Il Gamay e un’identità possibile per i vini del Trasimeno

Il Gamay e un’identità possibile per i vini del Trasimeno

di Jacopo Cossater

È inevitabile che a parlare dell’Umbria il discorso tenda a concentrarsi da una parte su quelle che sono le sue produzioni storiche e dall’altra su quelle che negli ultimi anni sono riuscite a ritagliarsi una certa identità. È così dappertutto. Da una parte Montefalco e Orvieto, distretti di riferimento, dall’altra quelle aree geograficamente più contenute la cui produzione si identifica a volte con un’unico vino/vitigno.

Penso per esempio allo straordinario lavoro portato avanti nella zona di Narni con il Ciliegiolo, rosso che fino a una decina di anni fa era quasi esclusivamente sinonimo di Maremma Toscana. Al Trebbiano Spoletino, antico vino bianco che anche grazie al tessuto produttivo di Montefalco, negli ultimi tempi in cerca di una chiave interpretativa capace di andare oltre i suoi rossi più noti, ha conosciuto un periodo di crescita particolarmente rapido. Penso alla zona di Perugia, ampio laboratorio che continua a dimostrare un’interessante vivacità produttiva. A Torgiano e alla sua piccola denominazione. Al Grechetto di Todi, riferimento per tutta la tipologia nonostante l’esiguo numero di cantine presenti sul territorio. Al fenomeno dei Syrah di Cortona, appena oltre i confini regionali.

Non lontano il Lago Trasimeno e la sua vocazione sia in termini di vini bianchi che di vini rossi, storico serbatoio per le vicine città che nel corso degli ultimi decenni ha però faticato più di altre zone a proporre una chiave di facile lettura, capace di identificarne con precisione i confini produttivi. Negli anni una certa moda ha influito, eccome: il periodo a cavallo del millennio ha significato per esempio per tutta la zona una diffusa rincorsa al legno piccolo e al sangiovese tagliato con varietà internazionali, merlot in testa. Un modello produttivo che ha funzionato sul breve periodo ma dal fiato piuttosto corto, che oggi paga proprio la mancanza di una radice comune tra le cantine che ne compongono il panorama. Una disomogeneità che è possibile ritrovare appieno nel disciplinare della DOC di riferimento, quella dei Colli del Trasimeno. Ci sono spumanti a metodo classico a base di chardonnay o grechetto, pinot nero, pinot bianco, pinot grigio. Ci sono vini a base di trebbiano e grechetto, uvaggio che rappresenta la spina dorsale di gran parte della produzione regionale, e al tempo stesso bianchi a base di vermentino, sauvignon, riesling italico. Simile la situazione dei rossi per un panorama comodo per chi vuole sempre e comunque etichettare un vino come DOC, eccessivamente disorganico per chi si trova da questo lato del bicchiere.

Una possibile interpretativa però c’è, e si chiama gamay. Attenzione, non lo stesso vitigno che ha reso famoso il Beaujolais nel mondo ma una varietà che nella zona intorno al Lago è sinonimo di cannonau. Dalla sempre utilissima “Guida ai vitigni d’Italia” di Slow Food:

La presenza di un vitigno chiamato gamay nei vigneti sparsi attorno al lago e compresi nell’areale della DOC è accertata da più di un secolo. L’origine del nome è piuttosto oscura e sicuramente singolare, dal momento che questo vitigno non ha nulla a che vedere con il gamay coltivato in Francia (diffuso in particolare nel Beaujolais) né con quello coltivato in Valle d’Aosta (..) Recenti ricerche ampelografiche sostengono si tratti dello stesso vitigno chiamato in Sardegna cannonau, in Veneto tai rosso, in Francia e in Spagna rispettivamente grenache e garnacha.

Isola Polvese

Sono ormai diversi anni che faccio parte della giuria di Corciano Castello di Vino, manifestazione che nel tempo si è ritagliata un ruolo di primissimo piano nella promozione dei vini del territorio. Una piccola rassegna che al suo interno prevede anche un premio per tutte le tipologie dei vini proposte, da quest’anno tre: miglior vino bianco, miglior rosato, miglior rosso. Questi ultimi due hanno visto nel weekend primeggiare alla cieca due vini a base proprio di gamay. Il delizioso rosato “La Bisbetica” di Madrevite, piccola cantina da tenere d’occhio non lontano da Castiglione del Lago, e il solido “Divina Villa Etichetta Nera” di Duca della Corgna, storica cantina sociale il cui grande merito, caso unico nel corso degli anni, è stato quello di non interrompere mai la produzione proprio di Gamay.

Nel weekend Carlo Corbacella, direttore della cantina cooperativa, ha anche avuto modo di ricordare ai presenti l’imminente introduzione nel disciplinare di un rosato prodotto da sole uve di gamay. Una bella novità per un vitigno che fino a oggi ha sempre avuto un ruolo residuale, specie in termini di attenzione da parte delle stesse cantine della zona. Impossibile essere certi questa possa essere una chiave di volta (da sempre i vini nascono prima dalle persone e solo dopo dai disciplinari), si tratta tuttavia di un’ottima notizia per tutta la zona, con l’augurio si dimostri tappa fondamentale in un percorso di crescita il più ampio e condiviso possibile.

[immagini: Andrea Terzini, Strada del Vino Colli del Trasimeno]

Jacopo Cossater

Docente di marketing del vino e di giornalismo enogastronomico, è specializzato nel racconto del vino e appassionato delle sue ripercussioni sociali. Tra gli altri, ha realizzato i podcast Vino sul Divano e La Retroetichetta, collabora con l'inserto Cibo del quotidiano Domani e ha cofondato il magazine cartaceo Verticale. Qui su Intravino dal 2009.

1 Commento

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Nicola

circa 6 anni fa - Link

Come taglio il Gamay è presente anche nell' Oscano di Carini e nel Polimante della cantina Spina. Due prodotti diversi ma molto interessanti.

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