Il vino e la ristorazione #1: Caterina Ceraudo, Ciccio Sultano e Angelo Sabatelli

Il vino e la ristorazione #1: Caterina Ceraudo, Ciccio Sultano e Angelo Sabatelli

di Jacopo Manni

Vino e cibo li raccontiamo e li viviamo troppo spesso come una simbiosi, un vivere insieme. Abbiamo creato una cristallizzata, secolare, venerata e oramai canonizzata unione. Ma ribaltando la visione e le prospettive possiamo invece figurarceli piuttosto come una dicotomia, una divisione in due parti distinte e dualistiche, che possono essere sì complementari ma anche escludersi a vicenda.

Il solido e il liquido, che sono per l’appunto stati distinti della materia.

In questo dilemma gastronomico ma soprattutto filosofico vogliamo scoprire come vive uno chef questa dualità: Simbiosi vs Dicotomia.
E’ ora di andare oltre le regole, i canoni, il bersaglio di Mercadini e i manuali di abbinamento. Le imposizioni che hanno fatto scuola sono ormai divenute classicismi da superare.

Per dirimere l’annosa e spinosa questione andremo a chiedere agli chef più interessanti del panorama italico qual è la loro vera e intima relazione col vino. Per capire quanto la loro ricerca è influenzata dal vino. Stellati, cappellati e forchettati o meno abbiamo fatto a tutti gli chef una stessa, unica, ma non risolutiva domanda. Siamo partiti dalla provocazione di Gualtiero Marchesi e il suo pubblico J’accuse contro il vino. Ne parlavamo già qui.

Le risposte sono state calde, variegate e molto interessanti, per cui abbiamo deciso di creare una saga nordica a puntate. La saga la volevamo far cominciare cosi: “In principio c’era il mondo del ghiaccio e del fuoco…” Ma qualcuno è arrivato prima di noi e tutto sommato ci sembrava un pelino ridondante, per cui abbiamo optato e deciso di partire con una semplice, curiosa ma pur sempre sontuosissima e quasi runica domanda (che poi invero sono quattro):

Come interagisci con il vino, quali rapporti hai? Lo consideri una chiave di lettura e un mezzo per ottenere equilibri oppure è una necessità e forse uno scomodo corpo estraneo, invasivo e disequilibrante nella ricerca del gusto e della perfezione palatale?
Una grande cucina ha bisogno di grandi vini? Vogliamo attualizzare la polemica lanciata da Gualtiero Marchesi anni fa e vogliamo capire lo stato dell’arte oggi nel mondo dell’alta ristorazione: Cibo/Vino è necessità o contingenza?

Caterina Ceraudo – chef del ristorante stellato Dattilo, una stella Michelin in quel di Strongoli in Calabria. Si laurea in enologia ma poi arriva il richiamo della foresta e va a studiare da Niko Romito dove impara il rispetto del territorio e se lo porta a casa nella azienda di famiglia. Tecnica, grande mano, timidezza e cazzimma la portano a essere proclamata dalla guida dell’omino miglior chef donna d’Italia nel 2017.

“Il vino fa parte della mia famiglia e dei miei ricordi da sempre. Mio padre Roberto e’ stato un pioniere del biologico e i nostri vini sono rigorosamente bio con una politica di eco sostenibilità all’avanguardia. Per questo mi sono laureata a Pisa in enologia nel 2011. Volevo portare avanti il meraviglioso lavoro che ha fatto mio padre ma per fortuna l’amore per la cucina ha preso il sopravvento. Il vino nella mia cucina ha grande spazio.

In alcuni piatti, ad esempio, il vino è l’ingrediente delle mie ricette. Gualtiero Marchesi credeva nell’equilibrio puro e nei sapori assoluti. Negli ultimi anni della sua vita aveva organizzato  le degustazioni dei menu con la carta delle acque. Io ho un approccio più pratico e meno olistico. Credo nei sapori semplici che diano struttura al palato, al gusto e al piacere. Per fare questo è necessario il vino. Il vino come l’alta ristorazione è frutto di sacrificio e ricerca.

Amo i vini della mia terra non solo perché li conosco ma perché bene si combinano con la mia cucina di territorio e di valorizzazione della materia prima. Ho da poco introdotto un menu tutto vegetale con i frutti del nostro orto che sarà perfetto con il nostro vino bianco Grisara, 100% pecorello o il nostro rosato Grayasusi.”

Angelo Sabatelli – chef una stella Michelin del ristorante che porta il suo nome a Putignano in provincia di Bari. Prende la stella nel lontano 1993 al mitico Convivio dei fratelli Troiani a Roma poi si innamora dell’oriente dove viaggia e si contamina per lunghi anni (brutta scena da evocare in questi tempi, che uno si contamina in oriente in effetti. Ma tant’è). Riporta tutto a casa e apre prima a Monopoli, poi si sposta a Putignano dove trova terreno fertile e ancora vergine dove piantare i semi dei suoi viaggi e riprendersi la stella con una cucina di profonda ricerca e ibrida sapienza.

“Personalmente ritengo che la questione “abbinamento-cibo vino” sia una questione di cui da diversi anni si parla molto, soprattutto perché viviamo in un’era dove molti ristoratori  preferiscono optare per carte vini ridotte facendo spazio ad abbinamenti meno consueti. Oggigiorno molti propongono delle soluzioni alternative come, ad esempio, degustazioni di succhi biologici e cocktail alcolici e non, questo fenomeno sta sempre più prendendo piede ma non per questo il vino di qualità ha perso valore o importanza.

Per me il vino è come gli ingredienti che utilizzo in cucina.
Ho lavorato per più di dodici anni in Asia e al mio rientro ho voluto portare con me tutti i profumi e sentori che ho avuto modo di scoprire vivendo lì, ho acquisito una nuova percezione del gusto ma non per questo ho stravolto il mio modo di cucinare. La mia cucina è legata alla mia terra e sono due cose che vanno di pari passo, ma alle volte ho bisogno di un qualcosa in più per poterlo mettere veramente in risalto ed è qui che faccio ricorso all’ingrediente “straniero”.

Lo stesso si avvale per il vino, come sostiene Marchesi, un buon piatto può essere degustato con un semplice bicchier d’acqua, in questo modo non si andrà a contaminare o sovraccaricare il palato e si potrà percepire ogni sfumatura e sottigliezza del gusto della pietanza, ma altrettanto vero è che un buon vino, scelto con criterio, può creare una sinergia unica e impareggiabile dove le due componenti si complimentano e donano armonia al pasto.

Il vino ha una cosa che l’acqua non avrà mai cioè una carica emotiva.

L’acqua è critica, oggettiva ed analitica come uno scienziato mentre il vino è più simile allo spirito irriverente e creativo dell’artista, entrambi sono validi, competenti e in grado di complementare un pranzo o una cena, ma hanno due prospettive ed approcci diversi, sta tutto nelle mani dei commensali e di ciò che per loro è più importante.

Per me, un buon ristorante deve avere una buona cantina, non necessariamente deve avere infinite referenze provenienti da ogni parte del globo, l’importante è che le etichette scelte siano valide, molti piccoli produttori stanno emergendo e offrono prodotti di grande qualità e aspettano solo di essere scoperti, per questo la ricerca è fondamentale.

Sono un grande amante delle bollicine, Jacques Selosse è uno dei miei produttori di vino preferiti in assoluto, lui però è un capostipite del mondo enogastronomico e ormai sono in migliaia a conoscere il suo lavoro, mentre Giovanni Aiello produce alcuni dei migliori vini di Puglia e vive a due passi da me e pian piano sta iniziando a farsi strada e questo mi riempie il cuore.
ln sintesi rispondendo alla domanda:
“Abbinamento cibo vino, si o no ?”
La mia risposta è sì, ma solo se fatto bene!”

Ciccio Sultano – Se il barocco è “l’esaltazione dei moti fisici e spirituali oltre ogni norma di classica contenutezza, l’ampollosità, il desiderio di meravigliare con spettacolose, illusive scenografie e invenzioni stravaganti e inattese” lui È il Barocco. Ne incarna l’essenza più pura e lo declina nei suoi piatti e nelle sue invenzioni nel suo ristorante Duomo di Ragusa, città barocca per eccellenza, prima stella Michelin nel 2004. Ottiene la seconda nel 2006 e non la molla più dalla sua giacca.

“La cantina, con vini selezionati in maniera intelligente – come suggerisco in Vademecum, secondo Quaderno di CantieriSultano, con i miei consigli per pensare in maniera efficace un ristorante – la cucina e il servizio in sala, compresa la sommellerie sono elementi imprescindibili e interconnessi nella vita quotidiana di una cucina importante.

Il vino è un fattore di equilibrio nei costi di un ristorante. Mi auguro che, prima o poi, anche in Italia il consumo di vino possa arrivare al cinquanta per cento dei ricavi come avviene in altre parti del mondo.
Che si beva meglio. Il vino va considerato alla stregua di un alimento, “masticato”, bevuto cioè in modo maturo e consapevole.
Il vino dà equilibrio, spessore, profondità a un pasto, a condizione di avere un bravissimo sommelier e noi ce lo abbiamo.

Una grande cucina ha bisogno di grandi vini? Senz’altro e non necessariamente costosi. Ha bisogno di artigiani del vino, perché la vite produce uve e non bottiglie. È l’uomo, capace, provvisto d’immaginazione, di idee, che crea la differenza, la qualità. Come in cucina.
Per quanto riguarda il pensiero di Gualtiero Marchesi innanzitutto, mi auguro che il maestro Marchesi ci guardi e continui a guidarci da lassù. Personalmente, se a casa non ho almeno cinque bottiglie diverse mi sento perso. E non sono un etilista. Il vino dà conforto, è felicità, incertezza, discussione. Mi fa sentire, in poche parole, vivo e contento di stare al mondo.

avatar

Jacopo Manni

Nasce a Roma ma si incastella a Frascati dove cresce a porchetta e vino sfuso. L’educazione adolescenziale scorre via in malo modo, unica nota di merito è aver visto dal vivo gli ultimi concerti romani dei Ramones e dei Nirvana. Viaggiatore seriale e campeggiatore folle, scrive un libro di ricette da campeggio e altri libri di cucina che lo portano all’apice della carriera da Licia Colo’. Laureato in storia medievale nel portafoglio ha il santino di Alessandro Barbero. Diploma Ais e Master Alma-Ais, millantando di conoscere il vino riesce ad entrare ad Intravino dalla porta sul retro.

8 Commenti

avatar

vinogodi

circa 3 anni fa - Link

...si cita spesso Gualtiero Marchesi . Con Lui ebbi discussioni accese quando entrò presidente della scuola Alma di Colorno : Lui fautore del cibo senza contaminazioni del vino (tanto da parlarmi di una carta delle acque minerali) io del contrario, del vino come pianeta a sè stante senza bisogno di fare da supporto al cibo , in quanto elemento meno geneticamente ( e tradizionalmente e culturalmente ) predisponente e più cerebrale nell'analisi . Le discussioni furono epiche ma per partito preso , perchè lui apprezzava , nonostante le contumelie infervorate, anche il grande vino ed io la grande cucina...

Rispondi
avatar

Stefano

circa 3 anni fa - Link

Secondo me ci sono dei piatti che bevendo acqua proprio non si possono mangiare...

Rispondi
avatar

vinogodi

circa 3 anni fa - Link

...di contro, esistono tantissimi vini di tale complessità da necessitare attenzione univoca per poter apprezzare le più recondite sensazioni . Il cibo può essere grande complemento, mai grande amplificazione dell'articolazione di un vino. Mentre succede spesso il contrario : un grande cibo può essere ulteriormente e sinergicamente amplificato nella caratterizzazione da un vino di grande assonanza sensoriale...

Rispondi
avatar

Marco

circa 3 anni fa - Link

"Il vino è un fattore di equilibrio nei costi di un ristorante. Mi auguro che, prima o poi, anche in Italia il consumo di vino possa arrivare al cinquanta per cento dei ricavi come avviene in altre parti del mondo." Ma se la strada è quella di aumentare i ricarichi... Ho mangiato nel ristorante di Sultano ad agosto, oggettivamente i ricarichi erano elevatissimi (come riferimento mi ricordo Etna Rosso Cirneco 2011 che era circa 3 volte quello che avevo pagato in una trattoria pochi giorni prima). Ricordo che mentre nel cibo c'è la materia prima, ma anche tantissimo lavoro, intelligenza, creatività, e quindi margini elevati sono giustificati, nel vino - a parte il costo del capitale, che però in questo momento è bassissimo - cosa c'è, se non speculazione? Personalmente - salvo qualche eccezione tipo Sultano - applico la regola che se dal sito vedo ricarichi indecenti, il ristorante lo evito qualunque sia la sua cucina.

Rispondi
avatar

Enzo

circa 3 anni fa - Link

Approvo identicamente il tuo pensiero: sempre più’ vergognosamente in Sicilia nei ristoranti “stellati” un vino viene fatto pagare anche fino a cinque volte il prezzo originario La regola giusta sul prezzo al ristorante dovrebbe essere: Acquisto da vignaiolo o distributore 1,5 Ogni anno di conservaz. da acquisto 1,1 Servizio al calice di cristallo e secchio 1,1 Servizio con sommelier 1,3 Quasi mai lo chef se ne intende di vino. E quasi mai il sommelier se ne intende di cibo Mediamente

Rispondi
avatar

Stefano

circa 3 anni fa - Link

... ma pure spesso nemmeno il sommelier se ne intende di vino!

Rispondi
avatar

marcow

circa 3 anni fa - Link

È stato il più grande innovatore della cucina italiana. Dopo essere stato a scuola in Francia con i grandi della Nouvelle Cuisine, la cui lezione resta tuttora valida. __ La cucina creativa italiana è entrata, secondo me, in una profonda crisi di creatività. Si regge per la super pompatura mediatica. Molti piatti sono rimaneggiamenti e scopiazzature di piatti già visti centinaia di volte. __ Chiaramente sto esprimendo un'opinione di carattere generale e non riferiti ai tre chef. __

Rispondi
avatar

domenico farina

circa 3 anni fa - Link

Articolo interessante ed evocativo. Personalmente credo che senza la ristorazione, i grandi vini non vanno da nessuna parte: soprattutto per i grandi rossi o ii bianchi importanti (vedi Borgogna). E' oggettivamente difficile l'abbinamento con la cucina di casa. Il connubio, quindi, va ricercato e mi piacerebbe che gli chef sponsorizzassero il territorio con ricarichi "umani". Ma sappiamo tutti che è un giovo di domanda/offerta. Paradossalmente, a Milano, ho potuto riscontrare ricarichi meno turistici in un range 1,5/2.

Rispondi

Commenta

Rispondi a marcow or Cancella Risposta

Sii gentile, che ci piaci così. La tua mail non verrà pubblicata, fidati. Nei campi segnati con l'asterisco, però, qualcosa ce la devi scrivere. Grazie.