Gianni Sinesi e la ricerca della semplicità. Una vita di riflessioni e di equilibri

Gianni Sinesi e la ricerca della semplicità. Una vita di riflessioni e di equilibri

di Jacopo Manni

Renzo Piano sostiene che la periferia è una fabbrica di idee, è la città del futuro. Un altro grandissimo intellettuale moderno, l’antropologo Marc Augè ci parla delle periferie come di posti sì difficili ma estremamente vivi. Luoghi dove si generano energie creative.

Ecco, partiamo proprio da qui per raccontare questa storia. Partiamo dalle periferie e da chi ha vissuto interamente la propria esistenza in una vita periferica. Proprio come quella di Gianni Sinesi.

Gianni ci nasce in una periferia dell’Italia, quella mediterranea di Barletta, poi sempre seguendo rotte centrifughe come in uno schema definito frequenta la scuola alberghiera a Roccaraso vicino L’Aquila.

Continua poi il suo romanzo formativo navigando le acque adriatiche a lui conosciute e care, e approda in Romagna, in uno dei più classici hotel della riviera, dove si fa le ossa e inizia a lavorare sul suo naso e sul suo gusto. E’ un ragazzo serio ma inquieto e abituato a guardarsi intorno. Il fato, o meglio il fiuto, lo spediscono a Rivisondoli, altra periferia del mondo, dove da pochi anni un altro ragazzo gentile, inquieto e periferico anche lui, ha dovuto abbandonare il vento selvaggio e l’avventura per il più classico schiaffo in faccia che la vita spesso riserva.

La morte del padre. La perdita e la separazione fanno uomo quel ragazzo che bramava il futuro, e la ricerca di radici solide e il senso della responsabilità diventano necessarie per il giovane Niko che decide da neofita assoluto di prendere in mano quel piccolo sogno che suo papà aveva aperto. Quel sogno si chiamava Reale, e sicuramente nemmeno nelle visioni più ottimistiche e ambiziose nessuno nella famiglia Romito avrebbe mai osato immaginare che sarebbe diventato reale non solo nel nome, ma uno dei migliori ristoranti al mondo.

Il giovane Gianni incontra il giovane Niko quando tutto questo era ancora inimmaginabile. E se il sogno Reale del papà di Niko e di Cristiana è diventato da piccolo ristorante di paese a essere il Ristorante n.29 nella lista di The World’s 50 Best Restaurant molto lo dobbiamo anche a questo ragazzo periferico che è diventato oggi un grande professionista.

Un uomo di riflessioni e di equilibri.

Tu sei un ragazzo nato in una periferia, Barletta, cresciuto a studiare in un’altra periferia, Roccaraso, e diventato “Grande” in una ancora diversa periferia, Rivisondoli prima e poi Castel di Sangro. Perché non hai mai ceduto al fascino delle grandi città?
Sai io ho lasciato Barletta all’età di 14 anni. Ero talmente piccolo che non potevo sapere cosa mi aspettava nella vita. Da piccolo poi io ero veramente un mammone e lasciare la famiglia per me è stato un qualcosa di veramente impegnativo ma allo stesso tempo è stato un qualcosa che mi ha fatto crescere in maniera più veloce e autonoma. Da piccolo uno crede molto al destino ma forse sono le scelte che fai che ti fanno incontrare la strada che poi trovi. Nel 2004 ho incontrato Cristiana e Niko e ho deciso di sposare il loro progetto.

Ho iniziato a pensare e a capire che cosa potevo davvero fare e diventare nella mia crescita lavorativa, non pensando in realtà a dove fossi come città e paese.

Se invece ripercorro il mio passato ora, visto che ho la maturità per farlo, ti posso dire che oggi non rimpiango la grande città affatto. A me il troppo caos non piace. Amo Milano, e Roma è la mia città del cuore per il suo romanticismo ma la vivrei sempre in due tre giorni e non andrei oltre. Per quanto riguarda Castel di Sangro, io non la vivo molto, vivo principalmente qui nella struttura a Casadonna. La vivo solo un po’ di notte attraverso le finestre di casa mia oppure in qualche serata dopo il lavoro con i ragazzi per andare a prenderci l’hamburgher o la birrettina che anche noi tristellati ovviamente ci concediamo. Io cerco sempre la semplicità in maniera più neutra diciamo, e anche lì esiste perché anche se è solo un hamburger c’è sempre un lavoro dietro.

I ristoranti sono forse gli unici baluardi e centri di produzione civile e culturale che sono centrifughi, periferici quindi. Avete messo uno spotlight su un posto prima in ombra e adesso come lucciole tutti vengono attirati qui. Come ti senti ad essere non solo un attore di tutto questo ma soprattutto un attrattore?
Esatto! Con tutto il gruppo e l’insieme che Niko e Cristiana hanno creato qui riusciamo a fare questo. Niko dice sempre che vivere qui per lui è un lusso e gli do ragione. Qui ci sono momenti di pace e tranquillità che ci permettono di dedicare tempo prezioso alla ricerca e allo studio. Anche a livello di stress qui ce n’é molto meno rispetto a Roma ad esempio.

Qui devi costruirti i tuoi momenti di svago e di cultura, le passeggiate a cavallo, lo sport, leggere un libro in riva al fiume. Queste sono tante piccole cose che ti permettono di concentrarti meglio sul tuo lavoro e questo è molto importante per avere lo stacco fisico e mentale del dopolavoro. Oggi più si cresce con l’eta e più è importante costruirsi questi spazi. Quando si è giovani bisogna spingere a lavorare perché hai tante forze e energie senza però avere la consapevolezza, quando cresci hai invece bisogno di spingere a lavoro sempre ma hai necessità di tempo e spazio per poterti dedicare a te stesso. In posti come questo puoi trovare l’equilibrio che è la cosa più importante.

Che effetto ti fa essere alla posizione 29 nei world’s 50 best restaurant?
Posso parlare per me ovviamente. E’ molto bello quando partecipi a questi congressi e alle cene di gala perché a prescindere dalla classifica conosci veramente tutto il mondo, le varie sfaccettature della cucina mondiale. Conosci gente come Victor Arguinzoniz di Asador Extebarri di cui avevo letto sempre tantissimo che è uno chef che mi affascina moltissimo perché ho sempre amato la cucina della brace. Conosci gente come i fratelli Roca, Redzepi del Noma di Copenaghen, David  Munoz del DiverXo. Conosci tanti volti ed è meraviglioso.

Per quanto riguarda l’impatto sul lavoro che ha la 50 Best, aldilà dei riconoscimenti noi portiamo avanti il nostro lavoro e lavoriamo sempre per una crescita costante dei nostri obiettivi. Certo quindici anni fa non avrei mai pensato di poter vivere tutte queste avventure che solo il mondo della ristorazione mi ha regalato e mai mi sarei sognato di raggiungere questi livelli. Conoscere tutte queste persone che avevo sempre visto come inarrivabili e che ho sempre stimato.

Qualche rimpianto arrivato a questo punto?
Avrei solo voluto viaggiare di più.

E qualche sassolino che ti vorresti togliere dalle scarpe adesso invece?
Sinceramente nessuno. La prima persona che doveva credere in sé stesso ero io, e quello l’ho imparato nel tempo. Con la pandemia ho dovuto mettere tutto in discussione, ho riazzerato tutto e ho iniziato a portare avanti il mio progetto Impressioni che adesso sta andando avanti benissimo. A novembre uscirò con la mia seconda annata. Il focus e l’obiettivo è il darsi da fare. Niko mi ha insegnato a pensare sempre positivo, l’importante nella vita e nel lavoro è reagire sempre e trovare sempre energie positive.

A proposito della pandemia cosa è cambiato nel tuo mondo nella tua vita e nel tuo lavoro rispetto a prima?
Mi lego a questo con un film che adoro che è Big Fish di Tim Burton, c’è una frase che mi ha molto colpito: “Dicono che quando incontri l’amore della tua vita il tempo si ferma… ed è vero. Quello che non ti dicono è che poi va a doppia velocità per recuperare”.

Ecco, oggi noi dobbiamo correre per recuperare il tempo perso e il denaro perso. Io non ho tempo di pensare a cosa è stato o a cosa sarà, il futuro lo costruiamo giorno per giorno.

Cosa ti dà piacere nel vino? Berlo, studiarlo, scovarlo, servirlo, produrlo?
Quello che mi piace nel vino è quello che il vino mi dice in quel momento. Gli abbinamenti esistono e sono studiati qui al ristorante ovviamente, ma non siamo statici. Quello che mi dà piacere è cambiare giorno per giorno, siamo sommelier apposta. Oggi c’è il sole qui e ho voglia di bere una tipologia di vino. Domani magari piove e non posso avere lo stesso vino. Il piacere è proprio quello di cercare di scoprire e abbinare il vino all’ambiente, al momento e al cliente che si ha di fronte.

Chi sono i clienti di uno dei migliori ristoranti del mondo?
Oggi abbiamo una clientela molto più giovane e molto più preparata. Credo molto dipenda dai i social e i media che oggi parlano molto di cucina e anche sulla sala e sul vino. I media stanno dedicando sempre più tempo a tutto questo insieme di cose che possiamo definire come parte di una vera e propria cultura. Oggi i clienti ti seguono sui social ed è bello perché vuol dire che riusciamo ad incuriosire, il rovescio della medaglia è che a volte però alcuni si sentono forse troppo spavaldi.

E’ vero che io moltissime volte ho imparato da clienti che avevano una cultura sul vino clamorosa, che io me la sogno e lì imparo, ma, noi siamo servitori è vero, ma siamo servitori anche di cultura e questo è il nostro lavoro. Noi siamo sommelier e camerieri ma abbiamo una cultura e un grande lavoro alle spalle e quindi c’è sempre bisogno di rispetto reciproco tra noi e i clienti.

Chi è Niko Romito con un aggettivo?
Per me Niko è l’essenzialità e la purezza.

Visto che tu sei un uomo di ricerca, ne approfitto per chiederti chi sono secondo te i nuovi Valentini e Pepe d’Abruzzo?
Ce ne sono tanti in Abruzzo. Quello che più premia l’Abruzzo più che i nomi sono gli stili di diversità che i produttori hanno. Ad esempio ci sono bravissimi produttori come Valle Reale, Tiberio, Ciavolich, c’è anche Cataldi Madonna. Poi ci sono tanti piccoli produttori tipo Fausto Zazzara che ho da poco premiato in carta. Io non ho mai avuto bollicine abruzzesi in carta prima di lui, perché secondo me questa non è terra di bollicine, ma lui sono 10 anni che si dedica a fare solo bollicine e secondo me dopo tanti anni è finalmente riuscito a trovare una quadra sulle bollicine.

Visto che l’Abruzzo terra di mare e di montagne ce lo permette mi dici un vino che berresti in riva al mare adriatico e uno invece in cima al Gran Sasso?
Un vino che berrei al mare ma non in estate, più a Giugno o Settembre che sono i miei mesi preferiti al mare, ti direi un bel rosso servito fresco a 15-16 gradi per trovare un bel connubio con i sapori del mare.

La salsedine e la mineralità che c’è nell’ambiente marino poi mi piace ritrovarla nel vino, che sia un Barolo o un Brunello. Non berrei un Pinot Nero perché un pò è scontato forse e poi perché non mi rimanda molto alla questione mare. Per il Gran Sasso invece, pensando all’aria pungente e frizzante della montagna mi berrei una bella bollicina, poi se italiana o francese si decide al momento.

La tua vita naviga tra le due terre del rosato italiche, un rosato pugliese e uno abruzzese che adori?
In Puglia mi è piaciuto molto, e ho avuto anche in carta questa estate, è un susumaniello, che è un vitigno pugliese che stanno rivitalizzando benissimo. Lo fanno anche in rosso ma per quel poco che ho assaggiato di questa uva secondo me si esprime molto meglio sul rosato. E’ il rosato Askos Susumaniello rosato Salento IGT di Masseria Li Veli dei fratelli Falvo che fanno anche una Verdeca interessante. Io faccio un sacco di ricerca in Puglia e ogni volta che sento evocare le parole Puglia o masseria mi si apre il cuore..e un giorno chissà che non ritorni. Lì ci sono vini qualità prezzo clamorosi.

Qui in Abruzzo invece vado sul Piè delle Vigne Cerasuolo d’Abruzzo DOC di Cataldi Madonna.

Tu “fai” anche vino. Raccontaci il tuo progetto
Io lo faccio si. Ho cercato nel tempo, dopo anni di crescita, di trovare uno stimolo nuovo. Dopo varie ricerche e pensieri e notti a non dormire è nato il progetto Impressioni.

Impressioni perché racconta me stesso, io ci metto la faccia perché è la mia impressione travestita in vino. Ognuno di noi quando beve un vino in un certo modo ne racconta la sua impressione. Io avevo voglia di fare qualcosa di mio e parlando con Leonardo Pizzolo di Valle Reale è nata una collaborazione. Abbiamo iniziato a fare assemblaggi, o tecnicamente parlando i famosi tagli, che ho scoperto che è la cosa più difficile da fare. La sfida mi è piaciuta sempre di più e allora mi sono messo ancora più in gioco e ho iniziato a fare i miei tagli e nel 2018 è uscita la mia prima annata di Impressioni di Montepulciano d’Abruzzo. Un vino di 12.5° vinificato in cemento che fa macerazione carbonica, ispirandomi allo stile Beaujolais. Chi e quando lo assaggia quando lo servo a 16 gradi – perché dico sempre: “criticatemi sul vino ma non sulle temperature di servizio” perché sono una mia fissazione –  ne rimane spiazzato ma la bottiglia finisce sempre.

Ho fatto nascere un vino di semplicità, di facile beva ma non scontato. L’Abruzzo non ha bisogno di Gianni Sinesi ovviamente ma ho scelto di fare questo progetto perché volevo mettermi in gioco, una sfida con me stesso, e trasmettere qualcosa in più ai miei clienti non solo come sommelier ma anche come selezionatore. Collaboro anche con Mosnel in Franciacorta dove ho fatto una riserva del 2007, ma anche uno champagne con Goutorbe-Bouillot a Damery dove faccio un lavoro più piccolo ma importante, perché seleziono la liqueur d’expedition.

Mi viene in mente Federico Graziani che ha poi mollato il lavoro in sala e si è dedicato esclusivamente alla produzione. Sala e produzione li vedi compatibili?
Federico Graziani intanto lo ho anche in carta e adoro il suo bianco Mareneve. Secondo me un bianco di una eleganza pazzesca. Pensare che è un bianco da vitigni misti come Gewurtraminer, Carricante e altri, metterli insieme è molto complicato. Lui ha trovato invece un equilibrio pazzesco e una eleganza unica, un vino veramente eccezionale.

Per quanto riguarda questo mio progetto, secondo me è compatibile col mio lavoro e anzi allo stesso momento è crescita. Il mio progetto ha solo due anni, sono ancora piccolo e riesco benissimo a portare avanti entrambe le cose per ora, l’obiettivo è di arrivare  ad avere 10 etichette firmate Gianni Sinesi senza mai perdere l’equilibrio nel lavoro.

Una cosa che ti fa incazzare del mondo del vino?
L‘arroganza che a volte c’è nel mondo del vino sia tra professionisti che nei clienti. Mi fa incazzare quando di fronte a te hai il saputello o i “Super eroi” della situazione. Ricordiamoci che non stiamo salvando il mondo. Stiamo facendo il nostro lavoro portando avanti una parte della cultura che è molto importante ma senza fare, come disse il buon Alberto Sordi nel Marchese del Grillo: “io sò io e voi non siete…”

Se ti dico vino naturale?
Io in carta ho di tutto e di più, dal vino naturale, al biologico, al convenzionale. Se il vino rispecchia le mie caratteristiche di ricerca che sono pulizia, riconoscibilità, bevibilità e piacevolezza per me il vino va in carta qualunque sia la tipologia. Penso che il vino naturale faceva parte di una moda e adesso invece sta diventando uno stile. Riusciamo a trovare vini naturali di grande piacevolezza cose che invece magari prima riuscivamo meno.

Come per la barrique, dopo 10-15 anni di lavoro quasi ogni produttore oggi ha trovato una sua quadra sul legno, se grande o piccolo e altro, e cosi sta accadendo anche nei naturali. Inizialmente era moda, c’erano un sacco di vini anche puzzolenti in giro, e questo lo dico non poteva giustificare il fatto che fosse naturale perché il vino aveva un difetto, ma come possono avere difetti anche altri vini. Proprio perché il mondo del naturale adesso invece sta diventando uno stile, ognuno seleziona ciò che è giusto per il proprio lavoro che fa nella ristorazione. Io vado avanti col selezionare ciò che fa bene a me ma soprattutto al “mio” ristorante, perché poi tutto deve anche essere legato alla filosofia della cucina.

Poi se prendi tra Roma e Milano un Marco Reitano, un Sebastien Ferrara oppure anche Vincenzo Donatiello a Piazza Duomo, loro magari sono “costretti” a fare una selezione più importante a livello di etichette e di blasoni, perché magari lì la clientela di città lo richiede. I blasoni, cioè i grandi nomi, ce li ho anche io in carta e ci devono essere perché fanno parte della storia, ma qui posso regalarmi una ricerca su tante altre pagine della cultura vitivinicola.

Hai in cantina una bottiglia di vino che se venduta ti farebbe rodere il…didietro?
I vini sono fatti per essere venduti e bevuti, e ok. Ma quando ti dimentichi di avere proprio l’ultima bottiglia di un vino in carta, ad esempio un bel Brunate di Rinaldi, che magari avresti voluto togliere dalla carta e tenerlo da parte, e ti dimentichi di farlo per vari motivi e i clienti ti vanno a scegliere proprio quella bottiglia lì ecco sì in effetti mi farebbe rodere un bel pò… però fa parte del gioco.

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Jacopo Manni

Nasce a Roma ma si incastella a Frascati dove cresce a porchetta e vino sfuso. L’educazione adolescenziale scorre via in malo modo, unica nota di merito è aver visto dal vivo gli ultimi concerti romani dei Ramones e dei Nirvana. Viaggiatore seriale e campeggiatore folle, scrive un libro di ricette da campeggio e altri libri di cucina che lo portano all’apice della carriera da Licia Colo’. Laureato in storia medievale nel portafoglio ha il santino di Alessandro Barbero. Diploma Ais e Master Alma-Ais, millantando di conoscere il vino riesce ad entrare ad Intravino dalla porta sul retro.

2 Commenti

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josè pellegrini

circa 2 anni fa - Link

bel personaggio, piacevole lettura, scoperta di "sconosciuti"...

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Giuseppe Costantino

circa 2 anni fa - Link

Bella intervista , emerge pacatezza e competenza , merci rare che vanno abbastanza d'accordo

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