Il vino e la ristorazione #5: Gaetano Trovato, Giancarlo Perbellini, Giovanni Santini

Il vino e la ristorazione #5: Gaetano Trovato, Giancarlo Perbellini, Giovanni Santini

di Jacopo Manni

Eccoci giunti alla fine di questa appassionante saga alla ricerca della verità che esiste nella liason tra cibo e vino. Eric Rohmer uno dei più grandi cineasti della storia del cinema diceva che la sua ambizione è stata sempre quella di essere autore a tutti gli effetti della propria opera, assumendosi altresì il compito tradizionalmente riservato allo sceneggiatore. Questa onnipotenza però, anziché costituire un vantaggio e uno stimolo, è talvolta sentita come un impedimento. Essere padrone assoluto del proprio soggetto, poter operare tagli o arricchimenti a seconda dell’ispirazione o delle necessità del momento senza dover rendere conto a nessuno è inebriante, ma può anche paralizzare: in un certo senso è una trappola. Abbiamo voluto indagare il confronto e il legame che i grandi chef, artisti e demiurgi assolutisti come giusto che sia, hanno con il vino. I grandi chef sono dominatori assoluti della propria scena e del proprio destino e hanno a ragione l’ambizione di Rohmer. Ma il vino nella cucina odierna prende sempre più spesso la ribalta e la scena.

Cibo e vino sono una simbiosi, a volte e a tratti, ma se vogliamo possiamo, e dobbiamo, considerarli come dei competitor feroci, gelosi e desiderosi di prendersi la scena da soli.
La vera domanda da cui nasce tutto è: Il vino per gli chef è un impedimento sulla via dell’assoluto e della perfezione? Questo è stato il fil rouge di tutta questa nostra ricerca.
In un ristorante di pregio oggi è ancora imprescindibile avere una sontuosa e ammiccante carta dei vini ma crediamo che il vento stia cambiando e che la grandezza della cucina e quella dei grandi vini possano e debbano correre con le proprie gambe e andare in parallelo sulle vie dell’eccellenza. Incontrandosi e sublimandosi spesso magari, sempre con grande rispetto e stima reciproca, ma soprattutto ognuno con la propria ambizione all’onnipotenza.

Come interagisci con il vino, quali rapporti hai? Lo consideri una chiave di lettura e un mezzo per ottenere equilibri oppure è una necessità e forse uno scomodo corpo estraneo, invasivo e disequilibrante nella ricerca del gusto e della perfezione palatale?
Una grande cucina ha bisogno di grandi vini? Vogliamo attualizzare la polemica lanciata da Gualtiero Marchesi anni fa e vogliamo capire lo stato dell’arte oggi nel mondo dell’alta ristorazione: Cibo/Vino è necessità o contingenza?

Gaetano Trovato
Maestro se ne esiste ancora uno. Il suo ristorante bi-stellato a Colle Val D’Elsa si chiama Arnolfo per omaggiare il magnifico architetto e uomo d’arte e mestiere Arnolfo di Cambio. Gaetano ha ricreato una vera e propria bottega rinascimentale dove infatti ha formato e creato una nuova generazione di chef che stanno innovando e sublimando la sua scuola. Un maestro rinascimentale!

“Chiaramente ci sono degli equilibri da trovare tra cibo e vino. Quando il vino è troppo tannico o troppo forte può mettere a disagio il piatto, lo appiattisce se vogliamo e invece io ho bisogno di avere l’esaltazione del piatto. Ogni mese con il mio gruppo sia di sala che di cucina, quando presentiamo i nuovi menu e i nuovi piatti facciamo tutti insieme una degustazione per trovare il giusto equilibrio tra cibo e vino. Chiaramente io ho una etica molto interessante, sono un grande appassionato di vino, preferisco il vino morbido, elegante, prediligo i vini di Borgogna sia bianchi che rossi e in Italia amo il pinot bianco, vini più fruttati magari che si abbinano bene alle mia proposte. E’ chiaro che con il giusto equilibrio non fa male niente, non fa male il vino, non fa male il cibo e basta che abbiamo la consapevolezza di non andare troppo oltre. Io penso che la giusta dose si trova sia nel cibo che con l’abbinamento dei vini, perché nei vini possono a volte veramente esaltare un buon piatto lo tirano su e il contrario lo stesso il cibo da un buon valore a una buona bottiglia di vino
Il mio vino del cuore è il pinot nero.”

Giancarlo Perbellini
Dalla pasticceria di famiglia genera col suo ingegno e la sua dedizione una scuola e una dottrina culinaria vera e propria. Nella sua Verona dove ritorna dopo lungo apprendistato in giro per il mondo conquista una prima stella Michelin nel 1996 e nel 2002 una seconda, che lo lanciano nell’olimpo dei gastronomi mondiali. Un visionario con i piedi ben piantati a terra e la grazia dei migliori.

“Il vino è un alimento che a me piace molto, di cui non abuso, ma cerco di prenderne le sfumature e le emozioni come ad esempio la grande bevibilità. Io non parlo mai di grandi vini ma parlo sempre di buonissimi vini, per cui vado alla ricerca di vini che non siano concentrati ma che abbiano una grande eleganza e una grande beva, e i più grandi vini del mondo normalmente hanno queste caratteristiche. Io sono innamorato dei pinot neri e degli chardonnay, per cui ho una carta vini importante per quanto riguarda la Borgogna perché è la terra dove forse questi due vitigni esprimono il massimo ma ho una grande passione anche per i baroli, che specialmente nella loro maturazione tendono ad essere vellutati e ad assomigliare, nel caso ad esempio del nebbiolo, al pinot nero, ma non disdegno i buoni Amarone, sicuramente non gli Amarone di moda, dolcì, ma gli Amarone pieni ma non eccessivi.”

“Purtroppo da bambino mi sono ubriacato e da allora non sono più riuscito ad affrontare il vino, per cui ho ricominciato a bere all’età di 23-24 anni. Confesso  che come per la cucina, ho una curiosità esagerata anche per il vino, per cui non disdegno nessun vino al mondo.  La carta vini naturalmente è tarata sul nostro palato, nel caso dei miei locali sempre sul palato mio e quello del sommelier. A Casa Perbellini ho una carta importante, sono consapevole che anche se ho dei gusti diversi dal sommelier devo in ogni caso creare una carta che vada in contro anche ai suoi gusti (anche questo è un professionista che scelgo con cura e deve avere una sua personalità) perché poi è colui che vende il vino.
Io credo che  sia a cena che a pranzo il vino  sia una componente essenziale e spesso e volentieri è qualche cosa che esalta il piatto, ma non è che io sia amante delle degustazioni ad esempio piatto/vino. Dico che l’abbinamento  dipende sempre dalle giornate e dalle voglie, per cui delle volte può essere una sola bottiglia, non rinnego il rosso col pesce, anzi assolutamente sono aperto a qualunque accostamento, sicuramente il vino deve essere una parte della cena che renda una serata straordinaria.
Il vino non lo ritengo una necessità, è sicuramente un qualche cosa che va a valorizzare i piatti, è un percorso, e quando ritengo, ma fino ad adesso non mi è mai successo, di non abbinarlo non lo abbino. Piatti e vino sono due componenti che dialogano tra loro, ma non si tratta di codificazione.”

“Non trovo che il vino sia uno scomodo corpo estraneo evasivo e disequilibrante nella ricerca del gusto io trovo invece che delle volte crea armonia, trovo che una cena senza vino è una cena triste. Una grande cucina ha bisogno di buoni, anzi buonissimi vini, sempre legati poi a quello che hai voglia tu, per cui fortunatamente il ventaglio dei palati è talmente diverso, che si può partire da dei vini veramente semplici e beverini  per arrivare a quelli strutturati, l’interpretazione di questo solitamente è data dal sommelier.
Noi nella scelta dei vini non forziamo mai, nel senso che al limite noi suggeriamo cosa potrebbe stare meglio nell’abbinamento al piatto, ma davvero,  non forziamo mai la mano, nel senso che lasciamo sempre libero campo all’avventore, alla fine è l’avventore che deve scegliere, noi possiamo solo consigliargli dove andare.
Per quanto riguarda la polemica lanciata da Gualtiero Marchesi credo ci sia stata negli anni una grande evoluzione nel mondo del vino che ha fatto registrare un aumento di qualità ma anche una spinta alle cosiddette mode.  Io dico sempre che la fortuna del vino è di avere un’etichetta, a differenza del cibo dove comunque devi mettergli il tuo palato, sei da solo non hai riferimenti. Purtroppo, o per fortuna dei viticoltori, nel mondo del vino c’è sempre un’etichetta che spesso e volentieri determina una moda e influenza le scelte. Le degustazioni alla cieca sono sempre molto complesse e danno spesso dei risultati molto diversi dalle classifiche.
Sicuramente nelle mode c’è  una parte di marketing e una parte di cambiamento dei gusti dettato dall’aumentare delle temperature, da un’evoluzione comunque del mondo, sicuramente poi ci sono stati un sacco di produttori che hanno seguito le mode. Le concentrazioni in stile americano, che io detesto,  sono ad esempio fatte per assecondare le esigenze di mercato. Per questo mi ostino a dire che amo quei vini che posseggono la natura della memoria del gusto, non sempre i vini rispecchiano una memoria del gusto di quel territorio e di quel vitigno.
Nel panorama italiano pochi hanno perseguito la tradizione, tanti si sono adeguati, per una questione di vendite. E poi confesso che alcuni giornalisti hanno indubbiamente condizionato il mondo del vino come pure è successo anche nella cucina.”

Giovanni Santini
Una leggenda di famiglia. Giovanni nasce come quarta generazione di un ristorante epico, il Pescatore che ha tre stelle Michelin da ben 17 anni. La pressione di dover soddisfare aspettative mostruose gli fa un baffo e oggi è riconosciuto come uno dei talenti più brillanti della cucina mondiale.

“Quando penso a un piatto da inserire in carta parto sempre dalla disponibilità dei prodotti. Naturalmente  dalla loro stagionalità, tracciabilità, della loro sicurezza alimentare e naturalmente dal gusto. Poi la realizzazione considera l’equilibrio e la valorizzazione degli elementi che andranno a comporre  il piatto.
Quando invece penso a un menu degustazione bisogna tenere in considerazione anche il rapporto tra tutti i piatti e un equilibrio dinamico tra essi e a un valore nutrizionale totale. Naturalmente c’è un interazione con il sommelier che al Pescatore è Alberto, mio fratello, è lui che deve dirmi se è ok per l’abbinamento con i vini o altre tipi di bevande a cui lui ha pensato. Il cuoco trova una giusta armonia tra gli elementi senza ripetizioni e sovrapposizioni con una linea filosofica e personalità che andrà ad utilizzare per realizzare i propri piatti, il sommelier poi deve trovare il giusto equilibrio tra vino e piatto sempre con la sua personalità e capacità.
Ricordo bene Gualtiero Marchesi quando disse che un piatto poteva esistere senza il vino, io su questo punto condivido, tant’è che ci sono persone che al ristorante non bevono alcol ma questo non rende negativo il lavoro dello chef.”

avatar

Jacopo Manni

Nasce a Roma ma si incastella a Frascati dove cresce a porchetta e vino sfuso. L’educazione adolescenziale scorre via in malo modo, unica nota di merito è aver visto dal vivo gli ultimi concerti romani dei Ramones e dei Nirvana. Viaggiatore seriale e campeggiatore folle, scrive un libro di ricette da campeggio e altri libri di cucina che lo portano all’apice della carriera da Licia Colo’. Laureato in storia medievale nel portafoglio ha il santino di Alessandro Barbero. Diploma Ais e Master Alma-Ais, millantando di conoscere il vino riesce ad entrare ad Intravino dalla porta sul retro.

Nessun Commento

Commenta

Sii gentile, che ci piaci così. La tua mail non verrà pubblicata, fidati. Nei campi segnati con l'asterisco, però, qualcosa ce la devi scrivere. Grazie.