Grandi bianchi dell’Alto Adige, vecchie annate vs. vendemmie più recenti

Grandi bianchi dell’Alto Adige, vecchie annate vs. vendemmie più recenti

di Jacopo Cossater

L’occasione era troppo ghiotta, difficile dire di no: la possibilità di assaggiare un’annata recente e una più datata di alcune delle etichette più famose dell’Alto Adige. Il Sauvignon Lafóa di Colterenzio, lo Chardonnay Löwengang di Alois Lageder, il Gewürztraminer Nussbaumer di Tramin in un webinar condotto dal sommelier Eros Teboni dedicato alle potenzialità evolutive dei bianchi della regione.

Dell’Alto Adige ci sono alcuni dati più noti e altri forse meno. Circa 5.500 ettari di vigneto di cui il 98% a DOC, approssimativamente 200 cantine per 330mila ettolitri di vino all’anno, lo 0,7 per cento della produzione nazionale. Interessante il rapporto tra vini bianchi (il 62%) e vini rossi (il 38%) e di come questo è evoluto con il passare del tempo. Quarant’anni fa erano i vini rossi a farla da padrone, con una percentuale che superava di slancio il 75% della produzione regionale, proporzione che da allora è andata assottigliandosi sempre di più fino ad arrivare a un sostanziale pareggio intorno al 2005 e ai dati di oggi. Tanto pinot grigio e tanta schiava, rispettivamente al 13,8 e al 13 per cento della superficie vitata dell’Alto Adige. Il primo a farla da padrone per quei vini considerati come “da prezzo” e destinati soprattutto all’export, la seconda in una fase forse interlocutoria, amata da un gran numero di appassionati ma sempre più in sofferenza in termini di ettari vitati. Varietà seguite da tutti i vitigni con cui si identifica la regione: pinot bianco (10,4%), chardonnay (10,2%), gewürztraminer (9,3)%, lagrein (8,4%), sauvignon blanc (7,1%) e pinot nero (6,8%) e via via tutte le altre (müller-thurgau, merlot, etc.).

A proposito del potenziale di invecchiamento dei vini bianchi dell’Alto Adige ecco alcune delle caratteristiche che ne favorirebbero l’evoluzione. In vigna:

  • L’altitudine
  • L’elevata mineralità dei terreni
  • Le grandi escursioni termiche
  • Le basse rese

E in cantina:

  • La pressatura soffice per evitare un rilascio eccessivo di catechine e antociani, prime cause d’ossidazione
  • Il mantenimento del PH basso e al tempo stesso di una mineralità elevata
  • La pulizia statica dei mosti anche utilizzando la tecnica del freddo
  • Le fermentazioni a temperatura controllata
  • La maturazione del vino sui lieviti
  • L’utilizzo del legno per favorirne la microssigenazione

Vigneti in Alto Adige

Colterenzio, Sauvingon Lafóa 2018 vs. Sauvignon Lafóa 2010
Risultato: 2
Vitigno semiaromatico, esprime la sua aromaticità mantenendo la parte vegetale ed esotica. Originario della Francia è stato introdotto in Alto Adige alla fine dell’Ottocento. In regione manterrebbe la parte vegetale tipica del vitigno e si caratterizzerebbe per una certa tensione verso la pietra focaia. Fresco, più o meno minerale a seconda della zona di provenienza.

Non c’è partita: per quanto il 2018 esprima una sicura finezza appare ancora troppo verde e per certi versi ancora un po’ “rigido” per riuscire a competere con un mostro di complessità come il Lafóa 2010. Un Sauvignon buonissimo, caratterizzato da un tratto di grande precisione sia sul frutto che sul vegetale, peculiarità che trovano in una spiccata mineralità il loro tratto d’unione. Succoso, saporito, il bicchiere richiama il sorso grazie a una freschezza ben integrata a quell’affascinante mobidezza data dal trascorrere del tempo.

Alois Lageder, Chardonnay Löwengang 2017 vs. Chardonnay Löwengang 2010
Risultato: X
Varietà che ha conosciuto uno sviluppo rapidissimo durante gli anni 80 lo chardonnay si caratterizza anche in Alto Adige per la sua grande versatilità: vivace e fruttato se affinato in acciaio, morbido e complesso quando lasciato maturare in botti di legno piccolo. Da tenere d’occhio in regione note come quella della papaya, della mela gialla, della pera, del limone e della camomilla, specie quando non tenuto in barrique sui suoi lieviti, ecco allora fare capolino sentori di vaniglia, di burro fuso, di pane, note di lievito.

Due vini molto buoni per motivi diversi, com’è ovvio. Più fresco e reattivo il 2017, più morbido e profondo il 2010. Il Löwengang 2017 è Chardonnay preciso, fresco e piacevolissimo, croccante senza particolari spigolature e anzi di grande coerenza gustativa, specie nell’affiancare note tipiche del rovere a sentori di frutta appena colta. Il 2010 apre con un tripudio olfattivo tutto giocato sulla maturità del frutto, qui anche declinato in chiave esotica, ben integrato con note di vaniglia che richiamano il legno. È morbido senza stancare, profondo e suadente, lunghissimo.

Tramin, Gewürztraminer Nussbaumer 2018 vs. Gewürztraminer Nussbaumer 2011
Risultato: 1
Il più noto tra i vitigni aromatici in Alto Adige porterebbe a vini freschi ed eleganti, caratterizzati da note di petali di rosa, di frutto della passione, di litchi, di fiori di acacia. Generalmente in regione viene vendemmiato piuttosto precocemente per limitarne il grado alcolico mente è diffusa la pratica di tenerlo a lungo sui lieviti.

Se da una parte entrambi esprimono una timbrica olfattiva piuttosto simile è all’assaggio che il 2011 sembra emergere in termini di equilibrio e di allungo. Intensissimo, fresco, a tutte le note citate qui sopra si affianca una bel timbro tropicale a renderlo vivace, divertente, di gran ritmo, anche gastronomico. Il 2011 esprime anche note mielose e sentori orientali vagamente speziati di sicuro fascino. All’assaggio è però una nota alcolica un po’ fuori fuoco a limitarne la finezza, ne risulta quindi un vino un po’ grosso, non così dinamico come il Nussbaumer più fresco, quello del 2018.

Vecchie annate AA

Jacopo Cossater

Docente di marketing del vino e di giornalismo enogastronomico, è specializzato nel racconto del vino e appassionato delle sue ripercussioni sociali. Tra gli altri, ha realizzato i podcast Vino sul Divano e La Retroetichetta, collabora con l'inserto Cibo del quotidiano Domani e ha cofondato il magazine cartaceo Verticale. Qui su Intravino dal 2009.

10 Commenti

avatar

Vittorio covi

circa 4 anni fa - Link

Salve sono interessato a vini senza solfiti aggiunti. Grazie. Saluti

Rispondi
avatar

Jacopo Cossater

circa 4 anni fa - Link

Ciao Vittorio, mondo super affascinante anche in termini di evoluzione ma non oggetto di questo post. Magari in un'altra occasione?

Rispondi
avatar

ANDREJ GIACOMUCCI

circa 4 anni fa - Link

Giorni fa ho assaggiato un Kerner 2011 di Manni Nössing ed ho trovato la nota alcolica leggermente al di sopra di altri anni ? Mi confermate se è dovuta ad una annata più calda o altra spiegazione ? Grazie

Rispondi
avatar

Jacopo Cossater

circa 4 anni fa - Link

È possibile Andrej, anche se l'Alto Adige rappresenta un continente a sé quando si parla di andamenti stagionali. La 2011 per esempio non è stata così drammaticamente più calda come in altre zone d'Italia, bisognerebbe indagare con il produttore.

Rispondi
avatar

Paolo

circa 4 anni fa - Link

Dato che mi ritengo un appassionato di vini, ma non un intenditore, è stata una sorpesa per me venire a sapere che esistono dei bianchi italiani che reggono alla grande un decennio di invecchiamento. L'articolo, devo dire, mi ha molto incuriosito, sia per la descrizione dell'evoluzione che questi vini mostrano, sia perchè mi invoglia a trovare e provare altri bianchi italiani così prestanti sul lungo termine. Consigli?

Rispondi
avatar

Jacopo Cossater

circa 4 anni fa - Link

Ma ce ne sono una marea Paolo! Ogni regione ha i suoi grandi bianchi, vini capaci di sorprendere dopo una decina d'anni e anche più. Il mio consiglio è quello di consultare una qualsiasi guida (Slow Wine, Gambero Rosso, etc.) per provare ad addentrarti in questo bel mondo. C'è da divertirsi.

Rispondi
avatar

Vittorio

circa 4 anni fa - Link

Ti suggerisco il Fiano di Avellino, che anche sui tempi lunghi regala grandi soddisfazioni.

Rispondi
avatar

Jacopo Cossater

circa 4 anni fa - Link

Beh certo la triade Fiano/Greco/Verdicchio è un buon inizio

Rispondi
avatar

Andrea

circa 4 anni fa - Link

Negli 60-70 era tutto un Sankt Magalener e cugini, poi anni 80-90 il cabernet sauvignon di mastro geppetto. Negli anni 2000 ha aperto la strada il Traminer e al traino gli altri bianchi che per tipologia ( riesling, silvaner) o per terroir ( pinot grigio, sauvignon, chardonnay) prima non se li filava nessuno. Bravi a muoversi con le mode ( non ad anticipare, ma neppure scimmiottare) e soprattutto fare sistema. Interessante il dato sui vini a doc. In Collio i grandi bianchi si sono fatti sempre, c'è stato il periodo dei rossi, ma cabernet a 14 gradi o oltre non ai sono mai visti. Eppure a livello di immaginario collettivo adesso il Collio é indietro. Stili molto diversi, grandi produttori che smettono e vendono o con eredi non all' altezza, igp a piacere per distinguersi, tanto io son io e voi non siete un c...Molta mineralita e poca freschezza, corpi opulenti in un momento in cui a furia di sottrazione non resta niente, fare gruppo nullo e identità perduta. Però di vini che sono ottimi adesso e eccellenti fra 10 anni ce ne sono ancora a bizzeffe.

Rispondi
avatar

Viva Roddolo

circa 4 anni fa - Link

Articolo molto interessante. Condivido il post di Andrea e aggiungo che sarebbe bello se si approfondisse un po' di più il tema dei bianchi italiani "da invecchiamento". Penso che non se ne parli abbastanza e che, in generale, sia un concetto che frequentemente sfugge a molti non addetti ai lavori.

Rispondi

Commenta

Rispondi a Andrea or Cancella Risposta

Sii gentile, che ci piaci così. La tua mail non verrà pubblicata, fidati. Nei campi segnati con l'asterisco, però, qualcosa ce la devi scrivere. Grazie.