Gioiellini dalla Côte de Beaune: domaine Clos du Moulin aux Moines

Gioiellini dalla Côte de Beaune: domaine Clos du Moulin aux Moines

di Simone Di Vito

Quando ti innamori di un luogo è difficile accettare la triste realtà di non poterci tornare per un po’. Nell’anno passato gli ultimi due tentativi di tornare in Borgogna sono rovinosamente falliti, le scorte liquide del viaggio di tre anni fa sono terminate da un pezzo e vista la situazione attuale purtroppo ne avremo ancora per molto.

Fortuna che ormai le vie di internet sono infinite, non è proprio come bussare alle porte di vigneron sconosciuti come Giancarlo Marino mi aveva raccontato di fare agli albori dei suoi viaggi, ma la magra consolazione di un viaggio con mouse e tastiera è comunque soddisfacente quando scovi aziende interessanti in denominazioni che non brillano di luce riflessa, e ancor meglio poi se il prezzo dei vini è abbordabile, permettendomi un’analisi molto più spensierata una volta ricevute le bottiglie e riuscendo così a focalizzarmi solo sulle particolarità di vino e vigne senza provare quel patema d’animo da “stappo o aspetto” che ogni tanto senti addosso con vini di un certo calibro e costo.

Tutto è nato da quei deliri da eno-malato che di tanto in tanto assecondo, e che stavolta puntavano i Monopole, termine che può essere riportato in etichetta e che certifica la proprietà fondiaria esclusiva da parte del domaine proprietario di un vigneto specifico e della conseguente denominazione d’origine nel caso di grand cru.
Non è una gara, e anche se non tutti i monopole possono vantare storia e blasone di quelli del DRC, il domaine in questione potrebbe segnare un record: ne ha tre diversi, dai quali poi ricava ben sei etichette.

Domaine Clos du Moulin aux Moines
Un gioiellino che già dal nome fa capire un po’ di cose; un tempo sotto il controllo dei monaci dell’abbazia di Cluny e di quelli di Citeaux, che dal lontano 962 si presero cura di queste terre per circa seicento anni. La proprietà comprende una cappella benedettina risalente al 1650, una grande colombaia, e una dimora nobiliare contornata dai famosi clos situata all’incrocio delle due valli e attraversata dal fiume Clous che alimenta il mulino.

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La rinascita del domaine è iniziata nel 2008 e affidata poi nel 2009 a Willy Roulendes, che dopo diversi anni presso il domaine de Montille ha iniziato fin da subito la conversione dei vigneti in biologico fino ad arrivare per alcuni all’attuale biodinamico. In cantina: fermentazioni in vasche di cemento mediante lieviti indigeni, lunghe macerazioni (15/20 giorni) e in presenza di raspi per alcune cuvée, limitato uso di barrique nuove (max il 15%), basse solfitazioni e nessuna filtrazione, alcune delle pratiche utilizzate.

Il domaine è situato ad Auxey-Duresses, in piena Côte de Beaune e vanta oggi 15 ettari divisi tra i comuni di Pommard, Auxey-Duresses, Monthelie, Saint-Romain e Pernand-Vergelesses, producendo circa 15 vini tra bourgogne, village, premier cru e una bollicina 100% aligoté.

Gli assaggi:

-Bourgogne rouge “Clos de la Perriere” Monopole 2018: non è l’unico Bourgogne con menzione vigna, ma il fatto di essere monopole lo rende comunque una rarità. Proveniente da una vigna situata a Corpeau (a sud di Puligny-Montrachet), a ridosso della chiesa Saint Pierre Saint Maure: 1,65 ettari abitati da vecchie viti di pinot noir, chardonnay e aligoté risalenti agli anni 50/60 su suolo limoso-calcareo, resa intorno ai 45 hl/ha e maturazione di 12 mesi in barrique (15 % nuove).

Rosso rubino tendente al violaceo, naso semplice e immediato, fruttato di ciliegia su sfondo leggermente pepato; bocca liquida e beverina, tanta freschezza e leggera punta tannica, finale abbastanza lungo e dal rimando fruttato, sembra facile ma ha comunque la sua personalità; energia e sfrontatezza per un cioccolatino che non fa in tempo a sedurmi, perché la bottiglia finisce.

– Auxey-Duresses “Clos du Moulin aux Moines” Vieilles vignes Monopole 2016: vigna da cui trae il nome l’azienda, confinante con la parte nord del comune di Meursault. Come evidenzia Armando Castagno nel suo “Le vigne della Côte d’Or” è forse l’unico monopole village a partorire tre differenti vini dalla stessa parcella, due da pinot noir (uno v.v.) e uno da chardonnay. Quasi 3 ettari con strati di marne, argilla e calcare, dove la sezione più ripida, arida e maggiormente vicina al substrato roccioso dona maggior complessità alle vecchie viti piantate nel 1952; resa intorno ai 30 hl/ettaro e circa diciotto mesi in barrique (0% nuove).

Un bel rosso rubino con riflessi violacei, naso elegante di rosa appassita, arancia sanguinella, liquirizia e leggera nota ematica; sorso raffinato, caldo, bella acidità, struttura media, tannino snello ed educato che lascia trasparire una lieve sapidità, finale lungo e succoso da rendere il palato ansioso di un’altra sorsata; un vino intrigante, che appaga e trasmette belle sensazioni.

Due ottimi vini, che ben evidenziano la qualità espressa da questo domaine e che forse tengono a bada quel po’ di nostalgia borgognona; purtroppo però l’appagamento dura una notte sola, lasciando spazio il giorno seguente all’ennesimo delirio… e parte una nuova ricerca.

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Simone Di Vito

Cresciuto a pane e corse automobilistiche (per via del papà pilota), sceglie la sostenibilità di bacchette, tamburi e corde grosse, tra batteria e basso elettrico. Si approccia al vino grazie a una breve carriera da scaffalista al supermercato, decidendo dopo anni di iscriversi ad un corso AIS. Enostrippato a tempo pieno, operaio a tempo perso. Entra in Intravino dalla porta di servizio ma si ritrova quasi per sbaglio nella stanza dei bottoni. Coltiva il sogno di parcellizzare tutto quel che lo circonda, quartieri di Roma compresi.

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