Il piccolo produttore ci attizza ma anche quello medio va bene, quando non è mediocre

Il piccolo produttore ci attizza ma anche quello medio va bene, quando non è mediocre

di Fiorenzo Sartore

Questa è una di quelle storielle che iniziano con un certo mood e finiscono con un altro, e in coda ci sta la morale: ad assaggiare vino si diventa persone migliori. Dunque ecco qui.

Io sono uno di quelli che “piccolo è bello”. Per una serie di motivi che non vi sto a dire (ma semmai qui trovate qualcosa) ho una tendenza a selezionare i cosiddetti piccoli produttori tra gli oggetti del mio amore e del mio commercio. A questo Vinitaly (tuttavia) mi succede di accettare uno dei mille mila inviti da parte di una persona alla quale è difficile dire di no. Avete presente le pierre con le Louboutin? Ecco, non aggiungo altro. Per una volta non farò nomi e cognomi di cantine, un po’ come i passivi-aggressivi che su Facebook scrivono “ci sono certi che”. Sappiamo che quello è IL MALE ma ora davvero non serve dire chi e checosa.

L’azienda in questione è decisamente del tipo grande. Ha vigneti su quattro provincie, tra Siena, Firenze, ma pure Grosseto e per quel che ne so arriva anche in Molise.

Il problemone è che durante i miei assaggi viene fuori che il 90% di quella produzione aziendale è del tipo, come dire, dimenticabile. C’è un modo di descrivere criticamente un vino senza finire con l’essere offensivi? Credo di no, però ci provo. Il vino dimenticabile è quello che ti lascia freddo, perché parte freddo: è evidente la virtù del tecnico di cantina, tra temperature controllate e lieviti selezionati. In questi casi io uso dire va tutto bene eppure non scatta il feeling, quel vino è un po’ rattrappito nella sua perfezione glossy. Quelli come me che danno punteggi centesimali si fermano, negli appunti, a 82-83 centesimi. Non è una bocciatura, ma non è nemmeno una vittoria.

Poi semmai dovremmo tutti ragionare su quanti vini si bloccano su quei punteggi, e quanta percentuale dell’enosfera essi rappresentano. Ma questo è un altro discorso e adesso ci devia dalla storiella di cui sopra.

Proseguendo gli assaggi numerosi, m’è salita la depressione: come ne esco? Come ce lo dico? In aggiunta pensavo “quando la pianti di star dietro a quelle con le Louboutin?” ed altre cose così.

Poi alla fine succede il fatto: assaggio alcuni vini di una proprietà marginale di quell’azienda, e si apre un mondo. Come se l’intero 90% della holding servisse a finanziare esattamente quel 10% eccellentissimo, arrivano nei bicchieri una serie di cose sensazionali, tutte sui 90/100 (arieccoci coi punteggi). Da qualche parte qualcuno nel management deve aver detto: qui per favore facciamo le cose sul serio. E davvero quei vini erano un altro mondo, erano profondi, complessi, caratteriali.

Quindi la domanda è: che lezione si tira fuori da tutto ciò? Per esempio questo, in ordine sparso: si dovrebbe evitare di procedere per gruppi, tribù, compartimenti stagni o bolle. Cioè si dovrebbe esercitare la preziosa funzione del gusto dopo l’assaggio, e non prima, in modalità ipotetica. La funzione dell’assaggiatore sarebbe esattamente quella, e se ci ricordiamo di applicarla anche in maniera trasversale, magari tra un assaggio e l’altro finiamo per imparare ad aspettarci, una buona volta, l’inaspettato.

Oppure: se invece procediamo per gruppi tribù eccetera, e diamo un giudizio legato al gusto invariabilmente prima dell’assaggio, vuol dire che siamo pre-condizionati da una cosa che si chiama ideologia. Attenti che non sto nemmeno dicendo che l’ideologia sia un male, sto solo dicendo: vedi tu da che parte stai.

Altra cosa: e il piccolo è bello adesso, va a farsi benedire? Ma no. Però appunto quella è una pre-condizione che genera un pre-giudizio. Quindi ecco a voi dimostrato come l’assaggiatore di vino determinerà un mondo migliore attraverso l’analisi gustativa e filosofica dell’esistenza.

Postfazione paracula: vale anche per gli assaggiatori di formaggio, e di qualsiasi altro elemento edibile.

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Disclaimer: per aumentare la cortina fumogena le provincie sono state modificate, e nemmeno le scarpe erano davvero Louboutin.

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Fiorenzo Sartore

Vinaio. Pressoché da sempre nell'enomondo, offline e online.

5 Commenti

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Andrea

circa 7 anni fa - Link

Eno-fetish! ;-)

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Denis Mazzucato

circa 7 anni fa - Link

Beh, ma alla fine tu hai dimostrato di non essere pre-condizionato dall'ideologia visto che ad assaggiare quei vini ci sei andato! Magari sei pre-condizionato dai tacchi 12 con suola rossa, ma vabbè... nessuno è perfetto.

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Simeone

circa 7 anni fa - Link

Torna sempre più in voga il vecchio adagio "bere con la bocca e non con la testa"

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Stefano

circa 7 anni fa - Link

Scusa, ma è esattamente quello che mi aspetto da una azienda come quella che descrivi: un decimo di eccellenza per le guide e i critici, nove decimi per tutti gli altri che devono acquistare e bere; quante ce ne sono di aziende così? E quante pierre così?

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nicola barbato

circa 7 anni fa - Link

peccato.
che non fossero davvero le louboutin.

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