Il Bramaterra a 10 voci. Tutto quel che c’è da sapere o quasi

Il Bramaterra a 10 voci. Tutto quel che c’è da sapere o quasi

di Giorgio Michieletto

Il nome è pieno di fascino e mistero: Bramaterra. Siamo nella terra di mezzo dell’Alto Piemonte, all’ombra del Monte Rosa, e parliamo della doc con più diversità e sfumature al suo interno in questo territorio sempre più sotto i riflettori (ma di strada da fare ce n’è ancora tanta). 7 i comuni di produzione, tra le province di Biella e Vercelli: Masserano, Brusnengo, Curino, Roasio, Villa del Bosco, Sostegno e Lozzolo. Circa 28 ettari, una doc microscopica.

Il filo conduttore? La “nobilità” dell’uvaggio. Nebbiolo (spanna) dal 50 all’80%, croatina fino a un massimo del 30%, uva rara (bonarda novarese) e vespolina da sole o insieme fino al 20%. Nel Bramaterra, almeno 3 vitigni su 4 sono obbligatori per disciplinare. E il terroir, seppur accomunato da terreni molto acidi, ha una estrema diversità al suo interno che si ritrova nel bicchiere.

Per semplificare si potrebbe dividere l’area del Bramaterra in due macrozone: una con prevalenza di porfidi di origine vulcanica e un’altra con terreni di matrice più sedimentaria. Nel primo caso parliamo di vini più austeri, con acidità e tannini anche difficili nei primi anni; nel secondo caso troviamo vini più sul frutto e sulla pienezza. In entrambe le zone, il fil rouge è una grandissima sapidità che trascina il sorso.

Da un lato questa complessità nella doc può essere uno svantaggio per la comunicazione del Bramaterra, dall’altra una ricchezza. Per cercare di capirne di più abbiamo potuto assaggiare dieci bottiglie, dieci “cavalieri” e ambasciatori del Bramaterra, riuniti per Intravino nella cantina Colombera e Garella. I produttori, fra l’altro sempre più giovani, cercano di fare squadra e la qualità media ci è sembrata davvero importante.

Lorenzo Ceruti, 2018
Azienda giovane, nata nel 2014. I vigneti a Sostegno sono su suoli a base porfido con ph fra 4,5 e 5. Rese bassissime. Vinificazione in cemento e tonneaux. Nebbiolo 65%, croatina 25%, vespolina 5%, bonarda 5%. Un Bramaterra “sussurrato”: violetta, arancia e frutti rossi, tanto pepe di tutti i colori e una punta di smalto. Anche il sorso è in punta di piedi con una bella spalla acida in equilibrio con note più dolci e un finale sulle erbe aromatiche. Moderno.

Cantina Gaggiano, Gervasio 2017
La polpa c’è, note terrose e di sottobosco, tanto tabacco ma deve ancora smaltire un po’ di legno. Nebbiolo 80%, vespolina 10%, croatina 10%. Questo Bramaterra è dedicato al nonno, Gervasio appunto, che sarà senz’altro orgoglioso di vedere tanti giovani tornare alla terra in Alto Piemonte. D’altri tempi.

Le Pianelle, 2017
Azienda di Dieter Heuskel e Peter Dipoli. L’impronta del nebbiolo è preponderante (80%) e si sente subito; restante 20% da vespolina e croatina. Tutto giocato sulle note floreali. Fermentazione e macerazione in tini troncoconici. Siamo a Brusnengo e qui in terreni hanno una importante vena sabbiosa. Parola d’ordine: eleganza. Vino tutto giocato sulle note floreali fresche, fini. Poi tanto lampone, menta e liquirizia. La bocca è meno acida di quello che ci aspetterebbe ma di gran carattere e sempre con una splendida sapidità. Tannini abbastanza dolci. Senza frontiere.

Colombera e Garella, Cascina Cottignano 2017
Nebbiolo 80%, croatina 10%, vespolina 10%. Al naso c’è di tutto e dei profumi che escono in sequenza pazzesca: la parte floreale dei grandi nebbioli, la frutta matura ma integra, poi pepe, liquirizia, genziana, menta, cenere. È pronto ma ha un’enorme prospettiva di evoluzione e un sorso equilibratissimo e molto lungo: sapido, sapido, sapido. Per capire davvero la sapidità dei grandi vini rossi forse bisognerebbe proprio bere proprio questo Alto Piemonte. Capolavoro di complessità.

La Palazzina, Balmi Bioti 2017
Nebbiolo 70%, croatina 15%, vespolina 10%, uva rara 5%. È un vino che si presta a due livelli di lettura. O lo metti in tavola e ti fai conquistare da una beva pazzesca e tiri fuori subito la seconda bottiglia oppure ti perdi nel bicchiere per minuti. Cemento e botti di 30 anni. Profondo, carnoso, denso: un tripudio di toni scuri – frutti di bosco maturi e grafite – con un elegantissimo balsamico sempre in primo piano. Il tannino molto presente sorregge il sorso con un bel sapidità finale, quasi salmastro. Poi tornano le erbe officinali, la genziana. Semplicemente buonissimo.

Balmi Bioti

Antoniotti 2017
Nebbiolo 70%, croatina 20, vespolina 7%, uva rara 3%. Unica annata del decennio con vendemmia a fine settembre anziché prima o seconda di ottobre. L’azienda è il punto di riferimento della denominazione, il Bramaterra con la “b” maiuscola. Vigneti vecchissimi, dal 1860 Antoniotti possiede Vigna Martinazzi in assoluto una delle più vocate della zona. Grande consistenza nel bicchiere, un vino concentrato e con dei bei muscoli ma che sa sempre essere agile e scattante. Profumi nitidissimi: pietra e radici, roccia e frutta. Viola, rosa, frutti rossi in confettura con un bel sale. C’è l’essenza e la forza del Bramaterra e una chiusura lunghissima, di grande pulizia. Istituzione.

Antoniotti

I due vini in batteria della grande annata 2016 spiazzano un po’.

Stefano Vampari 2016
Già dal colore sembra avere qualche anno in più sulle spalle: floreale essiccato, sottobosco, affumicato, chinotto. E ti viene subito voglia di un bel brasato della nonna. Anche la 2016 di Monti Perini sorprende: naso e bocca sembrano andare per due strade differenti. Prima suggestioni di oliva, cioccolato e note affumicate, poi il sorso invece è agilissimo con una parte vegetale e ricordi di rabarbaro e china.

Rovero 2015
1300 bottiglie. Nebbiolo (circa 70%), croatina 20%, più 10 di vespolina e bonarda. Lorenzo ha studiato e girato il mondo: si presenta come un potatore che recupera vecchie vigne ed è uno dei pochi paladini della cultura naturale e biologica (certificata) in Alto Piemonte. Lieviti autoctoni, nessuna filtrazione. I vigneti sono in frazione Casa del Bosco e anche a Curino, zona molto fresca e con potenzialità di crescita. Il naso ha una bella complessità, anche se bottiglia ha bisogno di molta aria per esprimersi al meglio. Ematico, ricordo di anice e intenso prima di un finale più terroso. La scommessa.

Tenute Sella, I Porfidi 2011
Il big della zona gioca le carte di un vino sicuramente più tecnico di altri ma ineccepibile, praticamente perfetto. Note ferrose, sbuffi affumicati, erbe e tanta speziatura elegante. Rosa, anice e chiodo di garofano, liquirizia dolce, pompelmo. E’ vivissimo. In smoking.

[Foto: Marta Curtarello aka @martolina_in_cantina]

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Giorgio Michieletto

Giornalista professionista: ieri cronaca nera, oggi rosa. Ieri, oggi e domani: rosso, bianco & co. Varesino di nascita e cuore, milanese d'adozione e testa. Sommelier Ais. Se c'è una storia la deve raccontare.

2 Commenti

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Massimiliano

circa 2 anni fa - Link

Interessantissima panoramica!

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AG

circa 2 anni fa - Link

Purtroppo i piccoli numeri rendono queste bottiglie praticamente introvabili

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