Il marker minerale dei vini di Frascati sotto esame. Teoria e assaggi insieme

Il marker minerale dei vini di Frascati sotto esame. Teoria e assaggi insieme

di Andrea Gori

Il termine sul vino più abusato negli ultimi anni è indiscutibilmente “mineralità”: purtroppo, specie aromaticamente, nel 99% dei casi a sproposito. Ci sono però vini che soprattutto al palato recano indelebile la traccia di mineralizzazione delle sue componenti e che in questa nota gustativa tra il piccante, il sapido e l’umami costruiscono la loro fortuna e la loro riconoscibilità. È una caratteristica intrinseca di vini vulcanici come Soave, Durello, Etna, Orvieto e pochi altri al mondo, ma l’assaggio di alcuni Frascati – sì, Frascati! – all’evento Vinalia Priora dello scorso aprile non può far dubitare della sua esistenza anche nel famoso areale dei Castelli Romani.

Anzitutto, cosa si intende per mineralità?

Nell’azzeccata definizione di Daniel Lefebvre (qui trovate una bellissima intervista al riguardo su Le Rouge et Le Blanc) si intende il rapporto tra la componente organica e le componenti minerali intese in termini di sali di potassio, magnesio e fosforo. Non è tanto quindi l’estratto secco ma sono le componenti capaci, in sinergia con il resto del vino, a conferire un gusto sapido con sfumature umami che rendono tridimensionale e appagante la bevuta, regalando la tanto agognata mineralità.

Il compito del vignaiolo è un lavoro di trasformazione dell’organico ed effimero (il frutto fresco dell’uva) in qualcosa di più “inorganico” e stabile come il vino, dove la componente minerale rappresenta quasi sempre l’85% del totale (acqua, sali), a fronte di un 15% di organico tra alcol, zuccheri, glicerina e tannini.

La mineralizzazione viene portata avanti con mezzi fisici (pressatura e rottura degli acini), mezzi biologici (la fermentazione che trasforma le componenti organiche come gli zuccheri in componenti più stabili come l’etanolo) e mezzi chimici come l’ossidazione, arma finale della mineralizzazione (basti pensare ai vini orange, fortemente mineralizzati ma con ricordi labili della componente organica iniziale).

Nel caso di vini dolci (Alsazia) o con note fruttate dolci e rotonde molto evidenti (come il Frascati, specialmente nelle storiche versioni dolci Cannellino), il lavoro di mineralizzazione del vignaiolo dona armonia ed equilibrio speciale alla componente gustativa, rendendo i vini eccezionalmente gustosi, profondi, e facendo al contempo risaltare, come in alta definizione, le caratteristiche del frutto e dell’acidità.

Nelle uve che crescono sui suoli vulcanici, il fenomeno è particolarmente evidente (e spesso non necessita di tecniche speciali da parte di chi produce il vino) quando si usano vitigni con aromaticità primaria e secondaria non elevatissima, basse rese, macerazioni lunghe, poca solforosa e soprattutto se hanno viti le cui radici af