Il ricordo di come Radikon è entrato nella mia vita
di Emanuele GiannoneCerti giorni il cielo si fa più grigio e piovono lacrime di circostanza e di coccodrillo. Le voci più chiare sono di chi ha più da apparire che da dire. Doveri di cronaca, imperativi kat’egotici. Fanfare sul grigio.
Sono amico di Stefano Pollastrini. Ora: c’era una volta il tempo dei vini sbagliati che le voci di città chiamavano contadini, in burla evidente e superciliosa dei bifolchi di campagna e dei loro storti vini da scampagnata. Un giorno Stefano, oste anarchico pescatore, mi presentò quella bottiglia da ventimila lire. Lui delle buone creanze urbane se ne fotteva già quando a Roma le carte e gli scaffali erano fotocopie delle guide. Quando a fare il vino erano premi e punteggi. Quando via Mantegazza era isolata da un cordone sanitario. Stefano frequentava Stanko e ne vendeva il vino – smise solo quando lo impose il passaggio di Radikon alla distribuzione organizzata. Bottiglie sugli scaffali, foto di gruppo, di ebbrezze e merende. Il Vissuto.
Io ho cominciato così. Una brusca sterzata, ventimila lire e la città che si allontana.
Negli anni seguenti, fortunatamente, fu la città a rifarsi il gusto, l’educazione e il vocabolario. La mia compagnia di bevute contadine si fece via via più numerosa. Fino a quest’ultima bottiglia prima di una giornata grigia.
Grazie a voi, matti, contadini e pescatori.
[Foto: Mauro Fermariello]
2 Commenti
andrea jermol groppi
circa 8 anni fa - LinkLe rughe del sole e del dubbio, l' affetto, le mani dell' homo faber. Che bella immagine. Vino amore, mente e fatica.
RispondiClaudio
circa 8 anni fa - LinkSi sommano i ricordi di critiche feroci Di vini testardi e contadini. Di detrattori legati a sensazioni comuni e conformiste... Bisogna parlare e ascoltare chi ha qualcosa da raccontare...questo è il vero insegnamento... Grazie per averci raccontato e fatto imparare ...
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