanno inventato l’ospitalità, e tutto quanto ruota attorno alla convivialità del vino stesso.

Oltre 525 varietà di uve preservate, tuttora usate per produrre. Del resto loro hanno inventato il vino e lo hanno diffuso ovunque. E ovunque andassero portavano vite e vino, mai la guerra. Gli era consentito di costruire comunità e piccole società con loro autonomia: del resto contribuivano poi non poco, con il vino, alle economie locali, fin da 6000 anni fa. Lo dimostra la recente scoperta del villaggio di Imiri con le prime testimonianze di vinificazione della storia umana.

Alcuni esempi raccolti in giro testimoniano la pervasività dell’uva e del vino in questo paese. Batumi è una città sul mare e ha viti anche in città, tra i palazzi: sono ovunque. Khvanchhkara è un’altra città con giardini e orti con viti di un vigore impressionante: sul garage che vedete nel video ci sono i simboli classici, ovvero i corni per bere e altri legati al vino.

Anche a Tbilisi in città hanno viti che crescono tra il cemento e la roccia delle case. La gente la coltiva in tutti i terrazzi e orti.

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La Georgia è composta da montagne, colline e suoli a dare tanti terroir diversi. Le montagne la separano a nord dalla Russia, altissime, con venti freddi che scendono. Da est a ovest il caldo arriva dal Mar Nero, e poi viene interrotto nell’interno. La suddivisione ampelografica vede un 75% di uve bianche e un 25% di uve rosse coltivate su 40 mila ettari, suddivisi in 18 PDO (le AOC locali). Ma prima di dividersi dalla Russia gli ettari erano 150 mila, quando riforniva il vicino con il suo vino, ed era meta per le vacanze.

Il vero percorso per ottenere vini di qualità è iniziato solo con la separazione dalla Russia, perché prima gli investimenti erano minimi e tutti votati a far rendere il più possibile le viti in termini di litri di vino prodotti. In ogni caso la Georgia non sarà mai una “cantina” d’Europa perché il territorio è quasi solo montagnoso, le pianure e colline sono relativamente poche sul totale. La soil map mostra diversità impressionanti, e i suoli sono vari: il più tipico forse è il cosiddetto Lepotosol con il 25% del totale, un terreno pedemontano ricco di ferrosilicati e argilla.

Poi troviamo black stone con ardesia come a Kindzmarauli, zona molto famosa per Saperavi, che accumula calore e fa maturare perfettamente le uve. Poi la ACO (PDO in georgiano) Tsindandali (Akura) con tante rocce simile a Chatenauf du Pape: c’è terreno marrone con molto ferro e rocce tonde da fiumi ancestrali.

La maggior parte delle coltivazioni sono nella valle del fiume Anasali, c’è calore, acqua (ma non troppo) e riparo dal vento delle montagne. Al tempo della separazione dalla Russia bisognava riportare le persone a coltivare le varietà non più produttive ma più qualitative, e non è stato facilissimo. Oggi sono circa 46 quelle più usate.

Ma cosa rende il vino georgiano così unico? Pensiamo a Gravner e tutta l’epopea della terracotta in Italia: la tecnica del qvevri e la vinificazione ancestrale. L’uva bianca viene pressata in tini di legno allungati, poi il succo va nel recipiente a forma di uova interrato: qui si hanno fermentazioni con meno del 30% di vinaccioli e le bucce con coperchio vanno a sigillare il tutto. La dimensione del qvevri dipende dall’uva utilizzata, e dal vino che si desidera ottenere. Dopo 3-6 mesi di fermentazione il vino viene spostato in un altro qvevri, dove avviene la chiarificazione naturale e due anni di affinamento. Ma il tempo dell’affinamento varia, a volte poi può andare anche in botte vecchia (le botti qui sono arrivate a fine 1800).

Dopo essere interrati, i qvevri restano lì per sempre. Non hanno data di scadenza, al massimo si riparano. Ci sono pochi maestri di terracotta che li fanno in tutta la Georgia… e in giro per il mondo. Ogni anno a primavera i qvevri vengono aperti e viene assaggiato cosa c’è dentro: in parte si imbottiglia, ma più spesso il vino viene consumato a litri in solenni banchetti.

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Le uve bianche più usate sono Kakhuri Mtsvane, Goruli Mtsvane, Rkatsiteli, Tsolikouri, Tetra, Khikhvi, Chinuri, Tsiska. Ne abbiamo assaggiati diversi esempi, in varie vinificazioni.

Mtsvane Kakhouri (uva bianca)
Foglie scure, grappoli densi, qualche polifenolo, Alta acidità, perfetta per vini fortificati, si affina bene se fermenta in qvevri. Spesso con Rkatsiteli vinificato insieme, molto più produttivo e facile. Il nome significa “verde”.

Shumi Winery Kakhuri Mtsvane 2014
Fatto in maniera occidentale: cedro, limone, agrumi molto ficcanti, acidità accesa e ricca, tiglio, biancospino tanti fiori bianchi, lime e menta. Bocca acida e incalzante, anche troppo. Finale non lunghissimo ma piacevole, cresce su limestone, un poco gessoso, piacevole. Per aperitivi senza pensieri. 86

Chkhaveri (bianca)
Uva tipica dell’ovest, pianure, con varietà rossa a maturazione tardiva, Guria e Imereti, usata per bianchi e rosé come il pinot grigio, si adatta anche a bollicine e vini dolci. 

KTW Chkhaveri 2012
Colore rosato piacevolissimo: canfora, cipria e confetto, leggere note di fragola, bei profumi originali. Al palato acidità e piacere, nerbo e non banale profondità tra ribes rosso e lamponi. 88

Rkatsiteli (bianca)
L’uva bianca più usata e la più adatta per qvevri, ha buccia grossa, tanti fenoli, acidità moderata, si può invecchiare con soddisfazione.

Tbilvino Qvevris Rkatsiteli 2015
Servito a temperatura ambiente: questi vini si sviluppano nel bicchiere ed è spesso meglio decantarli. Bianco con tannino, ci vuole un po’ per apprezzarlo! Miele, noci, senape e tanta spezia, mele e mirabelle secche, albicocche, torrefazione, noci pecan arrostite. Bocca che ricorda un meunier senza bollicine, con tannini sapidi, piacevoli e croccanti che rendono la bevuta un’esperienza molto particolare. 92

Shavkapito (rossa)
Uva di recente riscoperta, con la parte legnosa molto sviluppata nel periodo invernale. Sente molto il terroir, si adatta a molti stili ma il frutto è sempre molto presente.

Chateau Mukhrani Shavkapito 2014 (Kartli)
Colore rubino rosso ma non profondissimo, agile e scattante nel bicchiere. Bocca agile, fresca di frutta di bosco, tra pinot nero e merlot con dolcezza appena accennata ma piacevole, scattante, leggermente tannico ma anche da bersi fresco. 88

Saperavi (rossa)
La traduzione di teinturier francese: uva con cui si può tingere, ricca, pesante, anche il succo è inchiostrato, colore profondissimo, può essere fatto in diversi stili. Molto antica, dalla buccia spessa, con grappoli conici di taglia media a germogliamento tardivo. Tanti cloni, alta acidità, sensibile al gelo e al territorio. Note caratteristiche: liquirizia (ma di quella buona), torrefazione, frutta nera, affumicato. Ne assaggiamo addirittura tre.

Tsindali Estate Sapervai 2014
Azienda molto famosa, siamo a Khaketi: rosso cupo, ricchissimo ma agile nel bicchiere. Bocca ricca, piacevole, saporitissima, bel tannino docile ma ben presente, profondità rossa tra canfora mandorla e fragola, lunghissimo e cangiante, bello esotico ma tranquillamente godibile. 88

Winivera Sapervai 2003
Alla vista praticamente come avesse 10 anni di meno: denso e colorato, speziato ed etereo, bocca agile e profonda, balsamica, fresca ed esile con profondità di frutto interessante, alcol misurato e gentile. 88

Alaverdi Monastery Saperavi 2013 in qvevri
Classico Saperavi di liquirizia, anice e frutta di bosco, sparato e intenso, ricco e oscuro che cattura lo sguardo e non lo molla più: finocchio, amarena, alloro, affumicato. Bocca con tannino vivo vitale e lunghissimo, originale e preciso, un vino mostruosamente profondo e lunghissimo con nessun sbavatura, rustico e insieme affilato, pulito e preciso come il prodotto di un flying winemaker. Naso dolce ma bocca secca e affilata, una vera sferzata di sapore e intensità, tumultuoso e appassionante. Se avesse senso dargli un voto, sarebbe un 97.

Andrea Gori

Quarta generazione della famiglia Gori – ristoratori in Firenze dal 1901 – è il primo a occuparsi seriamente di vino. Biologo, ricercatore e genetista, inizia gli studi da sommelier nel 2004. Gli serviranno 4 anni per diventare vice campione europeo. In pubblico nega, ma crede nella supremazia della Toscana sulle altre regioni del vino, pur avendo un debole per Borgogna e Champagne. Per tutti è “il sommelier informatico”.

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