Garbole, i Tre Cristi e la forza delle storie dimenticate

Garbole, i Tre Cristi e la forza delle storie dimenticate

di Graziano Nani

Quasi dimenticati.
Quando parliamo di storie dimenticate pensiamo a racconti antichi e fragili. Appesi a fili come ragnatele, pronte a spezzarsi da un momento all’altro per precipitare nell’oblio. Nel momento in cui recuperiamo queste storie crediamo di essere arrivati per salvarle. Non pensiamo mai che invece, a volte, sono loro a salvare noi. Perché le loro radici non si vedono, ma spesso sono tanto profonde da rendere solido qualsiasi racconto. Pensiamo alla michetta. Così semplice e radicata nei ricordi di tutti da richiedere giusto una spolverata per ritrovare la sua forza. Questa della michetta è solo la prima delle storie perdute evocate da Tre Cristi qualche giorno fa. Andava in scena la presentazione delle nuove annate della cantina Garbole e si è parlato di uve come saccola, pontedarola, spigamonti, segreta… più dimenticate di così. Ma andiamo con ordine.

Garbole e un fungo. 
Garbole nasce nel 1994 dai fratelli Ettore e Filippo Finetto. La zona è quella della Valpolicella, più precisamente della Valle d’Illasi. Ad oggi produce circa 25.000 bottiglie, il 70% delle quali va sul mercato estero, suddivise fra quattro etichette che escono solo nelle migliori annate. La serata da Tre Cristi è l’occasione per presentare le nuove annate, abbinate ai piatti dello chef Franco Aliberti. Il suo benvenuto è un porcino ricostruito recuperando i ritagli meno nobili del fungo, che in genere vengono scartati. Il risultato non ha niente da invidiare alle parti più nobili che siamo abituati a mangiare. Né per forza espressiva, né per texture, visto che l’effetto viscoso è totalmente preservato.

Heletto 2012 / Michetta, trippa in umido 
Heletto nasce dal taglio classico della Valpolicella, con una maggioranza di corvina. Sei anni in botti di legno nuovo, più un anno di affinamento, con oltre 30 giorni di appassimento per le prime uve, e via a scendere per le altre. È un vino dalla forza viva. Da un lato abbiamo il legno nuovo, americano, che insieme all’appassimento porta tenore e cremosità. Dall’altro una componente salina vibrante, insieme a un filamento di clorofilla a dare altro slancio. Cambia tanto nel bicchiere e si apre. “Proporzionalmente a quanto è aperto chi lo beve”, aggiunge Ettore. I suoi sette anni si fanno sentire con riverberi terziari che emergono gradualmente. Come sta sulla michetta con la trippa in umido? Da dio. Il pane è fatto con la pasta choux, la trippa ha subìto una lunga cottura ed è stata abbrustolita. Insieme ingaggiano un braccio di ferro con il vino, che mette sul piatto la sua struttura e rende la sfida potenzialmente infinita.

Hatteso Amarone Riserva 2011 / Pacchero fresco, ragù di coda di manzo, mandorle
Ecco l’Amarone. Caldo, muscoloso, uno spettacolo sontuoso. Il blend è uguale a quello di Heletto, cambiano appassimento e lavorazione. La capacità di cambiare nel bicchiere è impressionante. Ettore lo definisce un vino permaloso, con forti sbalzi d’umore, la sua natura suscettibile mostra mille volti nascosti. Come la bevibilità sorprendente, considerando la tipologia e gli anni di evoluzione che ha già fatto. Se da un lato le sue spalle larghe abbracciano il tenore della portata e la forza della coda, dall’altro un inaspettato sprint nella beva consente di arrivare in fondo al piatto tutt’altro che affaticati. Il dialogo fra tannino e ragù è pura poesia.

Hurlo 2011 / Biancostato alla brace, bietole, cipolla caramellata, pan brioche 
Ettore e Filippo iniziano nel 1994 per gioco, in un garage, setacciando la zona alla ricerca di un po’ d’uva. Prendevano dai contadini quello che rimaneva dopo le vendite più importanti, spesso uve minori, dimenticate, che univano per fare i primi esperimenti. Hurlo raccoglie l’eredità di questi anni pionieristici mettendo insieme la forza della corvina e il mistero di vitigni di cui si sono perse le tracce. Saccola, pontedarola, spigamonti, segreta. Questo vino è di un’eleganza superiore, tra la seta e il velluto, la forza glicerica quasi tripla rispetto agli altri fa pensare a un residuo zuccherino importante, ma non è così. La sua nobiltà incontra quella del biancostato, estrapolata dallo chef con un lungo procedimento che passa prima dalla brace, poi dal forno, poi da una “pulizia” della carne dalle parti meno fini, per terminare con la griglia. Un’accoppiata di gran classe.

Hestremo Recioto della Valpolicella 2011 / Mousse di crescenza, composta di fichi, meringa alla pera
Arriva il Recioto con i suoi 200 g/l di zucchero. Ettore ricorda quanto sia antico questo vino, bevuto dagli Scaligeri già nel 1300. E gli attribuisce una frase che vale più di mille descrizioni: “Hestremo è la massima espressione dell’uva”. Anche in questo caso il blend è lo stesso di Heletto. Materia e concentrazione occupano il centro della scena. Ma ancora una volta c’è finezza, grazia, quasi un’elevazione in grado di trascendere la tipologia. La crescenza è uno scrigno di delicatezza, dischiude nuance garbate che vibrano della dolcezza dei fichi, della materia della pera e della grazia evanescente della meringa. Il percorso dello chef nel mondo della pasticceria si sente tutto.

Hurlo silenzioso.
La michetta, le uve di una volta, il biancostato. Resta la sensazione di una corrente energetica che arriva dal passato. Da storie così lontane che quasi non hanno suono, come quella “H” che a Garbole mettono in ogni nome, come un filo conduttore che passa per la lettera più silenziosa dell’alfabeto. Un silenzio così denso da trasformarsi, come in un cortocircuito paradossale, in un’esplosione. Un grido che investe e travolge, con secoli di conoscenza che non possono essere dimenticati. È questo che loro chiamano Hurlo.

Schermata 2019-11-01 alle 11.32.31

avatar

Graziano Nani

Frank Zappa con il Brunello, Hulk Hogan con il Sassella: per lui tutto c’entra con tutto, infatti qualcuno lo chiama il Brezsny del vino. Divaga anche su Gutin.it, il suo blog. Sommelier AIS, lavora a Milano ma la sua terra è la Valtellina: i vini del cuore per lui sono lì.

4 Commenti

avatar

Littlewood

circa 4 anni fa - Link

Ecco..a volte rimango sconcertato....i vini di Ettore potrebbero essere fatti in qualsiasi luogo asfaltati come sono da un mare di legno e appassimento . Uno in quei vini ci riconosce il territorio?? Io proprio no! Nn sara' mai la valpolicella che amo anzi ne trovo la concentrazione in quei vini di tutto cio' che sta' travolgendo questo territorio. Poi che con gli abbinamenti giusti di un' ottimo chef siano anche piacevoli ci sta' pero'....

Rispondi
avatar

Alberto

circa 4 anni fa - Link

Approvo in pieno il commento. Magari saranno ottimi vini, piacevoli e di pregevole qualità. Ma il territorio è ben lontano. Ovviamente ognuno produce quello che ritiene di proprio gusto e che il mercato recepisce.

Rispondi
avatar

Nelle Nuvole

circa 4 anni fa - Link

Leggo sempre volentieri quello che scrive Graziano nani, e ancora con più gradimento i commenti di personcine esperte come Littlewood., l'insieme delle due visioni mi aiuta ad avere un'idea dello stile produttivo. Sarebbe anche interessante sapere grosso modo i prezzi su scaffale dei vini dissezionat..., ehm, citati. Questo perché con quei nomi ho come il sospetto che non siano poi così a buon mercato. D'altra parte se i vini sono stati battezzati così forse c'è un messaggio subliminale dietro a Hatteso Hestremo, Hurlo ( e qui ci starebbe bene l'emoticon con la faccina di Munch) PS La lingua italiana è meravigliosa per la sua duttilità, però certe stravaganze, abbiate pazienza mi fanno sorridere e tirano fuori la parte peggiore di me, e He Hazzo!

Rispondi
avatar

Littlewood

circa 4 anni fa - Link

Son prezzi assolutamente fuori mercato signora 2 cognomi! Qualcuno ad un certo punto si e' sentito la reincarnazione di Romano dal Forno....cosa che a mio modesto parere mi sembra un tanticchio esagerata....

Rispondi

Commenta

Rispondi a Alberto or Cancella Risposta

Sii gentile, che ci piaci così. La tua mail non verrà pubblicata, fidati. Nei campi segnati con l'asterisco, però, qualcosa ce la devi scrivere. Grazie.