Il Bandol 1984 di Domaine Tempier e l’incognita del tempo (spoiler: ce l’ha fatta)

Il Bandol 1984 di Domaine Tempier e l’incognita del tempo (spoiler: ce l’ha fatta)

di Salvatore Agusta

Correva l’anno 1984 e in quel di Bandol, nella ridente costa azzurra, la laboriosa famiglia Tempier, ripercorrendo le orme della bisnonna Léonie, metteva a punto la produzione dell’annata. Per la cronaca, così come segnala vin-vigne.com, il 1984 viene ricordato negli almanacchi come un “très bon millésime”, tuttavia Daniel del Domaine Tempier, in un breve scambio di email, mi ricorda che quell’anno non fu affatto facile e che in cantina si dovette faticare per portare a casa il risultato. Molta pioggia e soprattutto un inusuale freddo che però alla lunga si rivelò forse elemento chiave per il riequilibrio della nota acida.

Trentatré anni più tardi, Joe Cracco, rampante Sommelier della scuderia di Aldo Sohm Wine Bar (di cui avevo parlato in un articolo recente, a proposito dei wine bar più interessanti di New York) dal living di casa sua, nella spumeggiante Williamsburg, mi invia un messaggio pieno di mistero, invitandomi a passare dal locale in prossimità di chiusura per una sorpresa. Incuriosito dall’invito, accetto senza incalzarlo con le solite domande di rito.

Del resto, presumo che abbia una buona ragione per consigliarmi di andarlo a trovare. Puntuale come un orologino svizzero, mi presento alle 21.45 che per un locale che chiude a mezzanotte equivale a dire in tarda serata.

Siamo in quattro, audaci ed incuriositi; non sappiamo cosa ci aspetta ma confidiamo nell’invito di Joe.

Iniziamo subito con qualcosa di fresco e vivace, anche perché quella sera c’erano ben 32 gradi centigradi. La scelta ricade su un gradevole Assyrtiko, giovane e longilineo, giusto per celebrare il ritorno dalla Grecia di uno dei commensali seduti al tavolo (Domaine Hatzidakis, Santorini 2016). Dopo qualche minuto, Joe ci presenta la promessa della serata: Domaine Tempier, Cuvée Spèciale la Tourtine, Bandol 1984.

Si tratta di una bottiglia versione magnum che, per gran concessione del Head of Sommeliers, M. Compeyre, era stata aperta in prima serata al fine di servirla al bicchiere entro la chiusura. La bottiglia si presentava in ottimo stato, tenuto conto dell’età che possedeva, ma chiaramente la nostra attenzione era tutta per il vino. Attendiamo il giusto prima di dare la prima sniffata, anche per permettere al vino di mettersi a proprio agio dopo esser stato versato nel calice.

Questo cuvée proviene da alcune vigne situate nei pressi del paesino di Castellet, ad una altezza media di 170 m s.l.m., dove la varietà autoctona mourvèdre sa esprimersi al meglio. In genere il blend prevede proprio mourvèdre per circa il 70%, in base alle annate, mentre residuale risulta la percentuale di grenache e cinsault.

Come qualcuno di voi saprà, si tratta di un vino che matura in grosse botti per un periodo di 18 – 20 mesi e che, in genere, presenta una ottima propensione all’invecchiamento.

Ma torniamo al bicchiere. Subito vengo colpito dal colore, rosso ciliegia tendente al brillante. I riflessi sono più intensi e disegnano un curioso caleidoscopio di tonalità dello stesso rosso. Al naso esprime in pieno tutti gli anni che porta sulle spalle. Resiste ottimamente ma ormai le note fruttate hanno pressoché lasciato il passo ai sentori speziati e a quelli terziari di pelle, legno umido e foglie di sottobosco. Si tratta di un vino all’apice della sua evoluzione, ma ho il sentore che forse sarebbe stato meglio aprirlo un paio di anni fa, magari per il suo trentesimo compleanno. Dopo il primo sorso mi accorgo, tuttavia, che tra le sponde del calice si nasconde una timida eleganza. I tannini e la sorprendente acidità davano segno che il vino era perfettamente attivo e combattivo. La tostatura del legno non lo ha scalfito più di tanto e la sua proverbiale fresca mineralità persiste e resiste. Il finale è meno avvolgente di quanto mi fossi augurato e forse rappresenta l’unica nota stonata ma nel complesso ne è valsa la pena.

Come mi confermava Daniel, non era stata una grandissima annata, ma c’era qualcosa di particolare in quel calice, forse una nota di personalità in più che denotava i trascorsi turbolenti di quell’annata. Non vi è alcun dubbio che il vino invecchiato rappresenti una incognita; capita abbastanza spesso di prendere delle belle cantonate, ma tutto sommato questa volta è andata bene.

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Salvatore Agusta

Giramondo, Francia, Lituania e poi Argentina per finire oggi a New York. Laureato in legge, sono una sorta di “avvocato per hobby”, rappresento uno studio di diritto internazionale negli Stati Uniti. Poi, quello che prima era il vero hobby, è diventato un lavoro. Inizio come export manager più di 7 anni fa a Palermo con un’azienda vitivinicola, Marchesi de Gregorio; frequento corsi ONAV, Accademia del Vino di Milano e l’International Wine Center di New York dove passo il terzo livello del WSET. Ho coperto per un po’ più di un anno la figura di Italian Wine Specialist presso Acker Merrall & Condit. Attualmente ricopro la posizione di Wine Consultant presso Metrowine, una azienda francese in quel di New York. Avevano bisogno di un italiano ed io passavo giusto di là. Comunque sono astemio.

3 Commenti

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amadio ruggeri

circa 7 anni fa - Link

Ciao Salvatore, visto che citi un vino greco, e dato che tra una decina di giorni spicco il volo per Egina e Antiparos, hai qualche bevuta da consigliarmi? (oltre al citato Domaine Hatzidakis). Grazie!

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Salvatore Agusta

circa 7 anni fa - Link

Ciao Amadio, Una mia piccola selezione. Tra i bianchi ti segnalo sia qualcosa di fresco ed immediato sia qualche vino un po' più longevo: - Argyros, Assyrtiko, Santorini, 2016 - Gerovassiliou, Museum Collection White, Epanomi, 2014 Tra i rossi segnalo principalmente Mitravelas Nemea Old Vineyards Agiorgitiko 2013. Quest'ultimo è un vino pieno e corposo, personalmente difficile da apprezzare durante una calda estate ma già in autunno il risultato cambia nettamente

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amadio ruggeri

circa 7 anni fa - Link

Perfetto, prendo nota, grazie mille. Un saluto.

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