Esiste un tema di rappresentanza di genere nel vino italiano

Esiste un tema di rappresentanza di genere nel vino italiano

di Jacopo Cossater

Qualche settimana fa sono finito su una pagina di WineNews dedicata alla “21 cantine italiane che nel 2019 hanno fatturato più di 100 milioni di euro” e per curiosità ho iniziato a cercare sui rispettivi siti quali tra queste siano guidate da donne. Solo una.

Dal 2017 Albiera Antinori è infatti amministratrice delegata dell’azienda di famiglia, in assoluto il gruppo privato che in Italia fattura di più. A Marchesi Antinori seguivano – i dati sono riferiti appunto al 2019 – Casa Vinicola Botter Carlo, Fratelli Martini, Zonin 1821, Enoitalia, Santa Margherita, Italian Wine Brands, Gruppo Ruffino, Marchesi Frescobaldi, Mondodelvino Group, Schenk Italian Wineries e Gruppo Lunelli. Se invece si parla di cooperazione le più grandi realtà produttive erano, in ordine, Cantine Riunite, Caviro, Cavit, Mezzacorona, La Marca, Cantina di Soave, Terre Cevico, Collis Veneto Wine Group e Gruppo Vivo Cantine.

Da lì il passo è stato piuttosto breve, e nei ritagli di tempo ho iniziato a curiosare qua e là cercando tra associazioni e consorzi per capire se e come esista un tema legato alla rappresentanza di genere, nel vino italiano. La base da cui partire me l’ha fornita l’Associazione Nazionale Donne del Vino guidata dalla toscana Donatella Cinelli Colombini, associazione senza scopo di lucro fondata nel 1988 che promuove la cultura del vino e il ruolo delle donne nella filiera produttiva enologica e che oggi conta più di 900 associate tra produttrici, ristoratrici, enotecarie, sommelier, giornaliste ed esperte. Grazie a un veloce scambio di email ho scoperto una proposta di legge del 2019 contenente molti dati, per esempio che «le donne sono circa il 34 per cento del totale degli operai agricoli dipendenti, che in Italia sono circa un milione» e che a livello imprenditoriale «la rappresentanza femminile nell’agricoltura italiana è pari al 31 per cento del totale degli imprenditori agricoli».

Un dato, quello italiano, appena inferiore alla media europea: «i dati più recenti (maggio 2019), ricavati da uno studio sullo status professionale delle donne in agricoltura elaborato dalla Commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere (FEMM Committee) del Parlamento europeo, indicano che le donne rappresentano il 35,1 per cento della forza lavoro agricola». E ancora: «circa il 30 per cento delle aziende agricole nell’Unione europea sono gestite da donne (…) tuttavia il ricambio generazionale è ancora scarso. Molte donne che lavorano nell’agricoltura non sono giovani e, nell’ambito delle imprenditrici, quelle over 50 rappresentano il 70 per cento del totale».

A logica si potrebbe quindi pensare che anche a livello di rappresentanza le percentuali siano più o meno le stesse. Non è così, e spero mi scuserete se da qui in poi questo post sarà composto più che altro da nomi e da cariche, cose forse non così interessanti che però dimostrano, se ce n’era bisogno, quanto nel vino italiano ancora ci sia molto da lavorare, in questo senso.

Per prima cosa sono andato a vedere il consiglio di amministrazione di Federdoc, la “Confederazione Nazionale dei Consorzi volontari per la tutela delle denominazioni di origine” e, come dire, l’inizio non è stato particolarmente incoraggiante. Su 24 consiglieri, tutti presidenti di importanti consorzi di tutela, 1 sola donna, in percentuale circa il 4 per cento: è Ruenza Santandrea, presidente del Consorzio Vini di Romagna.

Beh, ho pensato, non conta (solo) la figura più importante ma la composizione dei rispettivi consigli. Sono andato allora a vedere i CDA di tutti e 24 i consorzi presenti in quello di Federdoc e ho scoperto che la rappresentanza femminile varia dal 33,33 per cento del Consorzio Vino Nobile di Montepulciano e dal 25 per cento del Consorzio Tutela Vini Orvieto fino allo ZERO per cento del Consorzio per la Tutela dell’Asti, del Consorzio Prosecco DOC, del Consorzio Tutela Friuli Grave, del Consorzio Tutela Denominazione Frascati. Ma non sono tanto questi ultimi a rappresentare un mondo consortile decisamente declinato al maschile quanto la media della presenza femminile nei consigli di tutti quanti, messi insieme non supera il 9 per cento.

Certo esistono anche eccellenti eccezioni come quella di Daniela Pinna, al terzo mandato come presidente del Consorzio Tutela del Vermentino di Gallura, in Sardegna. O quella della già citata Donatella Cinelli Colombini alla guida del Consorzio Vino Orcia, di Irina Strozzi al Consorzio del Vino Vernaccia di San Gimignano e di Albiera Antinori del Consorzio Bolgheri e Bolgheri Sassicaia, in Toscana (quest’ultimo con una rappresentatività femminile pari al 66,66 per cento, 6 componenti su 11).

Qualche anno fa Loredana Sottile si era posta lo stesso problema sul Gambero Rosso, sottolineando come le quote rosa stabilite per legge al minimo del 20% nel mondo del vino italiano non abbiano mai preso piede: «che sia stato un disguido o una decisione volontaria del legislatore, di sicuro c’è che la norma non era mai piaciuta al settore vino, in quanto considerata inapplicabile e lesiva della libertà imprenditoriale».

Al di fuori del mondo consortile esistono anche casi molto virtuosi, Matilde Poggi è per esempio al secondo mandato come presidente della più grande associazione di produttori italiana, la Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti rappresenta oltre 1.300 aziende per 13mila ettari complessivi e 95 milioni di bottiglie prodotte. L’impressione è che però questi continuino a essere casi molto isolati all’interno di un sistema produttivo che non incoraggia la partecipazione delle donne.

Appena più positiva la situazione nella sommelierie: nel consiglio AIS 7 donne su 32 membri, il 21 per cento. Situazione non lontana in ONAV, con 4 su 22, il 18 per cento. Ma forse sto andando fuori tema rispetto al pensiero che avevo fatto all’inizio, quello relativo alla rappresentanza femminile nel mondo produttivo italiano.

Edit: la prima versione di questo post non conteneva il riferimento alla virtuosa situazione del Consorzio per la Tutela dei Vini Bolgheri e Bolgheri Sassicaia DOC

[immagine: The Back Label]

 

Jacopo Cossater

Docente di marketing del vino e di giornalismo enogastronomico, è specializzato nel racconto del vino e appassionato delle sue ripercussioni sociali. Tra gli altri, ha realizzato i podcast Vino sul Divano e La Retroetichetta, collabora con l'inserto Cibo del quotidiano Domani e ha cofondato il magazine cartaceo Verticale. Qui su Intravino dal 2009.

12 Commenti

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Donatella Cinelli Colombini

circa 3 anni fa - Link

Bravo Jacopo, bravo. Un'analisi che descrive con precisione la situazione attuale. Recentemente le Donne del vino hanno fatto un sondaggio fra le associate per capire cosa era da inserire nel "Recovery" per dare una prospettiva migliore alle campagne. Il risultato è stato fibra e connettività, viabilità e trasporto pubblico, servizi come asili nido e, asili perchè attualmente costano troppo in rapporto ai salari agricoli e questo porta all'abbandono del lavoro delle donne. A volte la discriminazione femminile passa attraverso percorsi come quello della mancanza di asili nido , così come la partenza dei giovani dalle campagne potrebbe dipendere anche dalla mancanza di segnale che non fa funzionare il loro telefonino e il loro pc. Se vogliamo un'agricoltura diversa bisogna smettere di pensare alla campagna come l'area da finanziare per ultima.

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NadiaP.

circa 3 anni fa - Link

Dati interessanti e allo stesso tempo deprimenti. Più che un 'tema', quello della rappresentanza nel panorama enologico nazionale è un vero problema. Giustissimo comunicare e rendere questi dati il più visibili possibile. I tempi sono maturi per cominciare a chiedersi il perché e a indagare le dinamiche che producono questi numeri. Non è facile, ma si può e si deve cominciare a riflettere su questi temi.

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Anna Ponte

circa 3 anni fa - Link

Massimo rispetto per le donne che fanno intrapresa; io però vorrei far presente la condizione di ipersfruttamento cui sono sottoposte donne e uomini nel comparto agroalimentare italiano; sfruttate/i da padroni e caporali che considerano la forza lavoro come un limone da spremere fino all'ultima goccia. Cè una questione di classe, che precede quella di genere. Per favore, non le confondiamo. Grazie per lo spazio. Anna Ponte. Operaia, madre, sindacalista.

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vinogodi

circa 3 anni fa - Link

... Anna, immagino ti riferisci al comparto agricolo . Effettivamente esistono realtà davvero difficili che hanno tutta la mia solidarietà e considerazione . Di contro, Il reparto agroalimentare industriale italiano è fra i più tutelati e garantiti , dal punto di vista dei contratti collettivi : se leggi il Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro per i lavoratori nell'industria Alimentare è preso come esempio di tutela del lavoratore in tutti i settori...

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Lanegano

circa 3 anni fa - Link

La questione di classe è il grande rimosso del mondo del lavoro italiano in generale, almeno da un paio di decenni.

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Giacomo

circa 3 anni fa - Link

E cosa vuoi, quello è in disoccupazione agricola, ma gli "chiedono" di venire lo stesso qualche giorno in vigna, quell'altro è in cassa integrazione ma gli "chiedono" qualche ora al birrificio, quell'altro pure lui in cassa, ma "qualche pratica la puoi fare da casa"... nen tant luntan da sì, come suol dirsi....

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Luca Cravanzola

circa 3 anni fa - Link

Jacopo, giusto per "onor di cronaca" nel nostro consorzio, Albeisa, la presidente al secondo mandato è Marina Marcarino (Punset) e il CdA è composto al 50% da donne. Non per "quote rosa" ma per adesione spontanea. Non a caso l'Albeisa non è mai stata così "attiva" come negli ultimi anni.

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Jacopo Cossater

circa 3 anni fa - Link

Grazie Luca! Era inevitabile che un certo numero di realtà mi sfuggisse, scusatemi

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Alberto

circa 3 anni fa - Link

Sperando che nessuno si offenda: Lavoro come commerciale nell'ambiente vino da una dozzina di anni. Anche io credo che ci sia una grave mancanza di rappresentanza femminile in questo mondo, il problema, però, è che difficilmente l'universo femminile trova affinità ed interesse per questo ambito, sicuramente in % inferiore rispetto all'altra metà del cielo... eppure, quando questo accade, le possibilità professionali non mancano. Non voglio ridurre il tutto ad una banale questione di distribuzione statistica, però è elemento da tenere in considerazione, almeno per valutare quali elementi cambiare per avvicinare un maggior numero di donne a questo fantastico mondo.

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Giacomo V

circa 3 anni fa - Link

Buongiorno Jacopo, i numeri sono molto interessanti, ma sono in disaccordo sulle conclusioni. Mi spiego meglio: proviamo a trasportare lo stesso discorso in altri ambiti professionali, per esempio quello dei muratori, degli operatori di nettezza urbana, dei minatori, degli informatici, degli ingegneri o dei necrofori. I questi settori gli uomini sono la maggioranza schiacciante, qualcuno si sente discriminato? Rigirando la situazione, chi si sente oltraggiato a cause della scarsa rappresentanza maschile tra le colf, maestre di asilo e elementari, infermiere, segretarie, bambinaie, estetiste, badanti e ostetriche? Non esiste, una naturale predisposizione e un naturale interesse per alcune professioni? L'importante é che nessuno sia discriminato a causa del proprio sesso e questo vale in senso negativo ma anche in senso positivo, per questa ragione itengo che le quote rosa non siano una buona idea. Nessuno deve essere scartato tra i possibili candidati in lizza per un posto di lavoro in quanto donna e su questo siamo tutti d'accordo. Ma assumere qualcuno proprio perché donna, sarebbe altrettanto discriminante. Penso in special maniera alla faccia che farebbero i proprietari di imprese di trasloco se gli venissero imposti tali criteri. saluti

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vinogodi

circa 3 anni fa - Link

...Giacomo , mi hai anticipato . Una collega brava , è brava e basta , non perchè di genere femminile . Le quote rosa , se redistribuzione meritocratica per sopperire ad una ingiustizia discriminatoria , mi sta benissimo , anzi , mantenendo il medesimo criterio di selezione , che è quello meritocratico . Un'attribuzione di competenza o merito in quanto priva di pene , fossi una donna sarei la prima ad incazzarmi...

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nadiap

circa 3 anni fa - Link

Trovo sempre interessante come ogni qualvolta viene sollevata la questione di rappresentanza di genere rispetto a determinati comparti produttivi, si levino una serie di "però" e "ma". Il che mi convince dell'importanza del comunicare questi numeri con più frequenza e costanza, ma anche della messa in discussione delle dinamiche sottese al problema. Bisognerebbe cominciare anche in Italia a portare il valore dell'inclusività dentro il mondo-vino.

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