Guida alle birre d’Italia 2019. Abbiamo chiesto a Eugenio Signoroni tutto il necessario

Guida alle birre d’Italia 2019. Abbiamo chiesto a Eugenio Signoroni tutto il necessario

di Alessandro Morichetti

Ho appena speso 16,50 euro per la Guida alle birre d’Italia 2019 di Slow Food e sono soddisfatto. Ho tra le mani un volumetto di oltre 600 pagine – “la guida più completa al mondo della birra italiana” recita il fondo di copertina – e mi sto divertendo a sfogliarlo. Non sono uno strippato della birra ma mi piace da morire, ne bevo, ne bevo tanta, e negli anni ho maturato un certo qual buon gusto.

La birra è democratica. Nel vino servono terra agricola, storia locale (da qualche anno fino a un migliaio), culo familiare, nella birra no. Puoi essere Marco “Mukka” Raffaeli, avere lo stabilimento che è un capannone nella zona industriale di un distretto calzaturiero vista mare eppure sfornare alcune delle basse fermentazioni più gloriose d’Italia. Il birrificio si chiama Mukkeller, è del paese attaccato al mio nelle Marche (Porto Sant’Elpidio), ha preso la chiocciola quest’anno e come birre premiate ha avuto MuPils, Mukkellerina e Hattori Hanzo. Il giovedì prima di Pasqua ho speso 200 euro per imballare il mio frigo proprio con queste referenze (non sapendo dei premi), quindi occhio.

Volume in mano, ho fatto alcune domande ad Eugenio Signoroni, co-curatore della guida, insieme a Luca “Giacu” Giaccone (dal vivo fa meno scena che in foto).

Eugenio Signoroni
Intravino
– 597 aziende raccontate delle oltre 1.000 visitate e 2.650 birre recensite. Mi fai un excursus dei numeri delle guide precedenti? Vorrei poi capire se all’aumento delle recensioni, nella tua percezione, corrisponda – e in che misura – un aumento del bacino d’utenza della birra buona in Italia.
Signoroni – L’ultima edizione della guida è la più ricca per numero di birrifici, mentre le birre sono diminuite (2650 contro le 2702 dell’edizione 2017). Questo perché abbiamo deciso di limitare a un massimo di sei il numero di birre pubblicate per ogni produttore. La crescita dei birrifici in guida di anno in anno è stata importante:

– 2009: 127 aziende e 350 birre
– 2011: 179 aziende e 1092 birre
– 2013: 227 aziende e 1191 birre
– 2015: 329 aziende e 1628 birre
– 2017: 512 aziende e 2702 birre

A questa crescita di birrifici e birre raccontate in guida corrisponde, ovviamente, un aumento dei produttori sul territorio nazionale (un articolo di cronachedibirra.it del 5/12/17 riportava un numero complessivo di aziende tra birrifici e beer firm pari a 951). Non c’è stato però in questi anni un aumento altrettanto consistente né dei consumatori di birra artigianale (i cui consumi si attestano intorno al 3% dell’intero mercato) né del consumo complessivo di birra che continua a oscillare intorno ai 30 litri pro capite all’anno. In altre parole le fette della torta continuano ad aumentare ma la torta è sempre più o meno la stessa. Questa è secondo me la nuvola più grande di un panorama che invece, a livello qualitativo, si dimostra in grande forma, A dimostrarlo anche il rapporto birrifici presenti in guida/birrifici premiati. In questa edizione, infatti, i birrifici con almeno un riconoscimento sono aumentati e questo pur avendo alzato l’asticella dei nostri giudizi.

Puoi dirmi qualcosa su tiratura e vendite delle varie edizioni? Sempre per capire se parliamo di noccioline o se dentro c’è pure la ciccia.
Le ultime edizioni si sono stabilmente attestate sulle 7000 copie vendute. Sono numeri importanti se si considera che la guida fa riferimento a un settore comunque di nicchia. Direi che di ciccia ce n’è…

Da quasi 10 anni la vostra l’unica guida alle birre edita in Italia. Cresce in “peso” – come storicamente fu per la guida ai vini del Gambero Rosso – ma nessuno segue l’esempio: perché? 
Fare la guida birre d’Italia è uno sforzo notevole per la casa editrice. La scelta, infatti, di visitare la stragrande maggioranza dei produttori presenti sul territorio nazionale – escludiamo a priori solo coloro che in alcuni assaggi preventivi non superano il livello di sufficienza minima – impone uno sforzo in termini economici e lavorativi davvero enorme. Alla guida collaborano in modo praticamente volontario quasi 120 collaboratori che durante l’anno e mezzo che intercorre tra un’edizione e l’altra assaggiano, visitano, riassaggiano, si confrontano. Riuscire a costruire una squadra di questo tipo è tutt’altro che semplice e si può riuscire a farlo solo se si ha alle spalle un’associazione strutturata e abituata a questa impostazione di lavoro come è Slow Food. Quindi secondo me altri gruppi non lo fanno perché fare un lavoro all’altezza della nostra guida è complicato.

Le birre alle castagne sono un passato che non tornerà, le Italian Grape Ale (IGA) sono un presente che sarà futuro e che ci distingue – giustamente – nel mondo. Mi dici alcune IGA che ti hanno colpito quest’anno e perché?
Le Iga sono una famiglia birraria davvero straordinaria, a mio parere e l’elemento più incredibile è che i birrifici hanno capito che il vitigno utilizzato va valorizzato ma anche addomesticato: il mosto non deve prendere il sopravvento sulla birra, non ne deve snaturare le caratteristiche e anche per questo lo stile si sta affermando. Non ridurrei però l’italianità delle birre italiane alle Iga. Citerei certamente l’innata capacità dei nostri di fare prodotti equilibrati anche quando estremi nell’utilizzo di luppolo o nella gradazione alcolica e l’utilizzo di altre materie prime “locali” come la frutta (pesche, ramassin, ciliegie) o cereali. Ma visto che mi chiedi quali Iga mi hanno colpito eccoti una breve lista. La Roè del birrificio astigiano Sagrin secondo me è un piccolo gioiello, riesce, infatti, a unire ricchezza, leggiadria e profondità in un unico sorso. Prende la semplicità e la leggerezza dell’arnesi e li traduce in forma birraria. Poi ci metto la BB5 di Barley, Nicola Perra infatti ha una capacità unica di costruire le birre con l’uva. Nelle sue mani il mosto diventa una spezia, fondamentale per la riuscita della birra, ma nascosta e sobria.

Ho scoperto assolutamente per caso che a Massa Lubrense c’è un birrificio con la Chiocciola che si chiama Sorrento. Volevo andare proprio lì in vacanza: Don Alfonso, mare, Sorrento… Ci sono casi in cui i riconoscimenti Slow danno una mano commerciale o la Guida è poco rilevante?
Non ti so dare una risposta sicura come potrei fare per Osterie d’Italia, dove gli osti ci dicono che la presenza o l’assenza dalle pagine della guida vale circa un 30% di clienti in più o in meno. L’unico produttore che ha dichiarato che la guida ha avuto per lui un peso reale, soprattutto per quanto riguarda l’export, è Jurji Ferri di Almond ’22. Forse la guida può essere utile per raccontare produttori che non sono così spesso sotto i riflettori principali. Visitando tutti i birrifici e assaggiando le birre di tutti, la guida birre è più soggetta a scoprire nuovi nomi e a premiarli. Forse per questi produttori la birra può avere un’importanza più forte, per i più affermati non saprei.

Birra e ristorazione. Per me è una battaglia persa in partenza, tranne alcune eccezioni, per tutta una serie di motivi. Quando ho voglia di birra penso ai pub e anche ai bar. Chissenefrega dei ristoranti. Come la vedi?
Non lo so… o meglio, lo so, ma non ho una soluzione vera. Sono convintissimo che la birra potrebbe davvero sfondare nella ristorazione, soprattutto in quella più creativa. Ci sono prodotti che hanno una duttilità di abbinamento unica, che pochissimi vini sono in grado di avere. Però non sfondano. Non sfondano perché verso la birra c’è una sorta di preconcetto soprattutto da parte del consumatore. Le cose potrebbero cambiare se chi pensa gli abbinamenti nei ristoranti che fanno percorsi di degustazione decidesse in modo serio e approfondito di dedicarsi a pensare abbinamenti cibo birra alternativi o complementari al vino. Ma quanti in Italia sono in grado di potersi permettere di riempire una cantina di birra (che deve essere consumata con tempi molto più brevi) che rischia poi di non essere venduta? I pochi esperimenti che io conosco sono forieri di grande divertimento, ma restano, purtroppo mosche bianche. A questo poi si aggiunge che alcune tipologie di birra, secondo me, sono talmente appaganti da aver bisogno di quantità che mal si abbinano a un percorso degustazione da ristorante e sono invece perfette per una bevuta rilassata al bancone di un pub.

Caso Baladin. La Chiocciola persa ha fatto discutere. Storicità, lungimiranza, ambizione e potenza di fuoco del progetto sono solo un grande esempio di visione per tutti ma qui si parla anche di qualità delle birre. Da più parti vi chiedono se sia stata una scelta “politica” e credo sia solo una fregnaccia in malafede. Altri, invece, osservano come le birre “base” non siano più così eccezionali da anni ma voi ve ne accorgete solo oggi? Io contesto solo una cosa: due parole in più potevate spenderle oltre “Registriamo invece qualche incertezza in alcune tra le etichette storiche e più diffuse”. Puoi essere politicamente scorretto nel commentare?
Chi ci accusa di aver tolto la chiocciola a Baladin per motivi politici sono in parte gli stessi che ci hanno accusato per anni di assegnare le chiocciole guardando le etichette presenti sugli scaffali di Eataly. Chi ci dice “se il problema è la qualità delle birre avreste dovuto togliere la chiocciola 10 anni fa” dice una balla e non sa come si fa una guida. La questione politica non esiste. Punto. Baladin era ed è uno dei birrifici di riferimento per quello che riguarda l’attenzione alla cultura birraria, il lavoro sull’autoproduzione delle materie, la ricerca, l’attenzione all’ambiente, la promozione dei birrifici indipendenti italiani. Detto in altri termini Baladin delle chiocciole storiche della guida è senza dubbio uno dei birrifici che più ha meritato questo riconoscimento e che continuerebbe a meritarlo. C’è però un “ma”. Ma in questo momento storico riscontriamo qualche problema in una parte della produzione del birrificio. Le birre più strutturate e quelle della linea di cantina ci continuano a convincere, mentre troviamo una flessione sulle etichette più semplici e leggere. Abbiamo assaggiato e riassaggiato questi prodotti come è ovvio che sia e il responso è sempre stato lo stesso. Questo è il motivo per cui Baladin non ha più la chioccola, per correttezza e trasparenza – ci hanno chiesto per mesi interi di essere il più trasparenti possibili – l’abbiamo anche detto esplicitamente nella scheda e non so davvero cos’altro potessimo dire in più. Tornando a chi dice che la chiocciola la potevamo togliere da tempo, dico che non è vero. La guida resta in libreria per due anni e a noi spetta quindi l’obbligo di prendere decisioni che siano meditate, soprattutto quando di mezzo c’è il riconoscimento più importante della guida, quello peri il quale scomodiamo il simbolo della nostra associazione.

Dammi qualche nome di birrificio che il lettore medio di Intravino deve proprio scoprire (con motivazione).
Il birrificio Nadir di Sanremo perché riesce a fare birre di grande semplicità e carattere con un’approccio molto British che io personalmente trovo ottimo. Mukkeller di Porto Sant’Elpidio. Non è certamente una novità sulla scena italiana, ma ha raggiunto negli ultimi anni un livello di qualità e di costanza produttiva straordinari. La sua Mukkellerina è una di quelle birre che non bastano mai. Poi ti direi il birrificio Decimoprimo di Trinitapoli, la sua linea Super Tramp, fatta di birre con frutta passate in legno è una delle espressioni sul tema più interessanti che si possano trovare in Italia. Al di là dei singoli nomi, però, ci tengo a ribadire che abbiamo trovato un sistema in grandissima forma, con una qualità media altissima e con una voglia di creare e di fare cose buone impressionante.

C’è qualcosa che vuoi proprio dire ma che non ti ho chiesto? Ora o mai più.
La guida birre è un lavoro collettivo, sarebbe impossibile farlo senza il lavoro dei nostri collaboratori, quindi li voglio ringraziare moltissimo. Voglio inoltre dire che siamo fortemente convinti che la guida non debba essere un elenco di premi, anche se sappiamo che a livello di comunicazione è quello l’aspetto che risalta di più. E, anche se è vero che sono un po’ più difficili da capire rispetto a una classifica, i nostri riconoscimenti sono più utili: credo abbia poco senso che una guida dica questa birra è più buona di questa, soprattutto per chi come noi ha deciso di non affidarsi a una suddivisione stilistica. Noi consigliamo al lettore quali birre bere a seconda di ciò che lui desidera. La guida è uno strumento di orientamento in questo mondo meraviglioso e complesso che è la birra italiana. Nell’ultimo anno abbiamo avuto moltissime sollecitazioni in merito al ruolo di Slow Food e siamo convinti di averle interpretate bene. Come ho già detto ci è stato chiesto di essere chiari nei confronti del lettore e così abbiamo fatto: la guida quest’anno è organizzata in 4 categorie (birrifici artigianali, birrifici non artigianali, affinatori e beer firm) così che il consumatore possa avere un’idea chiara di cosa è il birrificio al quale ha deciso di affidarsi. Inoltre contiene una quantità di informazioni enorme: per ogni produttore indichiamo come è costituita la società, il grado francese dell’acqua e gli eventuali trattamenti a cui è sottoposta, la provenienza principale di luppolo e malto, l’utilizzo di coadiuvanti di processo e le lavorazioni finali. Sono dati che abbiamo chiesto direttamente ai birrifici, con due obiettivi: dare al lettore strumenti ulteriori per poter scegliere; iniziare a ragionare di questioni che vadano oltre il “quale è la birra più buona” o “chi è il birrificio migliore”. La comunicazione tutta, ha bisogno di più complessità e di meno slogan. Questo deve valere anche per una guida.

 

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Alessandro Morichetti

Tra i fondatori di Intravino, enotecario su Doyouwine.com e ghost writer @ Les Caves de Pyrene. Nato sul mare a Civitanova Marche, vive ad Alba nelle Langhe: dai moscioli agli agnolotti, dal Verdicchio al Barbaresco passando per mortadella, Parmigiano e Lambruschi.

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