Editoria del vino in Italia, ne parliamo con Camillo Favaro di Artevino Studio

Editoria del vino in Italia, ne parliamo con Camillo Favaro di Artevino Studio

di Massimiliano Ferrari

Continua la serie di interviste dedicate all’editoria sul vino. Sono chiacchierate fra un curioso di vini e libri (io) e persone che, in modi differenti e talvolta divergenti, esprimono punti di vista nel fare cultura del vino, attraverso libri, riviste o dispense.

Alcune domande ricorreranno, altre cambieranno a seconda dell’interlocutore. Lo schema non è fisso e come in un brano di free jazz ogni intervistato ha avuto libertà di esprimersi. L’intenzione è stata quella di scattare una fotografia del mondo editoriale che si sviluppa fra vini, bottiglie, libri e comunicazione.

È il turno di Camillo Favaro di Artevino Studio.

Esistono punti di contatto tra il lavoro editoriale e quello di vignaiolo? Tra fare un vino e fare un libro?
Il punto di contatto è che se vuoi ottenere dei risultati, in entrambi i casi, devi lavorare sodo e curare i dettagli. Un progetto editoriale, per come lo intendo io, non lascia spazio all’approssimazione, se vuoi ottenere un prodotto che possa essere un punto di riferimento e che possa durare nel tempo non puoi trascurare nulla, a partire dal lavoro di analisi e ricerca, passando ovviamente per la scrittura, l’editing, i contributi fotografici, fino alla grafica e la stampa. Tutto deve seguire un processo coordinato e organizzato, può sembrare scontato ma così non è: se perdi dei pezzi per strada, stai sicuro che alla fine qualcosa non torna.

Lo stesso discorso può valere per il vino, se aspiri all’eccellenza non puoi lasciare nulla al caso, nonostante ci sia di mezzo la natura che fa di tutto per non seguire la direzione che cerchi di imporre. Nel mestiere di vignaiolo devi conoscere molto bene qualche imprescindibile regola e poi devi saper osservare prima, quando l’uva è ancora in vigna, e assaggiare poi, dopo che l’hai portata in cantina. È un sottilissimo confine tra una cosa elementare e qualcosa di estremamente complesso: forse la magia del vino è semplicemente tutta qui.

Dopo i due volumi dedicati alla Borgogna, ti sei dedicato ad un libro (bellissimo) sul Lambrusco. Com’è stato lavorare a questo volume?
Entusiasmante e divertente. Ho scoperto un mondo che sinceramente non conoscevo, fatto di valori sani, umanità genuina e parecchi vini buoni. Tutto quello che ruota attorno al Lambrusco porta il sorriso e innesca una convivialità autentica, ma è difficile comprenderlo se non ti fermi qualche giorno lungo la via Emilia. Le settimane passate tra Modena e dintorni hanno dato vita ad un lavoro in cui mi riconosco, anche grazie a chi ha condiviso la fatica con me, quindi Maurizio Gjivovich che ha restituito volti e coordinate geografiche al progetto, grazie al suo talento fotografico e ad Antonella Frate che ha lavorato di scure e fioretto per mettere insieme tutto quanto.

Sono convinto che progetti come questo possano funzionare, a patto che non nascano da attori istituzionali che per forza di cose debbano dare voce acriticamente a tutti, perché in tal caso stai certo che ne verrà fuori qualcosa di cerchiobottista che accontenta tutti per non accontentare nessuno.

Quanto è importante la veste grafica, la composizione e la confezione per un libro, al di là dell’aspetto testuale?
Per come la vedo io è fondamentale: le cose belle sono migliori e spesso costano esattamente quanto le cose brutte! Il piacere di sfogliare un oggetto esteticamente curato nella grafica e in ogni parte della confezione non credo sia un aspetto trascurabile e nemmeno sindacabile. Per contro, la grafica non deve prevalere sulla leggibilità.

Ad esempio permettimi di citare il nostro Vini e Terre di Borgogna, penso sia un buon esempio nel quale l’estetica convive felicemente con un certo rigore grafico, a tutto vantaggio della fruibilità del testo. In un tempo dove il gusto si sta livellando verso il basso, lavorare su una ricerca stilistica di qualità può fare la differenza. Inoltre mi sembra sia un gesto di rispetto e attenzione nei confronti del lettore.

Quali sono, se ci sono, i tuoi modelli quando si tratta di immaginare un libro, un’etichetta, una produzione editoriale?
Nonostante non riesca a vedere dei veri punti di contatto tra un’etichetta e un libro, gli unici modelli che possono venirmi in mente sono quelli in grado di resistere al passare del tempo. È un’unità di misura che non lascia spazio a interpretazioni o punti di vista.

L’etichetta di una bottiglia può essere considerata un prodotto editoriale?
Direi di no. L’etichetta è una sintesi esclusivamente visiva che deve contenere l’identità del produttore, il territorio, la storia, ma più ancora deve veicolare a colpo d’occhio il messaggio che quella bottiglia deve far passare, in modo diretto e inequivocabile. Un prodotto editoriale sicuramente deve avere una copertina che catturi e sia coerente, però subito dopo ha bisogno di tempo per svelarsi pagina dopo pagina, entrando nei contenuti un pezzo alla volta, meglio ancora se accompagnati da una buona fotografia.

Quale è il tuo punto di vista sull’editoria dedicata al vino in Italia? Cosa ti piace e cosa no.
Purtroppo stiamo attraversando un momento dove l’editoria di un certo tipo è in grande sofferenza. Mancano coraggio e forse qualche buona idea. Ma il punto su cui mi sto interrogando, è che forse manca una vera platea di lettori che abbiano la voglia e l’esigenza di avere tra le mani libri che non siano esclusivamente dei “mordi e fuggi”, tale da giustificare investimento e rischio imprenditoriale.

Per intenderci, il dubbio che in Italia forse non esista un vero mercato di prodotti editoriali che nascano da un progetto animato da ricerca e qualità, francamente è sempre più concreto. Di certo esiste una nicchia estremamente evoluta, ma con una nicchia troppo piccola non si costruisce un fatturato. Tutto è spostato sui social, dove, nonostante qualche spunto interessante, si finisce in un marasma di estemporaneità, improvvisazione, autoreferenzialità e marchette più o meno esplicite. Però va bene così e bisogna prenderne atto.

Di certo il livellamento verso il basso mi sembra palese, senza dimenticare che si sta perdendo quasi del tutto una critica sana capace di fare ricerca, proporre stimoli, innescare dibattiti. Per crescere occorrono menti illuminate e capaci, ed è così da sempre.

C’è un libro fatto da altri che avresti voluto fare tu?
La doverosa premessa è che io non sono uno scrittore, piuttosto aspiro ad essere uno che ha qualche buona idea che cerca di giocarsela al meglio dicendo la sua, di tanto in tanto. Comunque per rispondere alla tua domanda direi di no. Ci sono molti libri che ho letto con interesse e altrettanta ammirazione, usciti dalle penne dei vari Fabio Rizzari, Armando Castagno, Francesco Falcone, Sandro Sangiorgi e lo stesso Giampaolo Gravina con il quale ho avuto il piacere di collaborare, ma tutto si ferma all’arricchimento personale che provo nella lettura dei loro testi, in questi casi di alto profilo e ognuno con il suo stile. A questo aggiungerei che non sono una persona invidiosa e quasi sempre preferisco letture che non parlino assolutamente di vino.
Un libro che avrei voluto scrivere è Come un killer sotto il Sole di Leonardo Colombati. Raccontare Bruce Springsteen in quel modo l’ho trovato grandioso: non solo ti fa salire a bordo per un viaggio con il più grande rocker di tutti i tempi, attraverso un’America autentica fino all’osso, ma tira anche le fila su sessanta anni di musica che mattone dopo mattone hanno contribuito a costruire il nostro tempo e cambiato molte storie. Per fare questo ci vuole sensibilità, un quintale di cultura e passione a dir poco viscerale, difficile trovare questa roba tutta insieme.

Un libro (sul vino) e una bottiglia da avere sempre con sé?
Ognuno deve scegliere le letture e i vini che preferisce, non darei mai un consiglio del genere, quindi mi limiterò a parlare per il sottoscritto (comunque dimmi cosa leggi e cosa bevi e ti dirò chi sei!). Come libro prendo un classico, Vino al Vino di Mario Soldati, rileggere di quel passato tra l’epico e il pionieristico, anche con quelle che oggi, se non contestualizzate, potrebbero sembrare delle ingenuità, aiuta a comprendere molte cose di dove stia andando il nostro micro mondo e magari anche a riflettere su molti dei nostri errori.
Infine veniamo al vino, io una bottiglia sola non la porto mai, davvero impossibile. Quindi rilancio e ne dico tre: una bottiglia del mio amico Yves Confuron che mi serve per pensare, una di Sorbara del Professore per gioire e una del nostro Erbaluce per trovare sempre la strada di casa.

Le altre interviste:

Editoria del vino in Italia, ne parliamo con Lorenzo Cibrario di Mosto

Editoria del vino in Italia, ne parliamo con Samuel Cogliati di Possibilia

Editoria del vino in Italia, ne parliamo con Francesco Orini di Pietre Colorate

Editoria del vino in Italia, ne parliamo con Andrea Fattizzo di Ampelos

Editoria del vino in Italia, ne parliamo con Sandro Sangiorgi

avatar

Massimiliano Ferrari

Diviso fra pianura padana e alpi trentine, il vino per troppo tempo è quello che macchia le tovaglie alla domenica. Studi in editoria e comunicazione a Parma e poi Urbino. Bevo per anni senza arte né parte, poi la bottiglia giusta e la folgorazione. Da lì corsi AIS, ALMA e ora WSET. Imbrattacarte per quotidiani di provincia e piccoli editori prima, poi rappresentante e libero professionista. Domani chissà. Ah, ho fatto anche il sommelier in un ristorante stellato giusto il tempo per capire che preferivo berli i vini piuttosto che servirli.

Nessun Commento

Commenta

Sii gentile, che ci piaci così. La tua mail non verrà pubblicata, fidati. Nei campi segnati con l'asterisco, però, qualcosa ce la devi scrivere. Grazie.