Enogiornalismo e Wine Blogging. 12 ore da professore all’Università di Scienze Gastronomiche in quasi 100 link

Enogiornalismo e Wine Blogging. 12 ore da professore all’Università di Scienze Gastronomiche in quasi 100 link

di Alessandro Morichetti

Quella che segue è la traccia unica ed organica che ho seguito per impostare le 12 ore del modulo di Enogiornalismo e Wine Blogging per le lezioni del Master in Cultura del vino italiano presso l’Università di Scienze Gastronomiche a Pollenzo: il corso non prevede altro materiale didattico. Mi auguro ci siano spunti di lettura e riflessione interessanti per tutti, corsisti e non. Il post è ovviamente work in progress: ogni altro spunto è ben accetto.

 

Drink and repeat

QUALCHE PREMESSA: IL GIORNALISMO

Frasi, citazioni e aforismi sul giornalismo e i giornalisti
“La lettura del giornale è la preghiera del mattino dell’uomo moderno” (Georg Wilhelm Friedrich Hegel, 1820)

“Il giornalismo è un mestiere nel quale si passa la metà del tempo a parlare di ciò che non si conosce e l’altra metà a tacere ciò che si sa” (Henri Béraud)

“C’è da avere più paura di tre giornali ostili che di mille baionette” (Napoleone Bonaparte) = Quarto potere 1787, Watchdog

“In Italia mancano giornalisti che facciano la seconda domanda. Cosa intendo? Semplice: il giornalista intervista un politico, fa la sua domanda, il politico risponde. A questo punto il giornalista dovrebbe fare la seconda domanda: “scusi, ma lo sa che questa è una stronzata pazzesca!?” Invece la seconda domanda non viene mai fatta, in questo modo i politici sono lasciati liberi di dire tutte le cazzate che vogliono” (Daniele Luttazzi)

“Journalism is printing what someone else does not want printed: everything else is public relations” (George Orwell)

 

È la stampa, bellezza
L’ultima minaccia
(Deadline – U.S.A.) è un film del 1952 diretto da Richard Brooks

 

… Poi c’è Antonio Socci, che dal 2004 è direttore – per conto della Rai – della Scuola di giornalismo radiotelevisivo di Perugia… E si commenta da solo. Anzi, i commenti in calce sono pure peggio…
Antonio Socci

 

Tutti gli uomini del presidente (1976)

 

Frost/Nixon – Il duello (2008)
L’intervista politica più famosa della storia.

 

Il caso Spotlight non parla di me, ma del potere del giornalismo, di Martin Baron (Washington Post)
“Il film è stato candidato a sei Oscar, incluso quello per il miglior film. E, al diavolo l’obiettività giornalistica, spero che li vinca tutti. Mi sento in debito verso tutte le persone che hanno fatto un film che coglie, con grande autenticità, il modo in cui il giornalismo viene praticato e perché è necessario.

Le vere soddisfazioni verranno se il film sarà in grado di avere un vero impatto. Sul giornalismo, se editori e direttori ricominceranno a dedicarsi al giornalismo d’inchiesta. Sui lettori scettici, perché i cittadini saranno spinti a riconoscere la necessità di una seria copertura locale e di forti istituzioni giornalistiche. E su tutti noi, grazie a una maggiore volontà d’ascoltare le persone umili e troppo spesso senza voce, compresi quelli che hanno subìto violenze sessuali e d’altro tipo.

Un giornalista mi ha scritto che “la storia che ha ispirato il film serve da meraviglioso, davvero meraviglioso, promemoria del perché così tanti di noi hanno scelto questo mestiere, e del perché così tanti hanno continuato a esercitarlo nonostante tutto il pessimismo e tutti i pugni in faccia ricevuti”.”

Arroganza

 

DIVENTA ANCHE TU GIORNALISTA (IN MEZZ’ORA)


Notiziabilità
 
Mini WikiCorso di giornalismo: la griglia a cui ricondurre tutto.
“La notiziabilità (in inglese newsworthiness, vocabolo talvolta utilizzato anche in italiano) è un concetto usato in sociologia della comunicazione che si può definire come “l’attitudine di un evento a essere trasformato in notizia” o “il complesso delle caratteristiche che rendono un evento di particolare interesse per i media“.”

Il processo di selezione delle notizie.
La valutazione della notiziabilità degli eventi viene affidata ai cosiddetti “valori notizia“, che operano in maniera complementare, in combinazione fra loro. Essi, però, non vengono utilizzati esclusivamente nella fase della selezione della notizia, ma anche nel processo di preparazione degli articoli, suggerendo cosa vada enfatizzato, e persino nella percezione delle notizie da parte dei lettori.

I valori notizia possono derivare da considerazioni che riguardano:
– Il contenuto delle notizie: livello gerarchico dei soggetti coinvolti, impatto sulla nazione, quantità di persone coinvolte, rilevanza in funzione degli sviluppi futuri.
– I caratteri specifici del prodotto editoriale: disponibilità di materiale, brevità, novità, qualità, bilanciamento del notiziario.
– Il mezzo di comunicazione
– La concorrenza: ricerca dello scoop, rifiuto dell’innovazione, emulazione della concorrenza
– Il pubblico: idea nebulosa. “È lo stesso oggetto a cui si richiamano a essere indefinito: più che al pubblico reale, infatti, essi fanno riferimento all’idea dell’audience che i giornalisti hanno”.

 

Regola delle 5 W
… o 6?
Who, What, Where, When, Why… FolloW the money.

L’ABC
Accuratezza, brevità, chiarezza.

 

Come nasce il giornale più bello del mondo

 


A casa di Gianni Minà, tra agendine, foto e ricordi, FanPage

Com’è un giornalista?

 

Un libro, un personaggio – Gianni Mura
A cosa serve il giornalismo? Tutto quello che dovresti sapere prima di scegliere un ristorante (o un vino). Il filtro. Le fonti. Osteria = è storia.

 

I giornalisti hanno rovinato il mondo del vino, Luca Gardini

 

Esempio concreto per chi si stupisce dei giudizi molto divergenti sul vino: C’era una volta in America
C'era una volta in America

 

ENTRIAMO NEL VIVO

Come diventare esperti di vino (e i falsi miti sul tema)
“Definizione:
Uno che sa distinguere i vini buoni da quelli cattivi, e sa apprezzare i diversi meriti dei diversi vini.
(André Simon)
Corollario:
Molti che hanno detto di più hanno parlato troppo.
(Hugh Johnson)
1) NON è necessario riconoscere i vini alla cieca come cani da tartufo.
2) NON è necessario conoscere tutte le etichette di tutte le annate di tutte le denominazioni di tutto il mondo.
3) NON è necessario avere una cantina ben fornita.
4) NON è necessario avere un super-naso, super-papille o più in generale super-poteri. (Tutte cazzate).
5) NON è necessario avere amici che ricadano nelle categorie 1), 2), 3), 4).
Metodo:
1) Formazione: dotarsi degli strumenti
2) Confronto: affinare gli strumenti
3) Espressione: personalizzare gli strumenti”

 


Miniguida ai traumi


[Intermezzo cazzeggione] Miniguida ai traumi dell’esperto di vino, di Cristiana Lauro

 

La vita è meravigliosa se bevi buon vino, di Giovanni Negri e Roberto Cipresso

Discutendo con Cantarelli

 

 

 

Dalle origini alla guida dei vini, Stefano Bonilli (video di Francesca Ciancio)

 


Trattoria Cantarelli 1957, Mario Soldati

 

Discutendo coi Roscioli. Il bancone della Salumeria con cucina più famosa del mondo
Foto di Maurizio Camagna

 

A tavola con Pietro Colla, Luigi Veronelli

 

Veronelli, di Giulia Graglia (2003)

Slow Food Story

 

 


Raccontare il vino al tempo dei blog e delle marchette

Veronelli e gli albori

 

Vini d’Italia 1988. Ecco com’era la prima guida, di Andrea Gabbrielli
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Come è cambiato il mondo del vino grazie alla guida
Uno dei principali meriti di Vini d’Italia 1988 è stato di aver dato un volto e un nome ai protagonisti della rinascita del vino italiano, soppesandone la qualità attraverso il giudizio espresso in Bicchieri. Un’operazione talmente riuscita – merito anche di un linguaggio comprensibile e divertente – che i lettori esperti e curiosi in breve tempo si moltiplicarono, decretando il successo della pubblicazione.

La guida è stata, da questo punto di vista, un’operazione culturale ed editoriale molto innovativa, anche grazie a una squadra di appassionati di vino, tutti portatori di un proprio autonomo bagaglio di esperienze, ma con una grande voglia di condividere le scoperte e le novità. Questo patrimonio di conoscenze, di cantine e di produttori (magari piccoli o piccolissimi, spesso conosciuti solo localmente) altrimenti sarebbe rimasto in un ambito circoscritto mentre, grazie alla guida, improvvisamente venne proiettato in campo nazionale.

GR

I premi e la premiazione
Quei 1500 vini degustati nella prima edizione del 1988 rappresentavano questo contesto, senza operare discriminazioni tra la componente agricola e quella industriale, né creando contrapposizioni tra grandi e piccole aziende, perché la nostra filiera è proprio il risultato di una forte integrazione tra le due componenti.

La scelta di premiare solo 32 vini con i Tre Bicchieri (che erano materialmente tre bicchieri di vetro) fu un’altra scelta spiazzante a cui parteciparono i collaboratori. Accanto ai più noti Gaja, Ceretto e Ratti c’erano Elio Altare e Luciano Sandrone; la ligure Cascina Feipu, si affiancò a Masi e allo Spumante Ferrari: Gravner e Jermann ad Antinori e Tenuta San Guido, Monte Vertine ad Erik Banti, Carlo Hauner a Paola Di Mauro e ancora Marco De Bartoli e altri ancora.

L’elenco dei Tre Bicchieri nella guida non c’era, bisognava cercarli tra le pagine. L’indice dei vini e dei produttori del resto fu fatto a mano durante una nottata di lavoro (sic!) perché non c’era un data base adatto. La premiazione, a cui parteciparono tutti, si svolse sabato 12 dicembre 1987 a Palazzo Medici Riccardi a Firenze e poi pranzo sopraffino all’Enoteca Pinchiorri (e non come qualcuno aveva celiato un buffet in una Casa del Popolo o giù di lì).

Qui per la prima volta personalità antitetiche, per storia, tradizione, cultura come l’abruzzese Edoardo Valentini – non si muoveva mai da casa sua – e l’austero altoatesino Giorgio Grai, si trovarono seduti accanto. Fu un’esperienza impagabile vederli assieme. Si guardarono a lungo dopo aver assaggiato i rispettivi vini. Lo scambio di osservazioni sotto forma di domande apparentemente innocue, celava frecciate al cianuro. Mondi apparentemente incomunicabili che Vini d’Italia era riuscito a far incontrare.

(…) La guida, dalla copertina verde scuro, aveva un direttore editoriale, Stefano Bonilli e due curatori, Daniele Cernilli e Carlo Petrini, oltre a 21 collaboratori tra cui molti famosi ristoratori come Elio e Francesco Mariani (Checchino dal 1887), Pinuccio Alia (La Locanda di Alia), Lucio Pompili (Symposium), Enrico Casini ed altri suddivisi tra enotecari e giornalisti.

 

10 documentari per capire davvero la internet culture, Wired
Wired

 


Dal Gambero Rosso ai blog. Vizi e virtù del World Wine Web
“Gli albori della novità nei processi di produzione e fruizione mediale hanno una data. È nel 2005, infatti, che si inizia a parlare di user generated content (contenuto generato dagli utenti) per indicare come tanta parte dei contenuti presenti sul web siano creati dagli utenti stessi piuttosto che da società specializzate. Nascono i blog, Wikipedia, Youtube e un modo nuovo di informarsi. Oggi non possiamo farne a meno ma la verità è che esistono da pochissimi anni. L’implementazione di social network come Facebook e Twitter finisce per amplificare la condivisione di conoscenze dal basso, con utenti che sono al contempo creatori di contenuti e generatori di autorevolezza. Wikipedia, l’enciclopedia libera e collaborativa online dal 2001, è il più eclatante esempio di sito autorevole con contenuti aggiornati dagli stessi utilizzatori. Il cambiamento contamina tutti i settori, anche quello del vino.


[15 anni di Wikipedia, il sapere che diamo per scontato,
Giovanni Boccia Artieri su Pagina 99
L’enciclopedia online è diventata parte delle nostre vite. Ma gli utenti, che leggono senza contribuire, e le istituzioni della conoscenza non ne hanno ancora colto la natura più intima. Lasciando a una élite di pochi internauti la sorgente di informazioni più vasta al mondo. Wikipedia è un bene comune.
In Italia a Gennaio 2016 gli utenti registrati sono 1.315.190 a fronte di 7.769 utenti attivi
, che hanno cioè prodotto modifiche nell’ultimo mese. In pratica una élite attiva dello 0,6%. (…) Attraverso stage, servizio civile, progetti formativi interni, ecc. è possibile avere un contributor che arricchisce e crea voci dell’istituzione in cui risiede. Le ricerche scolastiche potrebbero rovesciare il loro senso e invece di attingere da Wikipedia per relazioni da sottoporre al docente, diventare occasione per arricchire voci, metterle in discussione, mostrandone validità e limiti.
Come sarebbe il nostro mondo senza Wikipedia? (Domanda estesa)]

 

Wiki

 

“Basta una lettura per intuire le tante novità: il registro espressivo utilizzato è una via di mezzo tra lingua scritta e parlata, colloquiale e informale ma comprensibile a prescindere dal luogo di lettura, il lettore diventa autore nel momento in cui decide di intervenire commentando, il bacino di utenza è potenzialmente infinito sino ad includere il lettore occasionale e non-addicted in quanto tale. A ben vedere, nulla si crea e nulla si distrugge. Antonio Tomacelli lo ricorda citando il Jorge Luis Borges di “He brought in a second actor” (Introdusse un secondo attore):

Cinquecento anni prima di Cristo, avviene qualcosa che cambia per sempre la storia: Eschilo rompe gli schemi teatrali allora in uso – un solo attore più il coro – e introduce sul palco il secondo attore, passando “dall’uno al due, dall’unità alla pluralità e all’infinito. Col secondo attore fecero il loro ingresso il dialogo e le indefinite possibilità della reazione di alcuni caratteri su altri“. Qualche migliaio di anni dopo, la storia si ripete quando sul palco di qualunque critica socio-culturale fa il suo ingresso quel secondo attore che d’ora in poi chiameremo “il commentatore”. Diciamolo una volta per tutte, è colpa di Internet e di straordinari strumento chiamati blog e forum: grazie a loro siamo passati dall’unità alla pluralità delle voci, dal sapere verticale alla conoscenza condivisa. La differenza tra carta stampata e Web è tutta qui, nel dialogo continuo e inarrestabile tra voci diverse, nelle sue “indefinite possibilità”. Il parallelismo è ardito ma calzante.”

 

Trump

Esempio maximo, da studiare, della distorsione racconto/realtà che nemmeno il mezzo digitale ha saputo intercettare e correggere dal basso. C’è un mondo fuori di qui, molto più grosso.

by Insopportabile

 

Lettera a un (wine) blogger mai nato
Piccola digressione: come è nato Intravino?
Il racconto è qui: Intravino gira una boa. Era il 22 giugno 2009.

A noi piace l’idea di essere interessanti, ma sappiamo abbastanza bene che tirarsela è micidiale. (…)
Un elemento centrale è stato, è, e sempre sarà l’importanza di chi commenta e delle cose che dice. Il punto debole dell’architettura dei blog è l’aria autoreferenziale di chi scrive. Senza falsa modestia e senza ostentare umiltà, ve lo ricordo: qui siamo tutti uguali, e soprattutto ce la tiriamo zero. Chi scrive un post (io, in questo caso) e chi dopo lo commenta hanno pari dignità e credibilità, se e nella misura in cui tutti quanti diciamo (o ci sforziamo di dire) cose dotate di fondamento. Spero non sfugga a nessuno, quindi, che questa dinamica è l’esatto contrario del padreternismo che si respira in altri ambiti comunicativi. Dobbiamo essere tutti orgogliosi e felici di questa libertà che ci diamo, e nello stesso tempo sentirci responsabili dell’uso che facciamo delle parole, perché come sempre le cose che diciamo ci qualificano come persone.
Repeat: tirarsela è micidiale, vale per chi scrive e pure per chi commenta.

Questo fa il paio con un altro punto che a volte ci viene rimproverato: “siete gossippari“. Cioè indulgiamo nel pettegolezzo e nella chiacchiera banale. Bene, posto che questo è assolutamente vero, questo ci piace. Nel mio mestiere ogni volta che ho frequentato persone legate al settore IRL (in real life) non abbiamo fatto altro che scherzare e raccontarci storie e spigolature. Questo lato leggero, magari fatuo, è parte di questo ambito, come di altri. Che senso ha tenerlo fuori? Per essere seri, posati, magari un po’ stracciaballe? Ebbene, là fuori è pieno di gente seria, di pubblicazioni serissime, che trattano il vino. Sapete che c’è? Noi no. Noi occupiamo fieramente con leggerezza (ossimoro voluto) un settore libero; non ci impedisce, di quando in quando, d’essere serissimi su argomenti che ci indignano; ma non siamo serissimi ventiquattr’ore al giorno.

 

Ne consegue: “Il postulato del wine blogger (A.M.)

Wine blogger

“La deriva classica del “lei non sa chi sono io” vive di vita nuova nella reincarnazione sospirata da Alessandro Masnaghetti “lei non sa chi mi credo di essere”. La frase tocca un punto nodale: chi garantisce autorevolezza e competenza dei nuovi autori? Chi mi assicura che non sto leggendo fandonie inventate dal primo che capita? Se lo chiedono i “vecchi” guru e anche commentatori infastiditi. Così interviene la commentatrice Sara sul blog Appunti digòla di Stefano Caffarri:

Non voglio arrivare a dire che nessuno possa scrivere o avere un parere su qualcosa che non rientra nel suo background professionale di studio, voglio però esprimere la mia perplessità nei confronti di chi gioca a fare il giornalista, di chi gioca a fare il critico e finisce per sentirsi a suo agio tanto da influenzare, talvolta negativamente, il lettore.

Questo, in sintesi, uno dei punti cruciali attorno a cui si snoda la discussione tra giornalisti e “new entry” della rete. Un’ottima risposta arriva a stretto giro di posta da un altro lettore, Davide Cocco, e la fotografia è puntuale:

Caffarri non è il depositario della verità assoluta, né il suo gusto è sempre affine al mio. Ma lo leggo, per avere un parere, sapere quello che pensa. Anche se alle spalle non ha gruppi editoriali o studi specifici. L’ho incontrato nel mio percorso e mi è piaciuto quello che scrive e come lo scrive (…). Quella che lei vuole è l’Italia dei dott., degli avv. e degli arch., dei cav. e dei comm., degli ordini professionali, dei guru, delle star, dei “lei non sa chi sono io”, dei marchese del grillo. Io preferisco basarmi su quello che uno dice piuttosto che su quello che rappresenta.

Gli fa eco Jacopo Cossater (del blog Enoiche Illusioni):

Internet ci ha permesso di esprimere delle opinioni che prima non potevano trovare spazio altrove, e questa è la più grande rivoluzione dopo l’invenzione della carta.”

Insomma, novità interessanti per rinnovare la teoria della conoscenza non mancano:

Il magmatico chiacchiericcio denominato “conversazione” rappresenta una notevole risorsa per la conoscenza legata a questo ambito. Una conoscenza meno mediata dalle convenienze, a volte spietatamente sincera, certamente più irrituale e fresca, sia nei termini che nei contenuti. (…) Sei chiamato a collaborare alla conversazione, a condividere la conoscenza: quindi, se e quando troverai qualcosa che ti risulta indigesto (o semplicemente non vero) potrai inserire il tuo punto di vista.

 

Lo scrittore-tiranno, di Pietro Stara
“Huysmans diceva spesso che l’autore dovrebbe morire dopo aver scritto. Per lasciare il testo fare il suo percorso nelle coscienze senza mappe di orientamento, pareri “pro veritate”, interpretazioni autentiche. C’è tanto da riflettere anche sul fatto che sono assurti a mito quasi immediatamente gli artisti morti giovani; morti prima di commettere un peccato difficilmente perdonabile, oggi più di ieri: sopravviversi.” (A. Castagno)


Il brutto bello dei blog è nei commenti. Manuale di sopravvivenza nell’arena digitale del vino

5 facili regole per sopravvivere ai commenti dei blog
1) Il commento nobilita il commentatore, non viceversa. Ogni blog ha i commentatori che si merita, con eccezioni. Interviene chi se la sente, chi ha dimestichezza, chi reputa il luogo adeguato a se stesso.
2) Non demonizzare i commenti anonimi. L’anonimato può nascondere tante ragioni, più o meno discutibili. Guarda alla ciccia, non alla carta d’identità.
3) I commenti intelligenti scacciano i commenti stupidi. Invece di criticare i commenti stupidi, inserisci commenti intelligenti. Dai il buon esempio, invece di frignare aggiungendo commentini noiosi. L’etica del commentatore è tutto.


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4) Le “dimensioni” non contano. Il numero dei commenti non è indice di nulla, tantomeno di qualità. (Da rivedere)
5) Tutti siamo importanti, nessuno è fondamentale. Nessuno è il Dio del vino. Nessuno sa tutto di tutto…

Commenti

 


Commenti, di Giovanni de Mauro

“Sul Guardian, il direttore di un sito musicale britannico racconta di aver tolto i commenti perché era “come avere un negozio e ogni mattina all’apertura dover andare fuori a cancellare una valanga di scritte offensive sulla saracinesca e sul muro”. Scritte spesso razziste, sessiste, omofobe. Se c’è una cosa che ha sempre distinto i giornali online da quelli di carta è la possibilità di dialogare e confrontarsi con i lettori, di coinvolgerli, di arricchire i contenuti con i loro contributi.

Ma togliere i commenti dal sito (una decisione che Internazionale ha preso nel 2014) è spesso inevitabile: la moderazione occupa tempo e sottrae energie, un impegno che difficilmente le piccole redazioni online possono permettersi.”

 

Crozza il C.C.Seriale ‘NAPALM51’

 

Postulato del wineblogger
—-> Io dei consigli sul vino di queste persone mi fido eccome. Zona per zona
Prosecco: Giampi Giacobbo
Lambruschi: Michele Malavasi
Barolo & Barbaresco: Francesco Oddenino
Verdicchio: Matteo Farini
Chianti e Montalcino: Davide Bonucci
Piceno/Abruzzo: Maurizio Silvestri
Campania: Paolo De Cristofaro
Umbria: Antonio Boco/Jacopo Cossater
Lago di Garda e rosati in genere: Angelo Peretti
Valle d’Aosta: Fabrizio Gallino

 

ALL’ORIGINE DI TUTTO: IL LETTORE

[Fonte: Amazon]


Ma per chi scrive chi parla di vino?
 (2012)

1) Mia mamma. Beginner
2) Armando Castagno. Maestro 

3) Me stesso, fra tre anni. Highlander  [Addendum: modello semiotico-enunciazionale di Umberto Eco e Paolo Fabbri]

Verdicchio del Priore - primo post

 


Ma per chi scrive chi parla di vino? [Edizione aggiornata]
 (2015)
4) Sommelier di tutto il mondo uniti.
5) Claudia Donegaglia (aka “l’enologo”)
6) Il mio cliente potenziale

 

Il pubblico ha il diritto di non capire, di Anna Masera (La Stampa)
«Se il compito del giornalista è dare un contributo all’educazione finanziaria del lettore, per farlo deve sforzarsi di essere il più possibile divulgativo fornendo esempi, grafici e inserendo all’interno dell’articolo o a corredo la spiegazione di alcuni termini tecnici. Per ragioni di spazio purtroppo questo non sempre è possibile»

Tante parole. E che rischiano di alienare i lettori più esperti. Ma il pubblico ha diritto a non sapere e a non capire, come ha dichiarato lo scrittore e professore Daniel Pennac nel suo decalogo sui diritti dei lettori. Ed è doveroso* cercare di scrivere in maniera chiara e comprensibile a tutti se non altro per fugare il dubbio di non esserne capaci.

 

 

LO STILE. QUALE STILE?

 

Maestri – Flavio Tranquillo, di Dario Vismara

“Nel corso della mia carriera universitaria, spesso mi sono ritrovato a leggere e studiare saggi simil-accademici che cercassero di innalzare il discorso attorno alla telecronaca sportiva. Immancabilmente si passava dai Nicolò Carosio ai Bruno Pizzul, dai Rino Tommasi ai Nando Martellini, fino ad arrivare a Caressa e Bergomi. Io, dentro di me, pensavo: ma com’è possibile che vi siate persi Flavio Tranquillo e Federico Buffa?

(…) Spesso una delle critiche che è stata mossa a te e a Federico Buffa è che il vostro modo di parlare “allontana le persone”, che è una cosa che io non ho mai capito, perché a me è successa esattamente la cosa opposta. Nel senso, io quando ero ragazzino ho iniziato ad appassionarmi al basket proprio perché volevo capire cosa dicevate, è stata quella la spinta che mi ha portato a diventare un “giornalista di basket” oggi. Tu pensi che ci sia una maggioranza silenziosa che si avvicina alla pallacanestro grazie a voi?
[Ci pensa e sospira] Giuro che non lo so…”

Illustrazione di Andrea Chronopoulos

 

Questione di stile, di Federico Ferrero
“In un costante rimpallo tra genialità e romanesca, consapevole trasandatezza, la lettura diL’inviato non nasce per caso (Rai-Eri) è una gustosa retrospettiva sulle conquiste, le nostalgie e sì, pure gli eccessi del commentatore tennistico italiano più popolare nell’era analogica. Un racconto che aiuta a rendere verosimile la figura romantica di un cronista verace, da tribuna e marciapiede, molto più della suggestione del satiro Bisteccone, consacrato al trash-pop da Mara Venier a Domenica In.”

 

Come scrivere un post (veramente) efficace?, di Riccardo Esposito

post_perfetto

 

Differenza, di Giovanni De Mauro
L’informazione come servizio a chi legge e non come servizietto a chi paga.

Differenza

Secondo Viner viviamo nell’era della post-verità, e l’accelerazione del ciclo dell’informazione – la “cascata d’informazioni”, come la chiama la direttrice del Guardian – sta finendo per sommergerci. L’informazione spazzatura, quella che cerca solo di acchiappare più clic e quindi più pubblicità, è come il cibo spazzatura dei fast food: sul momento è irresistibile, ma un minuto dopo è nauseante. Naturalmente la grande transizione di oggi porta con sé anche incredibili opportunità.

E per fortuna un antidoto alle notizie spazzatura c’è, però richiede sforzo e determinazione, innanzitutto da parte dei giornalisti: “Sono convinta che la differenza tra il giornalismo buono e quello cattivo sia il lavoro”, scrive Viner, “il giornalismo più autorevole e apprezzato è quello in cui si sente tutto l’impegno che c’è dietro, la fatica fatta per il lettore qualunque sia il tema trattato, grande o piccolo, serio o leggero”.

 

prof. Fabio Giglietto

 

Smentire le bufale è inutile?, di Caitlin Dewey – Washington Post
Uno studio dell’IMT di Lucca dice che chi vuole credere alle notizie false e ai complotti ci crede a prescindere.

“Tutto questo è molto deprimente, e non solo perché è da 76 settimane che scrivo questa rubrica, che fa proprio debunking. È deprimente perché secondo Quattrociocchi che si faccia o non si faccia debunking cambia comunque poco: le bufale ci sono lo stesso e, anzi, si diffondono ancora di più. Se si prendono le bufale e si cerca di smontarle, si vede che sono fatte da un misto di errori, analfabetismo funzionale e sfiducia nelle istituzioni: non proprio problemi facilmente risolvibili.

(…) Posso confermarlo: è proprio quello che sta succedendo. E, a quanto pare, fare debunking non serve a niente. La rubrica “What was fake” tornerà comunque settimana prossima nella sua solita forma, nonostante la sua futilità mi affligga.”

 

Come si alimenta la disinformazione online (e si poteva prevedere Brexit), di Martina Pennisi (Corriere della Sera)
Perché è inutile tentare di smascherare una notizia falsa e cosa suggerivano i commenti sul referendum britannico. Risponde Walter Quattrociocchi dell’Imt di Lucca

“Lo ha dimostrato scientificamente uno dei massimi esperti mondiali dei meccanismi che regolano la circolazione delle notizie in Rete: Walter Quattrociocchi, coordinatore del Laboratorio di Computational Social Science presso l’Imt – School for Advanced Studies di Lucca. Come si legge nella prefazione di Misinformation (uscito in novembre per Franco Angeli e firmato con Antonella Vicini), i suoi studi hanno convinto la giornalista del Washington Post Caitlin Dewey a chiudere la rubrica dedicata a contrastare la disinformazione online. Perché, come detto, è inutile.”

Pregiudizio di conferma

 

Della morte e resurrezione dei blog (segnatamente wineblog) e della prevalenza del permalink, di Fiorenzo Sartore
“Fuori dal nostro giro ci si rende conto che non solo le reti sociali non sostituiscono decentemente le conversazioni via blog, ma finiscono per essere una ambiente peggiore sul piano dell’utilità. E’ quindi alquanto affrettato, e probabilmente nemmeno raccomandabile, dire che il (wine) blogging è morto. La blogosfera, fuori dal quartiere eno, ha passato la prova dei social in quanto concorrenti e ne è uscita migliorata, meno affollata di prima, e (credo) con un bel po’ di rumore di fondo in meno. Spiace dirlo, ma io trovo che il chiasso risieda stabilmente su Facebook. Le reti sociali hanno in un certo senso migliorato i blog, aiutando gli autori a focalizzarsi sugli aspetti di rilevanza e utilità della piattaforma.

Per segnalare un punto di vantaggio del blog sulla rete sociale cito ad esempio un fatto recente. Seguivo una conversazione di grande interesse su Facebook, dove un argomento posto da un produttore di vino di importanza nazionale aveva provocato prese di posizione e interventi di rilievo: l’essenza delle conversazioni online, cioè. La lettura è continuata qualche giorno, poi anche gli alert della piattaforma non mi hanno più avvertito circa nuove interazioni. Ben presto la conversazione ha rivelato il destino comune ad ogni altra, su quel social network: era destinata ad essere perduta, perché la timeline su Facebook è appunto un (pescosissimo) fiume che scorre col tempo, noi lo seguiamo, peschiamo un bel po’ di cose, ma inevitabilmente finiamo per lasciarci dietro il flusso trascorso. La volatilità dei dati su Facebook è probabilmente il male peggiore.

A costo di apparire ora come qualcuno che è convinto di comporre scritti fondamentali, io credo che chi si cimenta nella comunicazione autoprodotta farebbe bene a darsi un sistema, ed un ambiente, in grado di rendere fruibili quei contenuti nel tempo. L’ambiente a cui affidare quei contenuti non è Facebook, non sono le reti sociali, ma sono i cari vecchi blog, con la loro prevalenza del permalink. A meno che l’interesse di chi scrive su Facebook non sia quello, appunto, di attirare l’attenzione su un fatto che nel giro di poche ore si affianca a molti altri, e nel giro di pochi giorni svanisce.”

 

Wine Blogging

 

Did Wine Blogs Die Without a Funeral?, di Tom Wark (Fermentation)

 

 

How technology disrupted the truth, by Katharine Viner
Twenty-five years after the first website went online, it is clear that we are living through a period of dizzying transition. For 500 years after Gutenberg, the dominant form of information was the printed page: knowledge was primarily delivered in a fixed format, one that encouraged readers to believe in stable and settled truths.

Now, we are caught in a series of confusing battles between opposing forces: between truth and falsehood, fact and rumour, kindness and cruelty; between the few and the many, the connected and the alienated; between the open platform of the web as its architects envisioned it and the gated enclosures of Facebook and other social networks; between an informed public and a misguided mob.

What is common to these struggles – and what makes their resolution an urgent matter – is that they all involve the diminishing status of truth. This does not mean that there are no truths. It simply means, as this year has made very clear, that we cannot agree on what those truths are, and when there is no consensus about the truth and no way to achieve it, chaos soon follows.

Increasingly, what counts as a fact is merely a view that someone feels to be true – and technology has made it very easy for these “facts” to circulate with a speed and reach that was unimaginable in the Gutenberg era (or even a decade ago). A dubious story about Cameron and a pig appears in a tabloid one morning, and by noon, it has flown around the world on social media and turned up in trusted news sources everywhere. This may seem like a small matter, but its consequences are enormous.”

Brexit

 

Il giornale senza giornalisti, di Michele Masneri
Ho visto il futuro del giornalismo: non prevede giornalisti. (…) la redazione di H24, “non un’agenzia ma una boutique di informazione”, come la definisce il socio fondatore e boss, Mauro Parissone. Torinese, un passato alla Stampa, poi a Panorama, poi tanta tv, infine dal 2001 inventore con altri due soci di questa start-up che oggi fornisce notizie-video a Sky, a Corriere.it e alla Gazzetta dello Sport, e che sterminerà definitivamente la categoria di noi cronisti. Quaranta dipendenti, due milioni e mezzo di euro di fatturato, produce news ad alto valore aggiunto ed è rigorosamente “reporter-free”, e anche adesso che magari si espanderà cerca fisici, statistici, matematici, non certo disgraziati come noi col tesserino dell’Odg.
“Ormai le notizie sono una materia prima deprezzata” spiega Mauro Parissone. “Il valore aggiunto c’è nel commento, nell’analisi, nella spiegazione, nella comprensione del mondo, ma su quello noi non lavoriamo, noi lavoriamo sulla realtà, sul ‘super subito’. Su questo il video ormai ha la meglio. Pensiamo al caso Brexit. Tra avere un lancio di agenzia che dice: ‘Il primo ministro rassegnerà le dimissioni a ottobre’, eccetera, e vedere la sua faccia, che esce da Downing Street, è chiaro che non c’è confronto”. Insomma per la carta stampata il tempo è finito? “Sì”. Benissimo. Consolazione: “Poi sulle spiegazioni del fenomeno rimane naturalmente spazio: per un Internazionale, per un Financial Times, per un Limes, per un Foglio ci sarà sempre mercato (forse lo dice per addolcirci la lenta morte del nostro lavoro di scriventi). Dunque le notizie sono lì, tipo commodities, si tratta solo di trasformarle in prodotti di alta gamma, tipo le insalate in busta che costano quattro volte quelle sfuse”.

L’algoritmo è la bussola, e in questo attico che genera informazione invece di trenini come nella tradizione romana, e qui si se ne studiano di nuovissimi a chilometri zero. Come Supernow, “algoritmo di ultima generazione, un ‘big data analytics system design’, in grado di misurare piattaforme social come Facebook, Twitter, YouTube, Instagram. E’ un sistema automatico che pesa le informazioni, intuisce quelle che possono crescere nelle intenzioni degli utenti, ne approfondisce i linguaggi collegando le immagini ai contenuti relativi e infine compone direttamente l’output”, dice Parissone.
“Un tempo il lavoro del cronista era soprattutto cercare testimoni, oggi siamo tutti testimoni volontari”, continua l’imprenditor-un-tempo-giornalista.

Dal produttore al consumatore, del resto qualche giorno fa un sondaggio Reuters (quella vecchia agenzia che fornisce le notizie fatte a mano, sapete, roba novecentesca) mostrava che su un campione di 500 mila persone il 50 per cento si nutre ormai solo sui social network. Il lavoro di H24 è dunque di filtrare l’enorme massa di informazione in circolazione e trasformarla in qualcosa che vale: processando quest’enorme mole di notizie come le pepite di zio Paperone in Klondike. Il filtraggio non è più manuale ma automatico.

L’avvenimento tremendo di qualche settimana fa (incendio con esplosione forse dovuto a tentativo di suicidio di un marito infelice) spiega bene il business model di H24. “L’esplosione è delle 8 e 46 di mattina; la prima Ansa esce alle 9 e 37, quasi un’ora dopo”. “Un’ora, per una notizia, di questi tempi, è un’eternità, è come dieci anni”. “Mentre il primo tweet è di soli tre minuti dopo, alle 8 e 49. Il tweet viene immediatamente intercettato dai “sensori” di H24. Pochi minuti dopo, i primi scatti e i primi video, di ignari vicini di casa o passanti, erano su Facebook. Anche qui, la segnalazione arriva al “grande orecchio” di H24. Da qui scatta la caccia (low cost) alla notizia: si  manderà un videomaker di fiducia, immediatamente, sul campo, oppure si contatteranno semplici utenti di Facebook e Twitter. Così è stato per i recenti incendi in Sicilia: “Che facciamo? Andiamo lì, prendiamo un aereo e poi un fuoristrada, ci mettiamo almeno tre ore e mezzo. Non avrebbe senso”, sempre Parissone. “Invece, su Facebook abbiamo trovato un signore di Cefalù che fa l’ingegnere della Vodafone, gli scriviamo su Facebook, ci mettiamo d’accordo, gli mandiamo la nostra app, lui la scarica e trasforma il suo smartphone in un centro di produzione, ci manda il video”. “Essendo della zona, poi, conosce il parroco, il sindaco, sarà in grado di fare un racconto migliore di tanti altri, soprattutto meno costoso e più veloce”. Amen.

 

SO YOU WANNA BE A WINE BLOGGER


10 cose da sapere prima di aprire un blog sul vino, di Jacopo Cossater

1)
Non scoraggiarti. I primi mesi sono i più duri. Zero visite, nessun commento. Persevera, leggi e commenta gli altri blog con intelligenza senza però apparire mai in cerca di visibilità. Il tempo, se vali, ti darà ragione.

2) Cerca di essere originale, cerca di affrontare argomenti mai troppo battuti, meglio dieci visitatori che cercano notizie su un vino di Forlì che nessuno su una disputa interna al Consorzio del Brunello di Montalcino.

2 bis) Scrivi solo se te la senti. Se diventa un obbligo è una cosa triste, e spesso si capisce.

3) Ok, probabilmente non hai le risorse di un giornalista ma in caso di necessità non avere paura a telefonare, ad informarti, a parlare con i produttori.

4) Fotografa, appunta, archivia. Sono tutte informazioni che un giorno potrebbero tornarti utili.

5) Se scrivi di un vino cerca di dare il più possibile un timbro tutto tuo alla degustazione. I sommelieri potranno non essere d’accordo ma “abbastanza equilibrato”, “abbastanza intenso”, “abbastanza armonico” vogliono dire tutto e niente.

6) Veronelli appartiene al passato, quelli che lo citano troppo spesso il più delle volte sono giornalisti che vogliono ricordarci che fanno questo lavoro da molto più di te (e non è necessariamente un pregio). (variante morbida della Reductio ad Hitlerum)

7) Un vino non può essere bello. Magari il colore, ma bello è il tuo ragazzo, quell’attore, le tue scarpe. Non una bevanda alcolica fermentata.

8 ) Scrivi di vino perché ti piace, non perché ti ecciti ogni volta che leggi il tuo nome in firma.

8 bis) Cerca di essere umile, l’ignoranza non è un difetto. Evita di citare quel Gran Cru di Borgogna se non lo conosci, rischi solo di fare una brutta figura.

9) Cerca di essere coerente, trova una linea editoriale che ti caratterizzi e rappresenti. Meglio tre post centrati che dieci alla rinfusa.

10) Assaggia sempre e solo con la tua testa. Le opinioni di tutti i più grandi critici sono quello che sono: opinioni. E anche le nostre, che di esperienza ne abbiamo molta meno.

 

Fare informazione online, nonostante tutto (aka Fare le cose bene), di Francesco Costa


1) Essere affidabili il più possibile
2) Parla come mangi
3) Rivolgiti a tutte le persone, non solo agli addetti ai lavori
4) Cerca, valorizza e linka i contenuti migliori prodotti dagli altri giornali (una banale novità radicale: icona del contemporaneo)
5) Risparmiare il più possibile sui costi (rinuncia a benefit, lussi..)

 

Non è un mestiere per giovani, di Paolo De Cristofaro (Tipicamente)
“Io e Antonio apparteniamo per molti versi all’ultima generazione che ha avuto a disposizione una chance di concretizzare il proprio percorso di studi in un ambito professionale coerente e consequenziale. Laurea umanistica, master giornalistico, stage, prime prove di collaborazione, ampliamento degli incarichi. Già qualcosa di sostanzialmente diverso da quello che avevamo immaginato da bambini, tipo un periodo di apprendistato con prospettive di stabilità contrattuale ed economica; ma a suo modo un percorso sostenibile per chi avesse voluto trasformare la passione del vino in impegno a tempo pieno. Una possibilità di fatto negata a quelli venuti subito dopo di noi, salvo rarissime eccezioni.”

In un futuro molto vicino sarà il conto in banca, più che la carta di identità, a determinare chi può esercitare la professione enogiornalistica. Anzi: l’hobby. Perché di questo si tratta quando alla tale attività dedichi ritagli di tempo o puoi permetterti di non ricavarne utili. Non potrà che amplificarsi ulteriormente la dimensione elitaria della comunicazione enoica, altro che recupero delle sue radici popolari. Con buona pace di Soldati e compagnia. Il vino come lusso, in tutto e per tutto. Di comprarlo, di berlo, di raccontarlo. Vecchi o giovani. Professionisti o amatori. Ibridi o hobbysti.”

 

Enogiornalismo, non è un mestiere per giovani, di Lady Coratella (Dagospia)
Quello dell’enogiornalista non è un mestiere per giovani, non è un mestiere per poveri e forse non è nemmeno un mestiere, ma un hobby per benestanti.

 

You don’t have to be the best: you just have to be famous, di Jamie Goode

“If you are embarking on a career as a wine writer/communicator, then I’d suggest that you shouldn’t just focus on being the best. Clearly, we all want to be as good as we can be. We aspire to be the best. But if you aren’t the best, don’t let that deter you, as long as you are good enough.

Because what really counts is being famous. Become well known. Build your brand. There are lots of very talented wine writers without enough work. Don’t join their ranks.

The people who hire you will often also have clients who they want to satisfy. So, if there’s a choice between a good presenter who is famous, and an excellent yet unknown presenter, they’ll go for the former.

Of course, in an ideal world, you get famous by being excellent. This is still true, to an extent, but not everyone who is excellent becomes well known. The unfortunate truth: if you become famous, you will get gigs. I’ve been at conferences where people got the gig because they were well known, and then they stood up and bored the audience stupid. And people accept this, because the speaker is famous.”

 

Vino, un breve elenco di libri utili per iniziare a capirci qualcosa, di Jacopo Cossater

 

9 libri sul vino per fare bella figura in società, di Massimo Maria Andreucci

 

Il meglio della settimana in cui ho recensito Restaurant Man di Joe Bastianich in 16 parole
RECENSIONE: Un libro divertente – scritto civilmente – che qualsiasi ristoratore o venditore di vino dovrebbe assolutamente leggere. Cazzo.

 

EVERYONE’S A CRITIC?

 

Il critico del vino come un buon fotografo, di Fabio Rizzari
“Come i più avveduti – o disincantati – bevitori di vino sanno bene, nella migliore delle ipotesi una scheda di assaggio è una semplice istantanea di un essere vivente. (Nella peggiore, è un guazzabuglio equivoco di termini astrusi, la manifestazione scomposta dell’ego ipertrofico di un critico, una tesi rozza e liquidatoria).

Molto spesso un buon mestierante ci piglia. Dopo decenni di pratica si affina l’arte di non sbilanciarsi nei casi complicati, anche se il vino non di rado elude anche i tentativi più prudenti di circoscriverlo in una definizione.”

 

Psicopatologia del critico e dell’enofilo, di Fabio Rizzari
Il giudizio di gusto espone più di altri al ridicolo potenziale, e rivela più di altri la nostra fragilità. Chi accetta di correre questo rischio ha un atteggiamento più rilassato e libero, non ostile verso gli altri. Il rischio di essere traditi dal proprio lato imbecille è sempre dietro l’angolo, e non conosco un singolo degustatore professionista che non abbia scritto qualche cazzata sparsa.

La paura di dare un giudizio sbagliato, cioè la paura del giudizio altrui, trasforma il critico in un osservatore rancoroso, sospettoso, malevolo verso lettori e colleghi. Lo trasforma nell’uomo che puntualizza.

Il mondo del vino è pieno di uomini che puntualizzano, cercando non tanto di dimostrare la validità delle loro tesi – operazione ovviamente legittima – quanto di screditare quelle altrui.

Sottrarre severità, dogmi e “tono grave” alla degustazione non significa automaticamente per il critico perdere profondità d’analisi e per l’appassionato perdere intensità di piacere. Anzi. Significa accettare che ci siano opinioni anche molto diverse dalla propria, combattendole – se è il caso – con argomenti solidi e non cercando di ridicolizzarle.


Daniele Cernilli sulla critica enologica, Antonio Boco

 

I volti di Gourmet. Valerio Massimo Visintin, di Annalisa Zordan
Ritorniamo alla domanda iniziale: cosa significa fare critica gastronomica oggi?
Che cosa significhi in assoluto non lo so. Per me significa andare al ristorante e fare una fotografia il più possibile oggettiva per informare i lettori. Purtroppo è una professione che non è mai veramente nata perché è sempre stata mescolata ad altre cose.
Entriamo nel merito.
Molto spesso i critici non raccontano un ristorante nel complesso ma si concentrano solo sullo chef. Una volta Bottura, durante un esercizio di falsa modestia, ha detto una cosa sensata: “La sala incide per il 52%”.
Ci sono critici che fanno realmente i critici in Italia?
Non ne conosco nessuno. Il mio punto di riferimento è l’Edoardo Raspelli degli inizi, quando poteva fare il suo lavoro al meglio perché non lo conosceva ancora nessuno.
E perché il Corriere lo foraggiava.
Giusto. Oggi c’è una mancanza di coraggio da parte degli editori che non vogliono investire, anche perché il nostro lavora costa molto di più di un critico cinematografico. Eppure la verginità di un giudizio è data dalla correttezza del compenso che viene elargito.
È solo una questione economica?
Non credo, manca in primis la cultura. È un settore, forse l’unico, dove spesso i critici fanno un mestiere non compatibile con la critica. Dove c’è una palesata ambiguità tra chi scrive e chi promuove, tra chi critica e chi fa consulenza. Dove i parametri di giudizio sono spesso la convenienza e l’amicizia.
Un ufficio stampa non può fare critica gastronomica dunque. Nemmeno di altri ristoranti (evitando così l’evidente conflitto di interessi)?
È un settore dove gli chef si muovono costantemente e di certo non è un mondo sconfinato, quindi prima o poi sulla strada incontri te stesso. Poi lo trovo deontologicamente scorretto.
Edoardo Raspelli è il tuo punto di riferimento. Perché?
Raspelli ha inventato il lavoro per come lo concepisco io, dove ci sono tre semplici regole: andare al ristorante in incognito, scrivere la verità e scriverla in forma corretta (cosa non scontata ai tempi del web). Lui ha segnato la strada che poi non ha percorso nessuno.”

 

Guida gastronomica

(Parentesi) La storia della critica gastronomica, Fine Dining Lovers
“Il ruolo del critico gastronomico – o recensore di ristoranti, o comunque vogliate chiamarlo – nasce relativamente tardi, insieme ai giornali. L’Almanach des Gourmands, pubblicato in Francia nella prima metà del 1800 da Alexandre Balthazar Laurente Grimod de La Reyniere, è considerato la prima guida di ristoranti, ma è più un racconto di viaggio che una vera guida strutturata. La seconda ad arrivare è stata la Guida Michelin: la compagnia di copertoni ha pubblicato la prima edizione nel 1920 (ma le stelle sono arrivate solo nel 1926).”


Se il critico influenza il cuoco, di Tokyo Cervigni (Piattoforte)

Influenze

“Le parole che raccontano la gastronomia hanno un’interazione fra loro complessa e organica, e di effetto molto più conseguente di quello che uno non possa credere. Perché è vero, chi scrive influenza chi cucina. E se chi scrive si limita alle liste, anche i cuochi andranno verso una naturale regressione della loro cucina, riducendola a pochezza di contenuti sotto allo scintillare delle stelle.”

Le liste

 

 

 

 

 

 

 

 

Il ruolo del critico gastronomico in Giappone è in realtà una figura molto più legata alla letteratura che non alla cucina. Il critico non si concentra tanto sul giudizio finale, quanto invece sull’esercizio di stile del testo scritto. Motivo per cui la guida Michelin di Tokyo, Osaka e Kyoto ha la valenza di Topolino. Stelle o non, in Giappone ha molto più valore il modo in cui le stagioni o i luoghi vengono raccontati attraverso un piatto che non la loro classificazione.

Al tempo stesso, nei paesi anglosassoni, che si parli di Regno Unito o Stati Uniti, l’identità gastronomica è stata talmente influenzata dalla cultura multietnica che il giudizio di un ristorante è eclissato dalla scoperta di nuovi gusti e dal disegno dell’identità di una mappa gustativa “nazionale”. È di questo che si parla nel magnifico documentariodedicato al critico gastronomico (e premio Pulitzer) Jonathan Gold City of Gold.

 

 

Do you know sbafatori, please? di Camilla Baresani
“L’incredibile mondo della critica gastronomica californiana e un parallelismo con quella nostrana, tra problemi strutturali e possibili soluzioni.”

 

Giornalismo, la schiavitù della corporazione

Editoria di fronte al picco dell’attenzione

 

 

 

LAST BUT NOT LEAST: LE BRUTTE NOTIZIE

 

La crisi senza fine dei giornali italian, di Lelio Simi (Il Sole 24 Ore)
Le vendite in edicola si sono dimezzate rispetto a 20 anni fa. Gli spot vanno in gran parte alla tv. Che fare? All’estero guadagnano soldi con il il web e vendendo dati. Mentre in Italia…

 

Il buon giornalismo può resistere ai facoltosi imprenditori che lo mantengono?, di Kathy Kiely (The Washington Post
Se lo chiede Kathy Kiely, che si è appena licenziata da direttrice di Bloomberg Politics per la difficoltà di parlare del suo datore di lavoro.

Soldi

Fare buon giornalismo è facile, bisogna solo essere disposti ad andare contro il proprio capo. (…)
Dovremmo toglierci il cappello davanti a persone o società che invece di accumulare beni, li usano per preservare il teatro della democrazia, come ha fatto Ted Turner con CNN, Al Neuharth di Gannet con USA Today, Bezos salvando il Washington Post o Bloomberg con la società di news a cui ha dato il proprio nome. Qual è però il senso di creare o tutelare questi lavori se poi non viene data la possibilità di svolgerli nel modo giusto? Anche se i nuovi magnati dell’informazione sono troppo pragmatici per considerare i media come beni pubblici, dovrebbero capire che non c’è niente che valorizzi un mezzo di informazione come la credibilità.”

 

 

 

Il Post morirà con me?, di Massimo Mantellini
“Esistono altre possibilità intelligenti, per lo meno se le si osserva nell’ottica di chi naviga in rete: una di queste è “Acceptable ads” che è un progetto di Adblock per rendere la pubblicità sul web meno fastidiosa. In pratica è il software che blocca la pubblicità che propone una whitelist di siti web che aderendo all’iniziativa pagano una somma ad adblock per non essere filtrati e – soprattutto – si impegnano a produrre banner aderenti ad un set molto rigido di regole tecniche che li rendano –appunto – “accettabili”. Niente pubblicità in movimento, niente audio ecc.
Il punto di debolezza di un simile modello è ovviamente che si tratta di una specie di “pizzo” che un intermediario (l’azienda tedesca che produce il software di adblocking più utilizzato al mondo) propone agli inserzionisti. Il punto di forza è che simili accordi tengono per la prima volta in conto – da una posizione di relativa forza contrattuale – gli interessi dei poveri derelitti come me che oggi navigano in rete nella speranza di non essere colpiti a tradimento dall’ennesimo banner idiota con l’audio acceso.
Ma siccome i diritti dei lettori sono gli ultimi ad essere considerati giusto alcuni giorni fa un tribunale tedesco ha sentenziato che Acceptable Ads è illegale. Moriremo rincoglioniti dai banner sul nostro sito web preferito. E il nostro sito web preferito morirà con noi.”

 

Consigli per gli acquisti, di Luca Sofri
“Suggerirei di limitare le aggressività e le rivendicazioni: il rapporto editori-lettori è di totale libertà e assenza di pretese. Non c’è niente che un sito gratuito debba pretendere dai propri potenziali lettori – nemmeno di essere letto – e non c’è niente che i lettori debbano pretendere da un sito gratuito.

(…) Gli obiettivi del Post restano di fare le cose bene, e di fare sì che quelle cose vengano lette il più possibile. Le due cose sono spesso conflitto su diversi piani, e anche su quello della pubblicità: al momento il compromesso è questo, ne stiamo pensando di migliori per tutti, e “morire” non è nelle priorità. Sul rincoglionire, né io né Massimo siamo attendibili, ma non c’entra la pubblicità.”

 

Pubblicità e giornalismo. È arrivato il momento di cominciare a dirci la verità, di Leonardo Nesti (Gli Stati Generali)
“Ha fatto un po’ di scalpore, soprattutto fra Bologna e l’Emilia-Romagna, la notizia anticipata dal Fatto quotidiano e ripresa dalle altre testate poi, secondo cui i consiglieri del Movimento 5 Stelle avevano ottenuto gli atti relativi alle spese sostenute dall’Apt dell’Emilia-Romagna per “ospitare” i giornalisti italiani.

Si può accettare che l’oggetto del lavoro di un giornalista sia quello che gli paga le spese?
Scriveranno mai qualcosa di male di chi ha pagato loro un paio di notti in un hotel a 5 stelle per fare un servizio (anziché l’editore, come dovrebbe essere in un mondo normale)? Scriveremo mai qualcosa di male di chi ci ha pagato un paio di notti in un hotel a 5 stelle per fare un servizio?

Funziona più o meno così: le testate (e questo vale per tv, giornali di carta, siti web, settimanali, mensili, radio, insomma, tutto) hanno sempre più fame di contenuti, ma sono, in linea di massima, sempre messi peggio come finanze. Si tagliano le trasferte, si tagliano le collaborazioni, si tagliano i rimborsi e gli eventi di cui si vuol dare a tutti i costi una copertura ci si fanno raccontare. A meno che chi vuole che si parli di lui paghi.”

 

Quello di Internet, di Enrico Sola (TIM)
“La relazione tra la Rete e il mondo dell’advertising, incredibilmente, continua a essere travagliata. Al netto dell’immaginario conservatore che spesso trapela dai suoi spot, prevalentemente a causa dell’arretratezza e della pavidità delle aziende committenti, il mondo della pubblicità al suo interno è sempre stato uno dei settori più “aperti” dal punto di vista culturale e sociale, oltre che uno dei più ottimisti e disposti ad abbracciare il nuovo. (…)

Enrico Sola

Il vero cambiamento, tuttavia, è stato culturale ed è forse quello meno formalizzato nelle analisi ma all’atto pratico il più importante. Prima della diffusione e del pieno sviluppo di Internet, la pubblicità è sempre stata un’industria basata sulla “potenza”: al netto della creatività, per i brand era importante assicurarsi la maggiore spesa possibile in spazi media, per raggiungere il successo (e infatti all’epoca le agenzie si facevano pagare in percentuale al budget media investito). Le occasioni di filtrare i target erano poche, i media tradizionali erano poco segmentanti e di norma si sparava nel mucchio, lavorando sui grandi numeri.

Da quando Internet è diventata parte integrante delle vite dei consumatori, trasformandoli da soggetti muti e passivi in ibridi che producono e consumano contenuti allo stesso tempo, che sono cliente e recensore in un corpo solo e che possono essere militanti per la tua causa o nemici in un battito di ciglia, la potenza ha lasciato spazio alla “precisione” e alla profilazione millimetrica del target.”

 

 

Sulla critica del vino: il club degli scettici, di Mauro Erro
“È un compito davvero difficile combattere contemporaneamente assolutisti e relativisti: tener fermo, da una parte, che non c’è una soluzione totalitaria e, dall’altra, insistere che, sì, anche noi, dalla nostra parte, abbiamo convinzioni immutabili e siamo intenzionati a combattere per esse. Dopo aver praticato tante fedeltà, sono arrivato alla conclusione che Karl Marx aveva più ragione di tutti quando raccomandava il dubbio e l’autocritica continui. Far parte del club o della tendenza degli scettici non è affatto un’opzione facile. […] Essere un non credente non significa semplicemente essere “di mentalità aperta”. È, piuttosto, una decisiva ammissione di incertezza che è dialetticamente connessa con il ripudio del principio totalitario, nel pensiero come in politica*.
*Hitch22, Christopher Hitchens, ed. Einaudi”

 

Il singolare pluralismo dell’informazione, di Luca Sofri
“E un sintomo spettacolare è che già stasera la notizia italiana più importante della giornata la leggiamo soprattutto in articoli di testate che sono le stesse coinvolte nella notizia (e che non hanno nessuna abitudine anglosassone a segnalare il conflitto ai lettori e a prenderne atto): poco fa pensavo – appunto volendo approfondire la comprensione di questa notizia – di leggere domani i commenti e le analisi sui maggiori quotidiani. Ma che affidabilità avranno i commenti e le analisi sui maggiori quotidiani, tutti e tre coinvolti e travolti dalla notizia che devono commentare? In un quadro poi come quello detto, in cui l’indipendenza dall’editore e dai suoi interessi economici non è mai stato il forte di nessuno.”

 

QUESTIONE DI STILE

Il libro di stile di Internazionale
Riferimenti, abbreviazioni, sigle e acronimi, accenti, articolo, corsivo, D eufonica, maiuscole e minuscole, nomi di giornali, numeri, parentesi, parole straniere, percentuali, plurali, pronomi, puntini di sospensione, toponimi, trattino breve [-], trattino lungo [—], traslitterazione, valute e unità di misura straniere, virgola, virgolette, le nostre fissazioni!,

OTTO REGOLE PER SCRIVERE UNA NOTIZIA,

A PROPOSITO DI TITOLI.

Bonci

Bonci

I titoli servono per attirare l’attenzione su una notizia e farla leggere.

Devono essere concreti, puntare su un’immagine o su un personaggio.

Non devono prestarsi a equivoci né contenere doppi sensi.

I titoli non attaccano, non punzecchiano, non criticano e non lodano, ma semplicemente, dicono.

I titoli, preferibilmente, affermano e non negano.

Il tempo dei titoli è il presente.

I titoli tollerano male le sigle e malissimo la presenza di personaggi che non siano largamente noti.

Devono essere assolutamente aderenti ai testi degli articoli.

I titoli sono sulla notizia più importante contenuta nel testo.

Nei titoli è vietato l’uso del punto esclamativo.

Si eviteranno per quanto possibile i titoli col punto interrogativo.

Si eviteranno per quanto possibile segni di interpunzione nei titoli (punti, virgole, punti e virgole, due punti).

I titoli tra virgolette verranno usati con grande parsimonia.

I titoli che esordiscono con “E”, “Ma”, “Ora”, “Adesso”, “Quello” vanno usati con parsimonia.

Un buon titolo “canta”. Spesso i suoi accenti si dispongono in modo armonioso. Spesso un buon titolo è un verso (ma mai con la rima).

 

Diario di scrittura, di Annamaria Testa
– Di solito, scartare quel che non va bene funziona. Prima si scarta, meglio è.
– Anche interrompere e fare qualcos’altro di solito funziona.
– Il trucco di dirsi “scrivo solo un pezzettino” è quasi infallibile.
– Non solo i principianti fanno errori da principiante.

 

La creatività è fatta (anche) di idee scartate in fretta, di Annamaria Testa
Scartare senza rimpianti
Scartate, ma non buttate via: tutto torna utile
Valutare e selezionare
Il bruco e la farfalla


10 problemi che puoi capire se scrivi di mestiere, di Gaia Giordani

Hai sempre sognato che qualcuno ti paghi per scrivere? Benvenuta nel mio mondo, con tutti i suoi pro e contro
1. Parenti e amici si aspettano da te biglietti o messaggi di auguri scoppiettanti.
2. Pensi troppo. E ci pensi già sotto forma di parola scritta: ti appaiono mentalmente i caratteri in Times New Roman.
3. Tutti ti dicono che fai il lavoro più bello del mondo. È vero!
4. Le tue amiche che devono dare la tesi ti chiedono se gliela correggi.
5. I tuoi conoscenti aspiranti scrittori ti sottopongono i loro manoscritti.

10. Se ti viene in mente un argomento geniale o un concetto interessante da sviluppare mentre stai dormendo, devi alzarti per appuntartelo.


FOTO E VIDEO

9 trucchi di Steve McCurry per scattare belle foto

 

Food, philosophy, art, Bob Noto (Convergence Pollenzo)

 

Le regole da seguire per farsi ascoltare durante una conversazione (video)

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Alessandro Morichetti

Tra i fondatori di Intravino, enotecario su Doyouwine.com e ghost writer @ Les Caves de Pyrene. Nato sul mare a Civitanova Marche, vive ad Alba nelle Langhe: dai moscioli agli agnolotti, dal Verdicchio al Barbaresco passando per mortadella, Parmigiano e Lambruschi.

10 Commenti

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sergio

circa 7 anni fa - Link

Il tema è affascinante ma lo voglio riassumere. Il giornalismo in generale e quello enogastronomico in particolare soffrono di gravi carenze: onestà intellettuale, indipendenza e palle.

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Denis Mazzucato

circa 7 anni fa - Link

Grazie grazie grazie! Lavoro e pupo di 6 mesi faranno sì che finirò di leggere questo post nel 2017, ma intanto mille grazie!
Il mio blog l'ho aperto principalmente per me, perché ho la memoria di un pesce rosso anziano e tanto bisogno e tanta voglia di ricordarmi cosa mi ha colpito di un vino, perché il confronto è tutto. Confronto di punti di vista, confronto di annate, confronto di terreni, confronto di cantine. Non c'è altro modo di crescere secondo me. Quello che proprio non riesco a fare è di parlare di un vino se non mi ha colpito. Non ci riesco, mi sembra di sprecare tempo... come si fa?
A questo punto posso chiedere un parere su http://www.awineloversnotes.eu ?
(se mi censurate quest'ultima cosa per pubblicità molesta non mi offendo, ma una critica anche in privato mi farebbe molto ma molto piacere!)

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sergio

circa 7 anni fa - Link

@ Denis Mazzucato.
"Quello che proprio non riesco a fare è di parlare di un vino se non mi ha colpito. Non ci riesco, mi sembra di sprecare tempo... come si fa? A questo punto posso chiedere un parere?" Mah, si può anche evitarlo in un blog personale come il tuo. Ma se un critico enograstronomico di professione non lo fa allora è grave. Da lettore di food blog questo comportamento è molto diffuso: le poche stroncature sono riservate ai soliti nomi: MacDonald, Ferrero(NUTELLA), Eurospin e Super, Tavernello, ecc...Insomma si spara sulla croce rossa ma non si hanno le palle in altre circostanze.

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Denis Mazzucato

circa 7 anni fa - Link

@sergio non è una questione di mancanza di palle! Sabato scorso ho aperto una bottiglia di Podium (troppo giovane) da cui mi aspettavo grandi cose e sono rimasto deluso. Ebbene, non ho certo paura che se ne scrivo male il signor Garofoli o qualche altro sommelier mi possano criticare! Anzi, se lo facessi sarebbe proprio per capire cosa ci trovi chi lo giudica così buono (e io adoro il verdicchio!) ma non mi aspetterei alcuna risposta (magari sbagliando) e lascio perdere...
Comunque penso che sulla delusione abbia inciso il fatto che subito prima avevo aperto una bottiglia di Fiano di Pietracupa (prima volta, sì, sono un pivello) da cui non sapevo bene cosa aspettarmi, e sono rimasto tutta la sera col naso inchiodato lì. Nel bicchiere di verdicchio cercavo il fiano e ovviamente non lo trovavo... Ecco, di lui scriverò prima o poi.

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bruno fulco

circa 7 anni fa - Link

Un bellissimo post pieno di spunti utili specialmente a chi per mille motivi non potrà frequentare quello che ritengo quello che ritengo un Evento didattico straordinario, vista anche la presenza dei docenti coinvolti. Spero che il post non scompaia perchè ci vorrà un bel pò per svilupparne tutte le indicazioni

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Marco

circa 7 anni fa - Link

Che dire? Grazie veramente!

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Federico

circa 7 anni fa - Link

Davvero tanti spunti, grazie della condivisione 'gratuita'! ....e complimenti professose. P.s.: su Socci stavo per morire

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Gianluca Zucco

circa 7 anni fa - Link

Neanche mi passa per la testa di fare la pazzia di aprire un blog, anche se in compenso la pazzia di lavorarci, col vino, l’ho già fatta, oltretutto amo scrivere e continuo ad essere un irriducibile fautore della teoria che sapersi comunicare sia alla base del risultato di qualsiasi convivio e soprattutto attività da svolgere con i nostri simili. Dinanzi a tali premesse, caro Alessandro, il regalo che mi hai fatto con questo post è inestimabile! Mille grazie davvero.

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erique

circa 7 anni fa - Link

da antologia, della tristezza, il video di luca gardini - attuale professione: tuttologo presso eurospin - che se la prende con giornalisti e associazioni. "io mi sono tolto da tutte le associazioni" dichiara soddisfatto il novello masaniello, che tale è diventato grazie al titolo fornitogli dalla world wide sommelier, che sarebbe, per l'appunto, un'associazione. che paese di paraculi... cmq post di una ricchezza infinita, da approfondire con calma...

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nila

circa 7 anni fa - Link

Veramente un regalo, grazie!

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