Il giorno in cui ho iniziato a dare del tu all’Erbaluce di Caluso Le Chiusure di Benito Favaro (2021-1996)

Il giorno in cui ho iniziato a dare del tu all’Erbaluce di Caluso Le Chiusure di Benito Favaro (2021-1996)

di Daniel Barbagallo

I bilanci non sono un affare semplice, segnano un punto fermo, sono un istante preciso nel quale ci guardiamo dentro con un occhio rivolto al passato e l’altro al futuro, ricordando da dove siamo partiti per immaginare dove vorremmo arrivare.

Venticinque vendemmie per la famiglia Favaro, vignaioli in Piverone, immagino siano questo: Benito e i figli hanno contribuito a dare lustro all’Erbaluce di Caluso, non propriamente un vino conosciuto. Essere bianco in una regione famosa per vini rossi osannati e ricercati in tutto il mondo non è affare semplice, occorre sgomitare almeno il doppio per farsi notare.

Per questi motivi, mi ha fatto un gran piacere partecipare ad una giornata in cui abbiamo viaggiato a ritroso nel tempo insieme alle bottiglie di Erbaluce di Caluso Le Chiusure e ai racconti di Benito Favaro e suo figlio Camillo. La memoria storica di una denominazione è fondamentale e spesso più che le regole sono proprio le eccezioni a profilare un risultato altrimenti inimmaginabile.

Al tavolo, appena una decina di persone tra professionisti, addetti ai lavori e grandi appassionati. Vecchi e nuovi amici con cui confrontarsi, scherzare e bere di gusto, perché poi è per questo che il vino esiste. Foto e scritti sono solo un di più.

Quindi per un paio d’ore svesto i panni del bevitore seriale e indosso quelli del degustatore attento. Non conosco così bene l’Erbaluce da potermi permettere distrazioni o confidenze di troppo: è un vitigno a cui do del lei per scarsa conoscenza e occasioni di bevuta sin troppo rare.

Col senno di poi, devo dire che i risultati sono stati tutto fuorché scontati, tra annate con differenze ben marcate e picchi qualitativi che hanno retto perfettamente alla prova del tempo. La panoramica ci ha fatto capire le potenzialità di questo vino e quanto oggi siamo ancora in ritardo nel valorizzare realtà colpevolmente poco conosciute.

Concludo l’introduzione dicendo che i giudizi al tavolo sono stati abbastanza omogenei: solo un paio di annate ci hanno diviso nel merito, portando a riflettere sull’importanza del dissenso nelle degustazioni (riflessione molto articolata che non sto qui a spiegare ma che mi è piaciuta molto e di cui farò certamente tesoro).

Qualche nota tecnica preliminare. Le vigne più vecchie dell’azienda sono del 1991, alcune sono state piantate nel 2001 e le ultime nel 2015, il vino fa acciaio ed una piccolissima percentuale di legno, mai oltre il 5%. Le diverse annate sono stati servite a coppie e ho riassaggiato ogni vino due ore dopo la degustazione, cosa che mi piace sempre fare per avere un quadro d’insieme più preciso.

Buon viaggio!

2021
Annata decimata dalla grandine. Floreale, salvia, pesca e menta. Sapido e con acidità sferzante. Personalmente mi è piaciuto molto.

2020
Timbro più classico e ampio, bella energia, agrume e soffio di albicocca sul finale. Bella persistenza, goloso e saporito.

2019
Pepe bianco, fieno e fiori di agrume, vino di bella prospettiva sul quale scommettere qualche anno in cantina. Piacevole incursione di liquirizia ad aggiungere slancio.

2018
Una delle bottiglie più divisive. Naso introverso marcato da un velo di riduzione, in bocca caldo su toni esotici ma la salinità lo aiuta ad equilibrarsi. Al secondo assaggio si concede di più mantenendo comunque le sue caratteristiche.

2017
Corteccia ed erbe di campo, noce moscata e camomilla, bocca rocciosa che va dritta per la sua strada senza chiedere permesso e attendere giudizi. Insolente quanto basta per farsi notare.

2016
Una delle bottiglie della serata, esuberante e maturo, attacca la bocca con spinta e scava in profondità. Chiude con le prime note di miele che danno quel tocco in più dando una spinta ulteriore nell’allungo. Bello, davvero bello.

2015
Annata segnata dal caldo, molto impattante e generoso, buono ma meno a fuoco del precedente. In solitaria avrebbe spuntato un risultato migliore ma il confronto con la 2016 certamente lo penalizza.

2014
Altra grande versione, ricordi di Riesling e naso stupendo di mandarino e dattero. Vino di grande tensione ed energia mitigata sul finale da rimandi mielati che lo fanno chiudere con grande morbidezza. Guarda ancora al futuro.

2012
Vino pieno e grasso, balsamico, resine ed erbe aromatiche, in bocca mantiene una bella freschezza, comunque ci ho messo un po’ più degli altri ad inquadrarlo. Nel pieno della maturità per chi cerca il momento giusto.

2011
Note caramellate e di mou, poi biscotto, uva sultanina e zucchero velato. Vino che non ha la grinta delle versioni migliori, più riflessivo che incisivo.

2010
Una macchina che va a 300 km/ora e non sbanda in curva: equilibrio da manuale con tutto il corredo vegetale di fiori e di frutta. In bocca è un peso medio che sa dove colpire. Altra versione da podio. Piaciuto un sacco.

2009
Opulento, miele burro e albicocca disidratata, annata che prepara il terreno alle
successive annate calde che verranno. Comunque c’è eccome e si fa bere con piacere.

2008
Fresco e complesso, note di botrite molto affascinanti, vino di contrasti tra note di agrumi freschi e maturazioni spinte. Bottiglia tra le più seducenti della giornata, un solido centro bocca ancora vibrante gli consegna il premio per l’originalità. Affascinante, come minimo.

2007
Caldo, ancora molto frutto: una sorta di 2009 versione light.

1996
Prima annata vinificata in un garage senza controllo delle temperature .
Naso piccante di incenso, cenere ed erbe aromatiche. Vino non per tutti ma per me sì.

Il rischio più grosso che si corre a parlare dell’Erbaluce di Caluso (doc in generale, Le Chiusure in particolare) è vederlo solo come grande amico della tavola. La sua capacità evolutiva dovrebbe aprire un orizzonte differente, cominciando a vederlo anche come vino con il quale far cantina con una certa serenità. Ha materia e spina dorsale per giocare un campionato differente da quello in cui probabilmente si trova.

Se il produttore fa la sua parte gettando i timori reverenziali, il consumatore dovrebbe fare la propria credendoci fino in fondo.
Io personalmente alla fine della degustazione ho guardato l’ultimo calice di Erbaluce che avevo in mano e ho sentito chiaramente che da oggi possiamo darci del tu.

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Daniel Barbagallo

Classe 1972, di Modena, imprenditore nel tessile. Padre siciliano, madre modenese, nato in Svizzera. Adoro la Borgogna, venero Bordeaux e il mio cane si chiama Barolo. Non potrei mai vivere senza Lambrusco. Prima di dire cosa penso di un vino, mi chiedo cosa pensi lui di me. Ho sempre sete di bellezza.

4 Commenti

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Omikelet

circa 1 anno fa - Link

L’ Erbaluce di Favaro è davvero un grande bianco italiano che mi è sempre parso un po’ sottovalutato. Da un lato sono molto contento che venga riscoperto , dall’altro abbastanza preoccupato che questo si accompagni a una prevedibile fiammata dei prezzi che, oggi, sono assolutamente umani. Comunque onore al produttore!

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Nic Marsél

circa 1 anno fa - Link

Tanta invidia...

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massimo rustichini

circa 1 anno fa - Link

davvero molto interessante !!!

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Vinologismo

circa 1 anno fa - Link

Camillo prima di tutto grande persona e poi ovviamente grande vignaiolo nella più vera e genuina accezione del termine....tra i migliori bianchi italiani ...bravo Camillo!!!!!

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