Il vino e la ristorazione #3: Antonio Biafora, Andrea Leali, Christian Mandura e Andrea Pasqualucci

Il vino e la ristorazione #3: Antonio Biafora, Andrea Leali, Christian Mandura e Andrea Pasqualucci

di Jacopo Manni

Good things come in threes, Bad things come in threes.
Anche gli inglesi dunque hanno il loro proverbio sull’ineluttabilità del fato e sul magico numero 3. Noi italici e mediterranei diciamo invece non c’è due senza tre, ed eccoci dunque ineluttabilmente giunti alla terza puntata della nostra saga/inchiesta sul rapporto che esiste e insiste tra i grandi chef e il vino.

Come dice lo Filosofo nel principio de la Prima Filosofia, tutti li uomini naturalmente desiderano di sapere, anche noi intravinici favellatori, enoici e poco eroici, ardentemente bramiamo virtute e canoscenza. E per dirimere la annosa questione stavolta abbiamo deciso di andar incontro alla giovinezza, che a molti sembra ancora una specie di malattia, ma come sostiene uno dannamente bravo… chi non ha sofferto questo male sacro non ha vissuto.

Abbiamo voluto intervistare le nuove leve della ristorazione italica. Cercando chi ha già raggiunto la vetta ma non ha tempo né voglia di rimirar le stelle e parlar dei fasti antichi, ma si rimbocca le maniche e immagina un futuro immanente e che gli auguriamo esagerato.

Le domande come al solito sono state le stesse per tutti gli chef e sono:
Come interagisci con il vino, quali rapporti hai? Lo consideri una chiave di lettura e un mezzo per ottenere equilibri oppure è una necessità e forse uno scomodo corpo estraneo, invasivo e disequilibrante nella ricerca del gusto e della perfezione palatale?
Una grande cucina ha bisogno di grandi vini? Vogliamo attualizzare la polemica lanciata da Gualtiero Marchesi anni fa e vogliamo capire lo stato dell’arte oggi nel mondo dell’alta ristorazione: Cibo/Vino è necessità o contingenza?

ANTONIO BIAFORA
Pitagora ha fondato la sua scuola in Calabria dove il terreno è intellettualmente fertile e Antonio nel suo mondo fatto di scienza, arte e innovazione lo sta dimostrando diventando uno degli chef da tenere d’occhio nel suo nuovo progetto Hyle Ristorante, a Torre Garga sotto la Sila crotonese. Un tempio culinario moderno di scienza e divulgazione territoriale.

“Il mio personale rapporto con il vino e soprattutto quello del ristorante, è un rapporto legato al concetto culturale del vino. Preferiamo le storie dei piccoli produttori ai grandi nomi, preferiamo la ricerca ai cataloghi, preferiamo le verticali dei piccoli produttori per capire l’espressione del territorio in quell’anno e il livello di conoscenza enologica della cantina in quel momento alle grandi verticali di vini francesi. Stiamo facendo un gran lavoro sul nostro territorio, la Calabria, certamente non un posto conosciuto per l’arte enologica e con un grande potenziale inespresso, per costruire una strada che riporti i giovani nel nostro territorio (sostenibilità sociale).

Non siamo dei fan dell’abbinamento perfetto, del vino che deve bilancIare il piatto e viceversa, ma siamo amanti del buon cibo e del buon vino a prescindere, e questo ci permette a volte di portare in tavola abbinamenti interessanti non solo per il palato ma soprattutto per  la testa. A volte, infatti, ci capita di servire delle bevande fermentate fatte da noi, che non partono per forza dall’uva, ma questo ovviamente non preclude la presenza in carta di grandi etichette, che ci servono oltre che per il blasone per soddisfare la nostra sete di conoscenza”.

ANDREA LEALI
Andrea fa parte di quella nuova classe di chef artigiani e artisti ossessionati dal fare grande il loro mondo piccolo. Territorio è uno stile di vita e di studio nella sua Casa Leali. Sta portando la gastronomia lacustre a livelli altissimi in quel di Puegnago sul Garda, studiando e creando una nuova “cucina gardesana” come la definisce lui.

“Vivo più il vino come consumatore nei momenti dove anche io voglio vivere una esperienza, un ricordo e una scoperta. Amo il vino nella sua eleganza e complessità ma senza forzature inutili, il vino si deve far bere e ti deve rimanere un ricordo indelebile e per lo più volerlo ri-bere. Non penso al vino quando creo un piatto, penso al piatto, poi sarà compito e lavoro di mio fratello Marco, anche sommelier in questo caso, a trovare il punto di incontro di un abbinamento, valorizzando determinate sfaccettature che si vogliono evidenziare in un vino.

Il vino come il cibo rappresenta il piacere di vivere un momento di godimento e arte che a casa non potremmo ricreare in nessun modo. Quindi una volta scelto un vino oggettivamente buono e ben fatto si apre un mondo di bellissimi confronti, rapporti, storie e gusti personali che caratterizzeranno le nostre emozioni che l’esperienza di un sommelier potrà poi trasmetterci”.

CHRISTIAN MANDURA
Un assolutista esistenzialista. Un visionario e scapigliato che sta innovando nei piatti e nella fruizione dell’esperienza gastronomica con suo progetto Unforgettable, unico tavolo da 10 posti a Torino dove il mondo vegetale è il centro del pensiero e dei piatti e proteine e carboidrati sono solo satelliti.

“Cibo e Vino appartengono in egual modo alla Tavola. Il nostro lavoro, la nostra passione, ci spinge ogni giorno ad avere alla nostra tavola persone che non conosciamo, ma con le quali condividiamo un momento intimo, un rito di quotidiana familiarità. Credo dunque che la visone vada condivisa con chi è seduto di fronte a noi in quel preciso momento in quel preciso giorno. Lo stesso ospite oggi potrebbe voler fare un esperienza di connessione tra liquido e solido, domani farne una all’antitesi dell’altra. In questo caso, il luogo ed i professionisti che lo animano, devono essere in grado di soddisfarne una o l’altra esigenza, mettendo in disparte una filosofia per mettere al centro il piacere.
Perché non c’è soddisfazione più grande di una tavola che sorride con la complicità dell’alcol”.

ANDREA PASQUALUCCI
Giovane chef neostellato in quel di Roma nel suo Moma. Un outsider nel forse troppo ingessato mondo culinario capitolino. Ragazzo poco ortodosso, profeta del prodotto vero più che del territorio fine a se stesso. Cucina soda, pragmatica e divertente come il nome del ristorante che è sì ispirato al famoso museo ma è anche un rimando scherzoso e sornione al romanissimo MoMagnamo.

“Non sono un grande amante del vino, in particolare dei rossi. Di contro, mi piace molto la
bollicina. Il vino lo considero un elegante mezzo per ottenere equilibrio e credo nel suo utilizzo in cucina perché dà profumi, aromi, profondità, mi riferisco in particolare ai vini liquorosi ideali per fondi e salse. In sala apprezzo molto chi fa ricerca, andando alla scoperta di realtà non necessariamente convenzionali, di chi lavora bene, in vigna e in cantina.

Non credo, per quel che riguarda il vino in cucina, si tratti di una necessità o un corpo estraneo invasivo, ma costruire il wine pairing perfetto è una bella sfida e anche il più grande sommelier avrebbe difficoltà nell’abbinare in modo universale sei piatti a sei vini diversi. Il gusto è anche molto soggettivo. Credo nell’accostamento ideale piatto-calice ma non si può intendere in senso assoluto. Personalmente a tavola vivo il vino come simbolo di convivialità e di ricordi.

Credo più nella contingenza. Non ritengo che una grande cucina abbia bisogno di grandi vini ma che un grande ristorante abbia bisogno di grandi vini. Oggi poi si è molto allargato il panorama del beverage, basti pensare all’attenzione alla carta delle acque, e la ricerca sull’abbinamento si è poi estesa nel mondo dei vini naturali, dei succhi bio, dei fermentati.

Tutto dipende anche dalla situazione: in alcuni casi credo che non abbia senso distrarre l’attenzione del palato con un abbinamento di un vino diverso per ogni piatto, lo trovo un esercizio di stile che spesso rimane freddo. È pur vero però che difficilmente una bevanda quale l’acqua possa restituire le stesse emozioni suscitate da un vino”.

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Jacopo Manni

Nasce a Roma ma si incastella a Frascati dove cresce a porchetta e vino sfuso. L’educazione adolescenziale scorre via in malo modo, unica nota di merito è aver visto dal vivo gli ultimi concerti romani dei Ramones e dei Nirvana. Viaggiatore seriale e campeggiatore folle, scrive un libro di ricette da campeggio e altri libri di cucina che lo portano all’apice della carriera da Licia Colo’. Laureato in storia medievale nel portafoglio ha il santino di Alessandro Barbero. Diploma Ais e Master Alma-Ais, millantando di conoscere il vino riesce ad entrare ad Intravino dalla porta sul retro.

2 Commenti

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marcow

circa 3 anni fa - Link

Mi ha colpito questa opinione di  ANDREA PASQUALUCCI del Moma di Roma che riassume la mia concezione del vino e della degustazione del vino. __ "Il gusto è anche molto soggettivo. Credo nell’accostamento ideale piatto-calice ma non si può intendere in senso assoluto. Personalmente a tavola vivo il vino come simbolo di convivialità e di ricordi" __ C'è qualcosa del MODELLO RELAZIONALE proposto dal prof. Perullo che intendeva superare i limiti del metodo analitico che, comunque, è ancora dominante. Questa percezione è più evidente sui wine blog ma, nella realtà quotidiana della maggioranza dei bevitori di vino, non penso che sia la modalità prevalente di degustazione. Questo è un link con una breve intervista a Perullo che chiarisce la sua proposta. (Non sempre Perullo è così chiaro :-) https://www.nizza.it/il-libro_quasi-un-manifesto-parlare-di-vino-o-parlare-col-vino/ Nella proposta di Perullo, se non ho capito male, si valorizza il GUSTO PERSONALE che è stato, Invece, marginalizzato dal modello di degustazione dominante. Anche nello chef del Moma c'è questa opinione. E, come ho già detto, per me è molto importante nella degustazione di tutti i cibi. __ PS Poiché avevo letto una bella recensione del ristorante Unforgettable di Torino di CHRISTIAN MANDURA vi segnalo questa ottima recensione https://www.convivium.club/reportagedi/convivium/piemonte/torino/unforgettable-torino Perché? Perché questo ristorante è diverso per molti aspetti che ho trovato interessanti. Soltanto in dieci possono prenotare e mangiare. Non ci sono tavoli ma si mangia insieme su un lungo bancone. Soltanto 30 coperti al giorno. Lo chef nelle ultime fasi della preparazione è dai clienti C'è una saletta per aperitivo prima del pasto Ecc...

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marcow

circa 3 anni fa - Link

https://www.convivium.club/reportage/convivium/piemonte/torino/unforgettable-torino

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