Farhad Bandesh, l’enologo migrante fuggito dall’Iran

Farhad Bandesh, l’enologo migrante fuggito dall’Iran

di Elena Di Luigi

In Iran la produzione di vino è bandita dal governo ma le comunità curde, con la loro tradizione millenaria, continuano a farlo clandestinamente e per consumo familiare. Farhad Bandesh ha imparato a fare il vino così, a 22 anni, e nel 2013 ha deciso di migrare in Australia nella speranza di iniziare una nuova vita come musicista e winemaker. Ma come tanti altri richiedenti asilo è stato costretto dalle autorità australiane a vivere per sette anni in un centro di detenzione, fino al giorno del suo quarantesimo compleanno nel dicembre 2020. Durante gli anni di reclusione si è battuto per il riconoscimento dei diritti dei migranti ed ha conosciuto Sarah Andrew, avvocato e co-presidente dei Sommeliers Australia. Questa amicizia gli ha consentito di ottenere il suo primo lavoro subito dopo il rilascio e a pochi giorni dall’ inizio della vendemmia.

Farhad sei un musicista, un artista ma hai anche prodotto vini nella città di Ilam (Iran). Quale di queste anime ti rappresenta di più e sono tutte radicate nel tuo background culturale?
I Curdi hanno un’incredibile lunga storia di produzione di vini meravigliosi. Lo si faceva a casa, per festeggiare e ritrovarsi insieme a bere. Noi Curdi rispettiamo il vino che è parte della nostra cultura e della nostra lunga storia. Amo in particolare i vini rossi. Oggi ci viene proibito sia produrre e che bere vino in Iran.

Nel 2013 hai deciso di lasciare il tuo paese, perché?
Faccio parte di un popolo che ha subito genocidi, persecuzioni, ogni sorta di torture e traumi. Ci è stata rubata la nostra terra, ci viene proibito di parlare la nostra lingua e di vivere la nostra cultura e suonare la nostra musica. Viviamo perseguitati e con la paura di chi ci ha occupato e ci impone il loro governo sulle nostre vite. Siamo degli apolidi a casa. Questo non è vivere.

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Dopo essere stato rilasciato da un centro di detenzione per rifugiati in Australia, proprio il giorno del tuo compleanno, da subito hai iniziato a lavorare in una cantina e a produrre i tuoi vini. Uno di questi é Game Over scelto per promuovere la campagna di Amnesty International. Come ci si sente ad avere un vino che puoi chiamare tuo?
Ci si sente privilegiati. Sono stato presentato a Mac Forbes, che ha un’azienda vinicola nella Yarra Valley in Victoria, e lui mi ha dato questa possibilità, una cosa per me impensabile durante la detenzione. Ho voluto onorare la campagna Game Over  e anche Craig Foster (ndr ex calciatore oggi attivista) che lottano davvero duramente affinché i rifugiati richiedenti asilo vengano trattati con dignità umana e al sicuro, in posti dignitosi. Il governo australiano fa l’opposto ma le belle persone della comunità ci trattano come umani. È prezioso anche essere chiamato con il mio nome e non con un numero. Ho un altro vino che ho etichettato con il nome di Time to Fly, simboleggia la libertà per gli innocenti che sono ancora detenuti. Devono essere liberati.

Hai già lavorato con il cabernet sauvignon e lo shiraz, quali altri vitigni australiani ti piacerebbe utilizzare e perché?
Vorrei cimentarmi con chardonnay, merlot, ganache, tutti direi! Sono varietà nuove per me ed è sempre emozionante sperimentare e vedere cosa succede.

Cosa sai della vinificazione in Iran prima della rivoluzione del 1979, in particolare nella provincia da cui vieni?
So che i Curdi hanno una lunga storia di produzione di birra e di vino che risale a migliaia di anni fa. Prima della rivoluzione la produzione locale era la norma ma sfortunatamente non ci sono più le aziende vinicole per via del divieto di produzione di alcol imposto dal governo. Alcune persone lo fanno a casa ed è sempre consumato con il cibo. La nostra cultura dice che il vino si accompagna automaticamente al cibo. Pratica e cultura sono la stessa cosa.

E le varietà autoctone?
Ci sono così tanti diversi tipi di uva tra cui shiraz ovviamente e chardonnay. Qui sto conoscendo quelli australiani ed europei, non vedo l’ora di esplorarli tutti.

In una interviste hai fatto riferimento a una fermentazione fatta con l’aggiunta di bucce di banana.
Sì, l’aggiunta di bucce di banana al processo di fermentazione serve a conferire un un sapore bello e interessante.

Cosa hai appreso dall ’esperienza di vinificazione in Australia?
Non immaginavo che l’industria del vino in Australia fosse cosí grande e ne sono impressionato. Ci sono così tante meravigliose cantine qui, mi piacerebbe visitarle tutte e imparare tutto quello che posso dai viticoltori di questo paese, la parte commerciale, le attrezzature e le tecnologie. Penso che possiamo imparare reciprocamente dalle proprie esperienze. Qui la gente è appassionata di vino.

Quindi, tornando alle tue tre anime, su quale ti concentrerai di più in futuro?
Mi piacerebbe produrre una mia varietà di vini e continuare ad esplorare le diverse uve che trovo qui in Australia. In realtà, un’altra area su cui vorrei concentrarmi è la creazione di sapori eccitanti con il gin e anche il tradizionale arak. Il fatto è che non avendo un visto permanente, sono ancora in un’altra crudele forma di limbo che mi impone restrizioni su ciò che posso fare. Comunque voglio andare avanti con la mia vita e contribuire alla comunità e all’economia di questo paese. Se mi verrà data questa possibilità, penso di poter essere davvero felice e di avere successo.

Foto: ©The Guardian

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