Editoria del vino in Italia, ne parliamo con Sandro Sangiorgi

Editoria del vino in Italia, ne parliamo con Sandro Sangiorgi

di Massimiliano Ferrari

Questa è l’ultima di una serie di interviste dedicate all’editoria sul vino. Sono chiacchierate fra un curioso di vini e libri (io) e persone che, in modi differenti e talvolta divergenti, esprimono punti di vista nel fare cultura del vino, attraverso libri, riviste o dispense.

Alcune domande ricorreranno, altre cambieranno a seconda dell’interlocutore. Lo schema non è fisso e come in un brano di free jazz ogni intervistato ha avuto libertà di esprimersi. L’intenzione è stata quella di scattare una fotografia del mondo editoriale che si sviluppa fra vini, bottiglie, libri e comunicazione.

Oggi tocca a Sandro Sangiorgi, editore di Porthos.

Partirei dall’ultimo numero di Porthos, il 37, che ritorna nove anni dopo il precedente. Perché c’è voluto un lasso di tempo così ampio per rivedere una nuova uscita?
Allora la rivista non è un libro, in un certo senso si tratta di un’iniziativa editoriale speciale e quindi ha tempi e gestazioni diversi da quelli solitamente associati all’editoria libraria. Nel mio caso specifico poi la lentezza è una costante anche nella scrittura dei libri. Nel caso di Porthos avendo anche una responsabilità sui testi degli altri, la lentezza di cui sopra ha dilatato anche i tempi della rivista. Considera che noi facciamo uscire entro l’inverno del 2003 quindici numeri e poi piano piano iniziamo a dilatare le uscite fino ad avere un numero ogni sei mesi; il numero 35 esce nel 2010, nel febbraio 2011 esce l’invenzione della gioia e infine il 36 di Porthos esce nel settembre dello stesso anno. Da quel momento cambia anche l’organigramma porthosiano con l’uscita di alcune persone e con l’arrivo di altre.

Con l’arrivo di Matteo Gallello iniziamo una riprogrammazione delle attività editoriali e del progetto didattico di Porthos racconta. Questa riprogrammazione è legata anche al fatto che io avevo deciso che il numero 37 di Porthos sarebbe stato anche l’ultimo. C’era la necessità di pianificare un numero ambizioso capace di contenere una riflessione sul vino naturale anche dal lato propriamente sensoriale, quindi degustazioni da raccontare oppure un ulteriore slancio che ci facesse concentrare ancor più sul vino rispetto alla produzione.

Per tirare fuori tutto questo ci è voluto tanto tempo. Ogni volta che ci avvicinavamo al risultato desiderato non riuscivamo a trovare quel disegno che potesse essere lo stimolo necessario per portare a termine il lavoro.

Nel frattempo sono usciti diversi libri, quello dedicato ad Emidio Pepe, Il vino capovolto, una nuova edizione dell’Invenzione della gioia oltre alla bella avventura editoriale de Gli ignoranti. Questo per dire che l’attività editoriale non si è mai fermata. Insomma una delle caratteristiche che ci contraddistingue è la volontà di non avere fretta nel progettare una nuova uscita.

Detto questo, l’esperienza della rivista così com’è stata finora si ferma. Ovviamente l’attività didattica ed editoriale di Porthos racconta continua e anzi si sta rafforzando con nuovi progetti.

Nella presentazione di questa ultima uscita viene usata la bella definizione di “numero delle voci”. Cosa significa?
Lo spirito con cui la rivista ha cominciato il suo percorso è stato da subito quello di dare voce, non solo a figure controcorrente e non allineate. Dare voce significa che, nel fare un’intervista, nel raccogliere un intervento, nel riportare un confronto noi si abbia sempre l’idea di dare lo spazio e il tempo a chi parla per esprimere completamente la sua dimensione. A noi non basta mettere una battuta, inserire un commento o una dichiarazione che pur con la propria meravigliosa sintesi potrebbe rimanere non completa, per noi è fondamentale tirare fuori dalle persone il più possibile.

Poi dopo Porthos 35 e 36, primi capitoli della trilogia dedicata al vino naturale già progettata da me e da Giampaolo di Gangi qualche anno prima, ho pensato che nel numero 37 il completamento del trittico dovesse partire dalle voci. L’ho immaginato come un grande palazzo con tanti vetri a ognuno dei quali corrispondesse una figura, un uomo o una donna, che potesse raccontare le proprie esperienze. Volevamo che in qualche modo le diverse voci si confondessero, si rincorressero, si sovrapponessero, si distanziassero. L’ascolto di queste persone non doveva essere quello fuggevole che si può avere, per esempio, al banchetto di una fiera, volevamo sapere cosa pensavano del vino e non necessariamente del loro. L’interesse non era rivolto a quanto tempo invecchiassero i loro prodotti o quali tecniche di vinificazione fossero utilizzate, abbiamo voluto voci, suoni, rumori, estensioni, comunicazioni, contatti. Nel termine voci per noi ci sono tutti questi contenuti e Porthos Trentasette è il numero delle voci per eccellenza.

Mi interessa approfondire il percorso creativo/editoriale che sta dietro a un’uscita di Porthos. Si parte da un’idea, una scintilla e intorno si crea tutta la rivista oppure ogni numero è una storia singola, unica, che nasce in maniera differente dai precedenti?
All’inizio si è provato a dare un disegno, un’organizzazione, pubblicando anche una serie regolare di rubriche, inoltre i primi numeri di Porthos escono ogni tre mesi aspirando a una cadenza capace di seguire la stagionalità e per questo motivo ogni uscita guardava alla precedente e immaginava la successiva.

A un certo punto mi sono accorto che questa modalità, anche di estensione degli articoli, mi lasciava perplesso per come in futuro i diversi argomenti potevano essere trattati. Quindi ho iniziato a sollecitare la “Ciurma” – questo è il modo con il quale ci definivamo – un numero minore di articoli ma con un maggiore approfondimento. Dal numero 8 in poi la rivista si è trasformata e, pur mantenendo la continuità di alcune rubriche, abbiamo scelto un metodo d’indagine meno superficiale, più incisivo, più responsabile, questo ha creato uno scarto aumentando sia il numero delle pagine sia lo spessore del pensiero.

Ogni numero ha iniziato ad essere un’opera a sé, quindi a volte poggiato su alcune monografie, altre volte poggiato su un’osservazione complessiva, per esempio il numero ventisei è un confronto fra vini convenzionali e vini naturali, il numero ventidue è fatto di sole degustazioni e immagini. Ogni numero comincia a vivere di una luce propria.

Cambia anche il lavoro dietro ai testi pubblicati diventando più meditato, con una sedimentazione anche nella mente di chi scrive.

Il risultato è che dopo dieci, quindici anni questi pezzi hanno ancora qualcosa da dire. Quello che ho sempre cercato è la durevolezza degli articoli in modo che conservassero una forza espressiva anche a distanza di anni.

Esistono differenze nel lavoro dietro a un numero di Porthos e nel preparare un libro?
Quando scrivo un libro la mia regola, una specie di disciplina, è non essere solo. Significa condividere il percorso del libro con altre persone.

A maggiore ragione in una rivista si affida ad altri la stesura degli articoli e quindi si diventa esaminatore oltreché collettore di scritti scaturiti da altre persone, mentre nel caso dei miei libri la scrittura si confronta con l’osservazione degli altri. A me piace molto quando qualcuno mette a posto quello scrivo, sistema, mi propone e suggerisce delle alternative. La parola magica perciò è “insieme”.

Nella rivista Porthos la forma è disorganica, non solo perché confluiscono voci diverse, ma anche perché sono un autodidatta, quindi privo della preparazione necessaria a fare soggetti editoriali più equilibrati e meno sbilenchi. Un aspetto che ho imparato è impostare la correzione dei testi, quello che si chiama in gergo “editing”, su una linea abbastanza precisa, così almeno la linea narrativa conserva una sua direzione. Così quando lavoro sui miei testi ho la necessità che altri facciano lo stesso. Nel caso dell’Invenzione della gioia l’intervento di Rosalia Fusco è stato centrale nel rendere più organica, più omogenea la mia narrazione. Questo per un libro di divulgazione diventa un’esigenza imprescindibile. Si torna al discorso precedente, le voci devono appartenerci.

Mi parli di Porthos Paper? Il primo numero è dedicato al prezzo del vino, tema sempre delicato e quasi mai affrontato. Di cosa si tratta? E soprattutto è un’iniziativa editoriale che continuerà?
Porthos Paper nasce da alcune esigenze/domande centrali: quanto costa fare un vino, quanto costa venderlo, chiediamo agli attori principali di questo settore che cosa significa fare un vino buono anche dal punto di vista dei costi e come questo si ripercuote sul prezzo che hanno sullo scaffale e sui tavoli dei ristoranti.

Coltivavamo da tempo l’idea di un articolo fatto di interviste. Abbiamo cominciato con i produttori, a mano a mano che il lavoro procedeva abbiamo pensato cosa avrebbero detto i ristoranti, i distributori, gli enotecari e poi i rappresentanti, ecco il fil rouge che percorre tutta la filiera.

Le domande ai produttori sono le stesse e questo ha permesso di far uscire anche la personalità di chi risponde, le differenti sensibilità, il livello di cultura e il peculiare coinvolgimento emotivo di ciascuno.

Non è stato un impegno semplice, ha coinvolto un non indifferente lavoro di trascrizione, adattamento e correzione che ci ha portato via cinque mesi. Quello che ne è uscito è un patrimonio di testimonianze. Forse potrebbe costare di più, ma si è deciso di favorire il più possibile l’accesso, sono dieci euro per circa duecento pagine, “rilegate” in un fascicolo digitale.

L’intenzione vorrebbe essere quella di continuare, vogliamo di tanto in tanto, a seconda delle urgenze che sentiamo, prendere degli argomenti dove i soggetti principali, quindi i produttori, possano portare le loro esperienze di fronte a medesimi problemi e di come questi vengono percepiti dalle figure che ruotano intorno al mondo del vino.

L’idea di fondo è quella di costruire delle indagini sul vino sempre, partendo dalla fiducia nei confronti di chi risponde alle nostre questioni.

Qual è la vostra visione rispetto all’editoria digitale?
Io sono un moderato acquirente di libri in formato digitale. Mi piacerebbe comprare degli ebook che abbiano come caratteristica quella della contemporaneità, dell’immediatezza, i cosiddetti instant book. Il formato cartaceo mi sembra più adatto alla durevolezza, alla resistenza nei confronti del tempo. Porthos Paper in questa ottica ha il pregio di ritrarre la realtà che abbiamo deciso di indagare in un preciso momento storico, una situazione qui e ora, e questa credo sia la sua vera forza. Poi nulla vieta che andando a rileggerlo fra due anni mantenga una forza attrattiva, un interesse per il lettore.

Come si raggiunge la sostenibilità economica per un editore indipendente oggi in Italia?
Fin dall’inizio Porthos ha fatto una scelta finanziaria precisa: non pubblicare inserzioni, non accettare finanziamenti da produttori, non fare consulenze, non diventare in qualche modo un interlocutore condizionabile dalla propria controparte che siano produttori o consumatori. In gran parte della stampa specializzata sul vino, ma non solo, è evidente che la scelta di cosa scrivere ma soprattutto di cosa non scrivere è mediata da interessi economici, da inserzionisti che in un modo o nell’altro pilotano cosa viene pubblicato.

Ti dico anche: se noi fossimo più grandi, più conosciuti, più “potenti” difficilmente potremmo continuare a fare Porthos così come è stato fatto finora. La nostra forza deriva proprio dall’essere piccoli, fragili se vuoi, siamo ancora interessanti ma il nostro influsso sul mercato è minimo rispetto ad altre iniziative editoriali, ovviamente non ne faccio una questione prettamente italiana.

Quindi tornando alla domanda, si riesce a essere sostenibili scegliendo di guadagnare meno ma conservando sempre l’ultima parola su quello che viene pubblicato. Finora ce l’abbiamo fatta ma ovviamente gli ultimi diciotto mesi sono stati tremendi, la nostra sostenibilità è stata permessa anche grazie a donazioni e prestiti. Parliamo di cifre minime ma diversamente sarebbe stato impossibile rimanere in piedi. Il discorso coinvolge ovviamente anche chi lavora a Porthos, persone che accettano di guadagnare meno di quanto meriterebbero.

Esiste un lettore-tipo di Porthos?
Sarebbe interessante individuare chi sono i nostri lettori.

Posso dirti che il lettore di Porthos si prende del tempo. Sorrido quando incontro qualcuno che mi dice di avere sul comodino L’invenzione della gioia ma lo affronta lentamente, quasi con timore, per il numero di pagine, la mole e la densità dei contenuti. Io lo tranquillizzo dicendogli di non preoccuparsi, non mi offendo. C’è sempre un momento in cui si comincia la lettura e poi da lì ci sono accelerazioni, ritmi diversi, pause. Va bene così.

Così come noi ci mettiamo tanto tempo a fare le cose, allo stesso tempo i nostri lettori sono individui che vogliono un contenuto che va al di là del titolo, vogliono approfondimenti, vogliono che qualcuno racconti, hanno il bisogno di leggere testi meditati e quindi la richiesta di tempo è una condizione indispensabile. Noi abbiamo bisogno di persone che hanno ancora voglia di leggere. Non cerchiamo la notizia, lo scandalo, il clickbait; nella nostra storia abbiamo cercato di fare le cose diversamente, senza nulla togliere a chi fa questo tipo di editoria o giornalismo. La nostra occupazione è stare sulla scrittura, sulla divulgazione e a volte i social sono mezzi che vanno utilizzati per la loro velocità e superficialità.

Qual’è la tua opinione sull’editoria dedicata al vino in Italia? Cosa ti piace e cosa no.
Parlarne per me è complicato e per diversi motivi. Di partenza ho una patologica difficoltà a pensare che ci sia qualcun’altro che faccia il mio stesso lavoro. Poi, appena entro in contatto con colleghi e colleghe che fanno questo mestiere, il timore svanisce e sento la fortuna di incontrare persone straordinarie e migliori di me. Ciononostante non riesco a farmi trascinare nella valutazione di lavori fatti da altri. Allo stesso tempo potrei fare dei nomi con cui c’è un rapporto di affinità. Una figura con cui ho avuto uno speciale rapporto di stima è Francesco Arrigoni, il cui livello di indipendenza gli ha procurato non pochi grattacapi anche sul lato professionale. Mi è piaciuta molto la serie di Pietre Colorate quando Francesco Orini ha preso in mano il progetto editoriale. Penso anche ad Armando Castagno, Giampaolo Gravina, Carlo Macchi e Fabio Rizzari o a miei ex allievi come Samuel Cogliati, Francesco Falcone e Giampiero Pulcini che fanno un importante lavoro di divulgazione, hanno persone che li ascoltano e li seguono. Ma sicuramente dimentico qualcuno e me ne scuso.

Poi ci sono riviste e pubblicazioni che puntano maggiormente al titolo sensazionalistico, alla facile polemica o alla comunicazione veloce. Non sono il mio campo di gioco. È anche vero che diverse iniziative di questo tipo nel corso del tempo sono poi finite, noi con tutte le difficoltà presenti e passate siamo ancora qui. Mi piace ritrovare persone che ho conosciuto negli anni, partendo da Slow Food, che hanno mantenuto un ricordo delle mie lezioni e del mio impeto nella divulgazione.

Un vino e un libro da avere sempre con sé.
Non esiste né un libro né un vino del cuore, mi piace pensare di poter avere un libro e una bottiglia diversi per ogni giorno. In verità sono pochi i libri recenti sul vino che terrei con me, se dovessi sceglierne uno probabilmente cercherei un libro di un’altra epoca oppure una raccolta di poesie. Poi esistono delle fasi, per i libri e per i vini. Quindi ci sono periodi in cui vorrei non tanto il prodotto di quella precisa denominazione, ma quanto il carattere, la personalità di una bottiglia che, di volta in volta, può essere più leggiadra, più seria, meditativa o calorosa, facile o complessa, intonata al momento in cui mi trovo. Lo stesso discorso vale per le letture e, aggiungerei, per le visioni. Ci sono fasi nelle quali alcuni film, che amo moltissimo, non riesco a guardarli di nuovo; eppure li ho visti così tante volte da averli imparati a memoria, ma… quello che accade può essere così doloroso da impedirmi di avvicinarmi a quel sentimento. Allo stesso modo coi vini, ci sono delle bottiglie che mi toccheranno in un punto particolare dell’intimità, in certi giorni preferisco evitarle. Mi basta dell’acqua buona.

 

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Massimiliano Ferrari

Diviso fra pianura padana e alpi trentine, il vino per troppo tempo è quello che macchia le tovaglie alla domenica. Studi in editoria e comunicazione a Parma e poi Urbino. Bevo per anni senza arte né parte, poi la bottiglia giusta e la folgorazione. Da lì corsi AIS, ALMA e ora WSET. Imbrattacarte per quotidiani di provincia e piccoli editori prima, poi rappresentante e libero professionista. Domani chissà. Ah, ho fatto anche il sommelier in un ristorante stellato giusto il tempo per capire che preferivo berli i vini piuttosto che servirli.

6 Commenti

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Nelle Nuvole

circa 3 anni fa - Link

Un'intervista interessante e approfondita. Non è presente una donna manco a mori'. Che questo sia un bene o un male non so, ma è così. Dal mio punto di vista è piuttosto deprimente, considerando la presenza effettiva e di qualità di tante figure femminili che "fanno un importante lavoro di divulgazione" .

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Sara

circa 3 anni fa - Link

Ehi, ho pensato la stessa cosa. Non c'è una donna nemmeno per sbaglio.

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Massimiliano

circa 3 anni fa - Link

Si tratta di un'osservazione pertinente e condivisibile. Non c'è stata ovviamente alcuna volontà discriminatoria ma è lampante la constatazione che a capo di tante, molte imprese editoriale non ci siano figure femminili o almeno fra quelle conosciute da me. Sono d'accordo che non mancano degustatrici/narratrici che fanno un accurato lavoro di divulgazione però in questa serie il focus era posto più sul lavoro che sta dietro ad una iniziativa editoriale che su una divulgazione tout court.

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Nelle Nuvole

circa 3 anni fa - Link

Io in realtà mi riferisco all'elenco fatto da Sandro Sangiorgi relativo alla figura di divulgatori, non al focus in sé che mi sembra encomiabile. Mi scuso di non essere stata abbastanza chiara. Incasso anche lo sfottò di Concito che non merita alcuna risposta.

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Concito

circa 3 anni fa - Link

È oltremodo scandaloso nessun riferimento a Bibbiano, la gente vuole sapere!!!!

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Gino barrini

circa 3 anni fa - Link

Questa si che è divulgazione

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