Il Dogliani di Chionetti o del dolcetto quotidiano

Il Dogliani di Chionetti o del dolcetto quotidiano

di Denis Mazzucato

Qualche settimana fa, quando l’Italia non era ancora in quarantena e noi piemontesi non avevamo scuse per evitare la socializzazione, la delegazione AIS di Casale Monferrato ha presentato un’interessante serata in compagnia di Nicola Chionetti e dei suoi Dogliani. Occasione d’oro per rispolverare un vitigno ingiustamente bistrattato come il dolcetto e per capire qualcosa sul legame che ha con il terroir in cui viene coltivato.

Il mio personale rapporto col dolcetto è nato un pomeriggio di dieci anni fa all’uscita dal lavoro, quando con alcuni colleghi decidemmo di andare a visitare un paio di cantine.

All’epoca non avevo ancora deciso che mi sarei iscritto al corso AIS, e di vino ne sapevo ancor meno di oggi. La decisione su quale cantina visitare fu quindi basata su due concetti chiave: 3 bicchieri Gambero Rosso e prezzi modici.

Probabilmente Chionetti non prese i tre bicchieri quell’anno perché finimmo in due altre ottime cantine, ma questo non è importante. Quel che ricordo distintamente è la meraviglia nell’assaggiare un San Luigi da pochi euro che mi stupì per la sua semplice e banale golosità, quella che ti fa piegare gli angoli della bocca all’insù e non sai bene perché. Quel giorno decisi che volevo saperne di più sul mondo del vino, ed è quindi con un senso di gratitudine che oggi scrivo di dolcetto.

Storia lunga quella della Famiglia Chionetti di Bastia Mondovì, che all’inizio del secolo scorso già coltivava uva. Si stabilisce a Dogliani nel 1912 e quello è l’anno della prima vinificazione.

La più grande rivoluzione arriva tra la fine degli anni 60 e l’inizio dei 70, quando tra i primi, assieme a Einaudi, inizia a scrivere in etichetta la provenienza dell’uva: San Luigi e Briccolero. La Costa arriverà negli anni 80.

E proprio questa sarebbe la strada da seguire secondo Nicola (e mi sento di condividere) per ridurre il numero francamente spropositato di denominazioni del Dolcetto senza rinunciare al sacrosanto diritto di raccontare il proprio territorio: una sola grande denominazione per tutte le Langhe, e menzioni per le sottozone.

Del resto già Fantini, nel 1880, nella “Monografia sulla viticoltura e l’enologia nella provincia di Cuneo”, quando raccontava del dolcetto, suddivideva la produzione in sole tre macro aree: l’ovadese, che dava vini pronti, con poca acidità e non molto longevi, l’albese dove il dolcetto era più strutturato e si poteva aspettare qualche anno in più, per finire con una zona nella quale la vite è praticamente scomparsa per decenni (ma dove qualcosa oggi si muove), cioè la Val Bormida. Fantini sosteneva infatti che da qui venivano i dolcetto più longevi e di pregio.

In degustazione tre dolcetto per due annate (più una bonus track), tutti provenienti dalla stessa collina, quella di San Luigi, costituita principalmente di marna chiara e sabbia, ma da versanti diversi.

Dal versante ovest, quello più dolce, arriva il San Luigi. Qui la minor pendenza ha favorito un accumulo più importante di argilla sugli strati superiori del suolo, il che in genere significa vini più pronti e con una struttura meno importante. Il versante opposto è più ripido, il terreno di conseguenza è più magro, calcareo, e i vini tendenzialmente più longevi ed eleganti.

La Costa infine proviene dalla parte più elevata della collina (400m s.l.m.) dove maggiori sono la ventilazione e l’esposizione al sole. La produzione è limitata (circa 3000 bottiglie) ed è considerato il fiore all’occhiello della cantina.

San Luigi 2018: dei 2018 probabilmente il più convincente in questo momento, quello per cui la troppa giovinezza si fa meno sentire. Naso fresco di ciliegia e viola, tannino lieve e frutta fresca in bocca. La struttura abbastanza leggera il buon equilibrio lo rendono già apprezzabile, anche se un anno in bottiglia non può che migliorarlo.

Briccolero 2018: naso poco più dolce, di prugna matura, con qualche nota balsamica a dare profondità. Il tannino è più ruvido (troppo, a meno che non piaccia il genere) e la bocca è decisamente più strutturata. In questo caso attendere è quasi un imperativo.

La Costa 2018: anteprima assoluta, appena imbottigliato, ne riparliamo tra qualche anno, tannino graffiante.

La Costa 2017: unico dolcetto della famiglia a vedere legno, sebbene si tratti di botte grande non tostata e piegata al vapore per minimizzarne l’impatto. Nicola Chionetti ci spiega che la scelta di una botte per la vinificazione de La Costa è quasi più logistica che di “gusto”. Il legno chiaramente è solo una suggestione, ed è presente una leggera nota di talco molto elegante. In bocca è sicuramente ancora troppo giovane anche se il tannino è lievemente ammorbidito dall’anno in più e dal legno. È il più strutturato e il più lungo dei tre, e quello nel quale il tipico finale amarognolo emerge più chiaramente.

Nelle annate 2018 (e 2017 per Le Coste) in generale non è emersa una grande differenza tra le tre versioni, e queste riguardano principalmente struttura e tannino. Bevuti oggi, il San Luigi è quello che dà maggiori soddisfazioni.

San Luigi 2013: la struttura è ancora piuttosto leggera, il tannino si è raffinato, la ciliegia è sempre centrale, un po’ più matura, con un po’ di prugna, il finale amarognolo non troppo lungo ma la facilità di beva lo rendono un vino estremamente piacevole.

Briccolero 2013: una bella amarena croccante e rotonda, da cui sembra derivare anche la balsamicità. Il tannino è ancora bello vispo ma godibile, buona sapidità e finale lungo e caratteristico. Solita bella beva.

La Costa 2013: molto elegante, il talco ora esce bene così come un accenno di tè nero. Ciliegia e prugna restano ben presenti in punta di naso anche se più amalgamate con il resto. Vino completo e coerente, fratello minore di nessuno.

In questi tre assaggi la differenza tra i tre cru emerge con più decisione. Se il San Luigi ha sostanzialmente mantenuto la sua caratteristica immediatezza, Briccolero e La Costa sono cresciuti molto in complessità, in profondità e hanno smussato quel tannino che li faceva risultare ostici nelle versioni 2018.

Torno a pensare all’effetto che mi fece il dolcetto quel giorno di un po’ di anni fa, e ritrovo oggi la stessa semplice golosità.

Penso che la strada del dolcetto non debba essere la rincorsa ai nobili, ma l’affermazione consapevole del grande valore che ha la definizione che gli viene spesso affibbiata di “vino quotidiano”. Il vino quotidiano non è il vino povero, non è quello che si beve nei giorni feriali pregustando la bottiglia buona della domenica, o forse è anche questo. Il vino quotidiano è però come la pasta al pomodoro, come la frittata con le uova fresche e quel che ha da dare l’orto quel giorno: piatti poveri, vero, semplici, vero, ma anche piatti a cui non si dice mai di no, coi quali si cade sempre in piedi, che a tavola si sieda il mezzadro o il padrone.

Questo è il dolcetto per me.

avatar

Denis Mazzucato

Monferrino DOC, informatico da troppo tempo, sommelier da troppo poco, musicista per sempre. Passato da Mina, Battisti e Pink Floyd a Fiano, Grignolino e Chablis, cerco un modo per far convivere le due cose. Mi piacciono le canzoni che mi fanno piangere e i vini che mi fanno ridere.

3 Commenti

avatar

simba

circa 4 anni fa - Link

Parlare di Chionetti senza menzionare Quinto, il nonno di Nicola, mi sembra un errore. Parlare di Quinto Chionetti, del fatto che per lungo tempo ha commercializzato solo due vini, San Luigi e Briccolero, che hanno rappresentato il riferimento per tutti i produttori di Dogliani: nessuno si azzardava a vendere ad un prezzo più alto, perché i suoi erano i migliori, a detta di tutti; quando la barrique faceva tendenza, con i suoi prodotti, ha riportato tutti con i piedi per terra. Pochi anni prima di lasciare, ha deciso di produrre un nebbiolo spettacolare, alla sua maniera, senza voli pindarici in cantina, con la sicurezza che la qualità si ottiene solo in vigna.

Rispondi
avatar

Sancho P

circa 4 anni fa - Link

Concordo totalmente.

Rispondi
avatar

Denis Mazzucato

circa 4 anni fa - Link

Avete ragione ovviamente. Purtroppo non ho avuto la fortuna di conoscere Quinto Chionetti e nemmeno di parlarne diffusamente con Nicola. Ho preferito restare sull'attualità, che invece avevo davanti agli occhi. Terrò comunque presente il giudizio per le prossime occasioni. Grazie della lettura.

Rispondi

Commenta

Rispondi a Denis Mazzucato or Cancella Risposta

Sii gentile, che ci piaci così. La tua mail non verrà pubblicata, fidati. Nei campi segnati con l'asterisco, però, qualcosa ce la devi scrivere. Grazie.