Il Gin Day 2017 è tonico e sta crescendo

Il Gin Day 2017 è tonico e sta crescendo

di Thomas Pennazzi

Il Gin Day, due anni dopo: mi riaffaccio alla due giorni dedicata allo spirito inglese per eccellenza, per vedere che aria tira e cosa è cambiato nel pazzo ginepraio milanese.

La manifestazione si è fatta adulta: da questa edizione cerca di assomigliare più ad una seriosa fiera di settore che all’happening casinista e hipsterone che era fino ad ora, e si entra a pagamento. Il Gin Day contiene adesso al suo interno una grande masterclass per bartender, ed una Gin School dove chi insegna sono alcune delle star della mixologia londinese e nostrana, presenti nella Worlds50BestBars. Spesso italiani perché, inutile dirlo, Italians mix it better!

Pubblico, tanto, ma meno caos di prima grazie agli ampi spazi del MegaWatt Court, che ospita parecchi degli eventi alcolici di Milano. Anche il gin è cresciuto? Scopriamolo insieme.

La risposta è: sì, nei numeri almeno. I gin nel mondo aumentano ad un ritmo vertiginoso; mese dopo mese apre una nuova distilleria o una vecchia si cimenta nell’esecuzione del suo ginepro. Ormai le etichette sono forse 4.000, di cui un centinaio in Italia. Sì. Avete letto bene. Cento: impossibile anche solo pensare di assaggiarli tutti, i nostrani.

Tra porcherie solenni, prodotti da miscelazione dai sapori improbabili, gin innovativi, classiconi intramontabili, e selezioni di nicchia superpremium, c’è da divertirsi per ogni palato. Gli stili numerosi, ed i sapori ricavati anche dalle erbe più strane ed esotiche, fanno del gin un qualcosa di mai prevedibile ed incasellabile a priori.

Tentiamo: a grandi linee potremmo dividere i gin in classici (non molte droghe (*) : ginepro, agrumi, coriandolo e angelica e poco altro), classici con variazioni (dove i gin trovano un twist insolito con l’uso di aromatizzanti atipici, pur conservando la prevalenza delle note citriche e del ginepro) ed innovativi (in cui ginepro ed esperidacee non sono più né protagonisti né comprimari, ma semplici comparse).

Con questi ultimi il rischio di trovarsi nelle sabbie mobili è alto: il più delle volte si forza così tanto la mano all’acquavite, che il cliente si domanda cosa stia davvero bevendo. Sarebbe più corretto e commercialmente onesto chiamarli herbal spirits e non gin, poiché questi intrugli nulla hanno più in comune con il nobile distillato se non il nome in etichetta. Ma senza di esso non si venderebbero. Avanguardisti del bicchiere, siete avvisati.

Il gin nasce come medicina stomachica, per poi diventare alcool da due soldi per ubriacare il popolaccio (inglese). Si nobilita inventandosi mixer nei nascenti cocktail a metà Ottocento, e poi finisce lì, anzi no: esplode come seconda gin craze nella cocktail culture di fine millennio, mentre nella Spagna, vacanziera e non, sorgono come funghi le gintonerie (nel Paese iberico si consuma una robusta parte del gin mondiale). Ciò che vediamo oggi è una bolla figlia di questa tendenza: forse abbiamo raggiunto l’apice negli ultimi due anni. E può anche bastare.

La degustazione del gin puro è cosa bizzarra, e francamente quasi mai facile: è uno spirito da diluire, troppi botanicals (i vegetali o droghe, da cui estrarre gli aromi), troppa essenza di ginepro, anche troppo alcool, di frequente. La bevanda è al limite dell’indigeribile, e questo spiega perché in certi blasonati bar londinesi non vi serviranno più di due Martini o Gin Tonic di fila. Questione di stile. Non fatelo nemmeno nell’intimità di casa, o finirete riversi in qualche suo improbabile angolo, dopo aver magari riversato anche il contenuto del vostro stomaco nel cachepot della pianta tropicale, o sul tappeto persiano tanto caro a vostra moglie.

Come fare ad orientarsi in tanta vastità di offerta? Ormai anche nel più scalcinato dei bar di paese i gin si moltiplicano, e oltre all’onnipresente Gordon ed al “moderno” Bombay Sapphire, compaiono gin pretenziosi, che il ragazzotto medio già conosce e chiede al suo barista. Ma sono una miriade: è facile perdersi… di spirito.

Un aiuto arriva da un recentissimo e prezioso libretto presentato all’evento di quest’anno, scritto a sei mani ed un obiettivo, dal titolo «Lo Spirito del Gin»: tanto essenziale quanto completo, e raggiunge lo scopo. Gli autori Davide Terziotti, navigato alcolista e whiskologo, e Vittorio d’Alberto, la voce italiana sul mondo del gin (il suo blog è stato aperto nel 2013) supportati dalla limpida fotografia di Fabio Petroni, e dalla competenza mixologica di Ekaterina Logvinova, hanno dato vita ad un volume dal taglio agile, che vi introduce dritti al cuore del gin odierno, senza annoiarvi un istante. Il repertorio è sufficientemente ampio per sapere dove mettere le mani. Per tutto il resto c’è il Gin Day.

E per chi fosse rimasto lontano dall’evento, la Gin Cocktail Week ha offerto la possibilità di degustare lo spirito in decine di locali sparsi in tutta Italia fino a domenica 17 settembre.

Qui sotto vi presento un po’ di assaggi, senza alcun criterio logico, per raccontarvi cosa c’è nei bicchieri di gin nel 2017.

Juniper twig with berries

Luxardo | Gin 
Una delle distillerie italiane più cariche di storia ha rispolverato letteralmente nel 2016 una sua vecchia ricetta, forse autarchica: su un loro flyer si legge in piccolo “tipo Gordon, un gin per l’Italia, 1936”. Semplice, pulito, nel solco dei London Dry. Mentre per la miscelazione moderna, la ditta si è inventata pure un Cherry Gin (blend dello stesso con succo di marasche) accattivante nel colore: è uno sloe gin de noantri?

Moorland Spirit Co. | Hepple Gin 
Un gin recente, importato da Fine Spirits, fresca joint-venture tra Velier e La Maison du Whisky parigina. Botanicals scelti da un tele-chef inglese, Valentine Warner (non sarà l’unico, vedremo), distillazione ultra-sofisticata a più stadi di estrazione. Bel naso, lievemente erbaceo, a metà tra il classico ed il moderno, e un po’ dolce in bocca.

Kyoto Distillery | Ki No Bi Gin
Dal Giappone, un gin con materie interamente locali, da alcool di riso. Particolare nell’uso di botanicals del Sol Levante, mantiene un carattere equilibrato, con personalità, pur continuando a strizzare l’occhio ai gin inglesi. Ancora un import di Fine Spirits.

Rivo Foraged Gin
Prodotto con botanicals raccolti intorno al lago di Como, è un gin contemporaneo molto aromatico: ha un bouquet complesso, in cui si sovrappongono molti strati. Pare più un centerbe che un gin, e si fatica molto a berlo puro: è pensato infatti per la miscelazione. Diluito si apre e accende certamente di interesse un long drink.

Príncipe de los Apóstoles | Mate Gin
Un gin argentino, a base di erba mate ed eucalipto. Erbaceo, verde, difficile. Forse il più atipico della rassegna. Bisogna costruirci attorno il cocktail su misura, e non il contrario. Per sperimentatori.

Beefeater | Burrough’s Reserve
Dalla notissima marca londinese, un gin riserva ultra-premium (del farmacista fondatore), barrel rested. È pensato per la degustazione liscia, e la botte, in cui riposa per breve tempo, gli dona leggeri tocchi vanigliati e note vinose, per aver contenuto vino bordolese; l’idea facilita l’approccio al gin, ma il prezzo importante tiene lontani.

Zuidam | Single Barrel Genever 3yo e 5yo
Il gin ancestrale si faceva in Olanda, e si fa tuttora, sotto il nome di genever/jenever. Poco segnato dal ginepro e piuttosto dolce, la tipologia si caratterizza per l’impiego di vino di malto (moutwijn). Siamo a metà tra un gin ed un whisky, per farla breve: senza ginepro e con la botte è l’uso scozzese, col ginepro e un po’ di edulcorazione si ha l’olandese. Poco conosciuto da noi, è un mondo a sé, non privo di interesse, e di facile bevibilità, per la bassa gradazione (37-38°) ed il gusto fragrante e dolce.

La distilleria Zuidam produce artigianalmente diversi spiriti; questi loro genever da piccoli lotti sono invecchiati in botte di rovere americano per 3 o 5 anni. L’interessante mashbill di segale, orzo e mais li rende aromatici, mielati e speziati, con leggerissime note vegetali. Da bere puri.

Portobello Road | N°171 London Dry Gin
Un solido gin tradizionale, anche se di una distilleria recente, nel cuore di Notting Hill. Nato dagli esperimenti di quattro bartender, è un gin piuttosto dry, che si rende versatile nella miscelazione. Ha avuto parecchio successo tra gli addetti ai lavori.

Portobello Road | Local Heroes 002
Gin in edizione limitata presentato in anteprima al Gin Day, la cui formula è stata affidata alle cure di due local heroes, in questo caso a Carlo Cracco ed al suo bartender Filippo Sisti del Carlo e Camilla in Segheria. Mille bottiglie in esclusiva per il mercato italiano. Una concozione dolciastra, fruttata, e stucchevole, lontana anni luce da qualunque idea di gin, ma mi è stato detto che una buona metà di chi l’ha assaggiato l’abbia adorato. E se i cuochi tornassero a fare i cuochi, invece?

Bruichladdich Distillery | The Botanist – Islay Dry Gin
Dall’isola del whisky torbato, uno smart gin piacione che riesce a stregare ogni bevitore, dalla studentessa liceale al più smaliziato ubriacone. Il prodotto ha eleganza, finezza, piacevole aromaticità, e un alcool “satin smooth”, introvabile in (quasi) tutti gli altri gin. I produttori dicono “like no gin you have ever tried before”. È vero: domandatevi perché.

Hernö Gin
Distilleria svedese che produce solo gin, nata da poco più di cinque anni da appassionati bartender; la linea è ampia, e si basa su uno stile contemporaneo, con focus sul mirtillo rosso svedese (lingon).

Il loro spirito base Hernö Gin (40,5°) è invitante, vagamente fruttato e fiorito, ma se è bevuto liscio la nota dolce disturba giusto un po’; discorso diverso per il Navy Strength (57°), che spegne il floreale ed esalta gli aromi erbacei e speziati, donando pienezza: si fa apprezzare al meglio. Armonico il Juniper Cask Gin (47°) viene riposato in botticelle di legno di ginepro di 40 litri per un mese: il gin si arrotonda lievemente, ed in finale emerge ancora la nota fruttata, che qui non dispiace. Simpatico (e tradizionale) il loro Sloe Gin, con bella acidità: un bargnolino nordico, con una punta di ginepro.

Elephant Gin
Uno dei più celebri gin moderni con variazioni, per l’uso di botanicals africani, ma saldamente nel solco della tradizione londinese. Molto pulito il London Dry Gin (45°) con leggera vena fruttata e speziata; nella versione Navy Strength (57°) la speziatura di zenzero e pimento esplode, ma l’impressione di equilibrio rimane inalterata. Spirito assai interessante. I produttori tedeschi dedicano il 15% dei proventi a due fondazioni africane per la tutela dell’elefante.

(*) per droga in erboristeria si intende un vegetale o parte di esso contenente sostanze medicamentose ovvero aromatiche (dall’oland. droog = secco). Cfr. il nostro droghiere.

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Thomas Pennazzi

Nato tra i granoturchi della Padania, gli scorre un po’ di birra nelle vene; pertanto fatica a ragionare di vino, che divide nelle due elementari categorie di potabile e non. In compenso si è dedicato fin da giovane al suo spirito (il cognac), e per qualche anno ne ha scritto in rete sotto pseudonimo.

2 Commenti

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G.S.

circa 7 anni fa - Link

A proposito dei tantissimi produttori italiani di gin é a conoscenza di un gin prodotto in Sardegna, nei pressi di Oristano? Si tratta di " Solo Wild Gin ". Vale la pena provarlo?. Grazie.

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thomas pennazzi

circa 7 anni fa - Link

Potrà trovare qualcosa qua: http://www.intravino.com/grande-notizia/tutto-il-gin-day-2015-a-milano-critiche-poche-comprese/ Buona giornata.

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