Il piccolo grande whisky del Giappone si chiama Chichibu

Il piccolo grande whisky del Giappone si chiama Chichibu

di Thomas Pennazzi

Venerdì 26 ottobre il Whisky Club Milano ha tenuto una degustazione sulla Chichibu Distillery, una piccola realtà nata ad un centinaio di chilometri da Tokio, che si è rapidamente imposta tra i cultori del whisky sparsi per il mondo come il più interessante produttore del Sol Levante in questi ultimi anni, scalzando la fama di Nikka e Suntory. Già quest’inverno, in una serata dedicata alla scoperta del whisky orientale, paragonavo la Chichibu alla Brasserie Cantillon: due realtà artigianali simili per filosofia produttiva, dove la tradizione – invero recente per il whisky giapponese – si lega ad una dinamica ed appassionata ricerca della qualità.

La serata, la prima degustazione organica di questa distilleria tentata in Italia, era quindi un’occasione preziosa per approfondirne la conoscenza, con l’aiuto dei relatori Alessandro Coggi, Claudio Riva e Davide Terziotti. La Chichibu Distillery nasce da premesse lontane: già da secoli la famiglia proprietaria produceva sake nella stessa città, e da meno tempo shochu. Dal 1946 i nonni dell’attuale titolare iniziavano la produzione di grain whisky nella distilleria Hanyu, e dagli anni 1960 la vendita in proprio, con il loro distillato miscelato a malt whisky scozzese. La produzione era comunque limitata a pochi mesi all’anno; la grande crisi del whisky farà però chiudere questa distilleria.

Il protagonista della rinascita, Ichiro Akuto, dopo un’esperienza alla Suntory, ha fondato una nuova distilleria di whisky nel 2007, la Chichibu, dando nuova linfa all’acquavite made in Japan. Per poter lavorare da subito, si è faticosamente creato uno stock riacquistando molti dei barili ancora in circolazione prodotti dall’azienda di famiglia, e dalla distilleria Kawasaki, un’altra azienda chiusa da tempo, e qualcosa dalla Karuizawa. L’idea di fondo di questa piccola ditta, capace di circa 600 hl/alcool puro/anno (ma in imminente raddoppio), poco rispetto alla concorrenza, è di lavorare materie prime locali in proprio; quindi dall’impiego (ancora limitato) di orzo e torba della sua provincia, passando per il maltaggio in casa, alla fermentazione in tini di quercia giapponese e alla distillazione con due piccoli alambicchi scozzesi piuttosto corti di collo. Infine, la ditta possiede anche la propria manifattura di botti con cui ricava i pregiati fusti di legno Mizunara, tanto costoso quanto poco adatto a contenere il distillato, per l’elevata evaporazione e la tenuta meno stagna rispetto alla quercia europea. Ma gli aromi che cede al distillato sono peculiari d’Oriente e parecchio interessanti.

Non esiste ancora una linea stabile negli imbottigliamenti di Chichibu: il grosso della produzione viene venduto giovane, insieme ad una quota di blended con le vecchie riserve di Hanyu e le altre vecchie botti. Ogni imbottigliamento si compone di qualche migliaio di bottiglie, per cui va esaurito presto, anzi a ruba, data la fama della distilleria. Le botti usate per ora sono di origini molto diverse, da cui si ottiene un whisky dal carattere incostante, quasi unico per ogni etichetta. Il finishing è svolto con botti ex- sherry, porto, vino, e bourbon, quando non con botti di legno Mizunara.

Il filo conduttore di ognuno di questi whisky è l’aroma ricco e profondo, espresso con intensità: che siano le lunghe fermentazioni, o l’uso del legno giapponese, o ancora gli alambicchi di dimensioni contenute, l’impressione generale che si ricava dal bicchiere è di una qualità e di un carattere assoluti, di gran lunga più interessante di altri distillati del Sol Levante, e non solo. Il carattere grasso e concentrato di questi whisky, dicono gli esperti, ricorda da vicino quello dei malti scozzesi dei tempi migliori, quando la loro produzione non era così industriale come oggi, e le botti ancora di buona qualità. Di sicuro i Chichibu non sono distillati per tutti i palati, proprio perché il bevitore medio non è più abituato alla complessità aromatica, che il whisky moderno ha ormai perso a favore di una beva più facile, e quindi popolare.

Il rovescio della medaglia è il costo di queste bottiglie, che raggiunge facilmente gli € 200/300 pur se sono distillati giovani, per le dinamiche commerciali di importazione e distribuzione, e per la domanda elevata dei collezionisti e dei conoscitori.
La degustazione ha allineato sette espressioni del whisky della Chichibu Distillery in una sorta di crescendo alcolico rossiniano, dal tono trionfale: impossibile alla fine non tributare un applauso convinto ad Akuto-sensei.

Chichibu - lineup

Ichiro’s Malt Double Distilleries 46°
Blend di Single Malt whisky, in parte proveniente da vecchie botti di Hanyu ex-sherry, in parte da Chichibu, con assemblaggio in legno Mizunara.
Calice pieno e fruttato, più ampio ed intenso nel tempo, di buona concentrazione; l’evoluzione è verso lo speziato. Palato appena secco all’inizio, poi sempre più ampio, vinoso e dolce. Finale equilibrato dal sentore quasi di fungo. Molto scozzese, con aromi splendidi al naso.

Ichiro’s Malt Mizunara Wood Reserve 46°
Non è dato sapere molto di questo vatted malt, probabilmente composto di un Chichibu maturato in legno Mizunara, e assemblato nel tino dello stesso legno con altro whisky, forse ancora di Hanyu. È lo stesso già degustato in inverno.
Il naso è dapprima austero, per poi aprirsi. Meno fruttato del precedente, l’aroma è balsamico e legnoso. In bocca si rivela abbastanza speziato e piccante, pur con una certa rotondità. L’alcool si fa sentire. Chiude corto e pungente, ma lascia il ricordo di un aroma assai caratteristico, del tutto orientale.

Ichiro’s Malt Wine Wood Reserve 46°
Vatted malt; anche qui vengono date poche informazioni, salvo la maturazione in botti di vino, ed il finishing nel loro celebre tino a forma di uovo.
Al naso è modesto e secco, molto meno ampio dei precedenti; col tempo esprime un vinoso potente e lievemente ossidato. Non è un whisky facile al palato: più vuoto degli altri, vinoso ed alcolico, mal decifrabile. In finale è corto e poco armonico. Sicuramente è la prova meno convincente delle tre etichette con la foglia.

Chichibu – The Floor Malted – 2009-2012 50,5°
Interamente da whisky distillato a Chichibu, con maltaggio dell’orzo a pavimento, è un gioiellino di bicchiere. Il suo stile ricorda parecchio lo Speyside, ma possiede un profondità superlativa in rapporto alla sua giovanissima età. 8800 le bottiglie prodotte.
Al naso delicato, fine, lievemente alcolico: note di cereale, di miele, e di frutta gialla si accavallano in un bouquet ampio e soddisfacente. In bocca è dolce e cerealoso, poi piccante, mentre tornano le note fruttate del naso. Molto equilibrato. Se bisogna trovargli un difetto, finisce corto: ma è solo un peccato di gioventù, è un bimbetto di 3 anni! Magari ne avessero, in Scozia di questi. Chissà di cosa sarebbe capace con dieci anni di invecchiamento.

Chichibu Chibidaru – 2010-2014 53,5°
Seimiladuecento bottiglie per questa release maturata in quarter cask, cioè botti di dimensioni più piccole, quindi con maggior contatto del distillato col legno.
Naso timido e agrumato, di seguito malto finissimo, infine ecco la nota di legno aromatico. Il palato è sconvolgente: sembra quasi un cognac, tanto è profondo e legnoso, senza essere aggressivo. Chiusura secca, ancora riccamente aromatica. Ottima prova.

Chichibu IPA Cask Finish 2017 57,5°
Curioso esperimento di finishing in botti di birra: del resto whisky e birra cosa sono se non fratello e sorella? Le botti sono state prestate dalla distilleria ad un birrificio locale, e poi restituite usate per maturarvi il whisky. Era un gioco rischioso, ma valeva la pena tentare. 6.700 le bottiglie prodotte.
Anche un cieco l’avrebbe detto: un bicchiere erbaceo, luppolato, circondato da un malto fresco e quasi caseoso, infine con note tropicali. In bocca è esplosivo: piccante, speziato e secco, con una ricchezza di fondo notevole. Il finale è ancora piccante e parecchio goloso. Un whisky eminentemente gastronomico, sebbene non abbia messo d’accordo tutti: ma è una bottiglia con i fiocchi. Peccato sia solo una prova d’artista.

Chichibu The Peated 2015 62,5°
Non poteva mancare un assaggio di un whisky torbato: la distilleria li fa come ultima lavorazione prima della chiusura annuale, per non inquinare il resto dei lotti. Circa 50 ppm, il livello di affumicatura, dicono i conoscitori.
Mi viene difficile infilare il naso nel calice, ma… la torba sgraziata nasconde uno splendido malto fruttato: bisogna solo avere un po’ di pazienza. Sebbene il fumo si imponga al palato, il whisky sottostante è impressionante per ricchezza, tanto che nasconde del tutto la robusta gradazione naturale di botte: grasso ed oleoso come pochi, è un prodotto eccellente, come non se ne fanno più da decenni in Scozia. Anche se non vi piacciono i whisky torbati, sarete irretiti da un simile malto.

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Thomas Pennazzi

Nato tra i granoturchi della Padania, gli scorre un po’ di birra nelle vene; pertanto fatica a ragionare di vino, che divide nelle due elementari categorie di potabile e non. In compenso si è dedicato fin da giovane al suo spirito (il cognac), e per qualche anno ne ha scritto in rete sotto pseudonimo.

1 Commento

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Claudio Riva - Whisky Club Italia

circa 5 anni fa - Link

Thomas grazie per il tuo contributo. Sembra impossibile che una distilleria con solo 10 anni di vita possa essere già così apprezzata dagli appassionati di whisky, ma basta metterci il naso per capirne le ragioni.

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