È più importante il terroir o l’enologo? Chiedetelo a Wine Spectator

di Antonio Tomacelli

Tra migliaia di files resi pubblici dal sito Wikileaks, uno in particolare ha catturato la nostra attenzione: il dispaccio intitolato “Composition Vs. Performance“. Scritto dal columnist Matt Kramer, il testo è un’involontaria confessione sulle vere preferenze dei giornalisti di Wine Spectator che in pubblico premiano i vini americani, mentre in privato sgargarozzano Chateau e Borgogna a volontà. E la classifica dei Top 100 appena pubblicata a che serve, direte voi? A niente, ovvio, se non a ringraziare il mercato pubblicitario di riferimento, ovvero gli inserzionisti della Napa Valley e dintorni.

L’articolo-confessione è molto lungo ma ve lo riassumo nei punti salienti: durante una discussione a cena tra amici, Kramer sputa il rospo e ammette, obtorto collo, che “la maggior parte dei vini americani sono delle copie dei vini francesi”. Le cause dell’inferiorità americana? La California è troppo performance-oriented, mentre la Francia privilegia la composizione, insomma, troppa importanza all’enologo e poca al terroir. Il vino, celossappiamo, non si fa solo in cantina e la scatola del piccolo chimico dovrebbero rimanere un regalo per i piccini.

Sento però un brusio di disapprovazione crescere dalle ultime file che non promette nulla di buono. Ok, il vino va controllato e non sempre puoi lasciarlo libero di fare il cavolo che gli pare: c’è il rischio che vada in aceto o che profumi di fogna. Se va bene. Mmhh, bel problema, mi ricorda un po’ la querelle che circolava tra gli sportivi un tot di anni fa: chi vince le gare di formula 1, Schumacher o la Ferrari?

Il tema è scottante, non c’è dubbio, e sia io che Matt Kramer saremmo più orientati verso il terroir. Volete le prove? Romanée Conti è buono da secoli, nonostante gli avvicendamenti alla guida della cantina e il Barolo è Barolo da un secolo e oltre. Tanti enologi ma, alla fine, un solo terroir, per dire. È un po’ come la Nona Sinfonia di Beethoven: tanti direttori d’orchestra, alcuni anche memorabili, but the song remains the same. Voi come siete messi a riguardo? Date più importanza alla composizione o all’esecuzione?

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Antonio Tomacelli

Designer, gaudente, editore, ma solo una di queste attività gli riesce davvero bene. Fonda nel 2009 con Massimo Bernardi e Stefano Caffarri il blog Dissapore e, un anno dopo, Intravino e Spigoloso. Lascia il gruppo editoriale portandosi dietro Intravino e un manipolo di eroici bevitori. Classico esempio di migrante che, nato a Torino, va a cercar fortuna al sud, in Puglia. E il bello è che la trova.

17 Commenti

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Nelle Nuvole

circa 13 anni fa - Link

Ho letto l'articolo, é divertente e per chi conosce e segue Matt Kramer rispecchia pienamente il suo stile e le sue preferenze. Mica tutti i giornalisti americani sono parzialmente o completamente venduti. Matt Kramer conosce benissimo i vini italiani, non solo i francesi, se non ci credete guardatevi http://www.vendemmia.ca/video/in-the-glass/matt-kramer-italian-wine-renaissance Da come lo leggo io l'autore non ammette obtorto collo, tutt'altro, e non si tratta di una confessione, bensì di una riflessione su un tema che lui ha già trattato. Mi sono più volte chiesta, perché James Suckling e non Matt Kramer? Quando ho incontrato quest'ultimo la mia ritrosia mi ha impedito di chiederglielo, ma ho l'impressione a) che WS sia sempre stato un datore di lavoro col braccino corto, b)che i columnist di valore si prestino a scrivere una "colonna" su questo giornale ma poi svolgano anche altre attività più remunerative.

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Franco Ziliani

circa 13 anni fa - Link

trattandosi di una rivista che fa business con il vino, che fiancheggia e sostiene determinati importatori e aziende (un po' sempre gli stessi) WS, che, qualche anno fa avevo ribattezzato come Wine Speculator, ha bisogno di collaboratori ed editor che siano in regola con la "filosofia" aziendale. Suckling era perfettamente in linea, anzi, talvolta si é dimostrato più realista del re. Matt Kramer non avrebbe mai accettato certe cose, é un giornalista di assoluta indipendenza, oltre che indiscussa competenza. Sicuramente se fosse stati lui il responsabile delle degustazioni di vini italiani, nella ridicola ultima edizione dei Top 100 ben altre sarebbero state le presenze dei nostri vini... Invece con questa gestione eccovi i soliti noti, gli amici degli amici...

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Nelle Nuvole

circa 13 anni fa - Link

Confermata l'indiscussa professionalità di Matt Kramer, mi sembra che l'interrogativo che Tomacelli pone, riprendendo l'articolo, sia molto attuale. Vent'anni fa e forse anche più recentemente, la prima o la seconda domanda che tanti addetti ai lavori (commercianti, giornalisti, sommeliers) facevano ad un produttore, appena assaggiavano il loro vino, era "chi é l'enologo?" Ora forse sta diventando "dove sono piantate le vigne?" Speriamo di sì.

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Davide Bonucci

circa 13 anni fa - Link

E' il loro giornale, facciano un po' come credono. Finchè riescono a dargli un'aurea di autorevolezza, nonostante il livello sia da sala d'attesa del coiffeur (attese brevi, possibilmente), ben per loro. Il prossimo che cerca di vendermi un vino perchè ha preso un voto alto su WS, gli svuoto un estintore addosso! :-))

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enrico togni viticoltore di montagna

circa 13 anni fa - Link

da esperienza diretta posso dire che il terroir ha ovviamente la sua importanza i miei vini sono ottenuti dalle stesse piante che coltivava mio nonno, piante di 50 anni ormai(in alcuni casi) e che ben sanno interpretare le potenzialità del terreno e del clima, ma il vino che faccio non è proprio uguale a quello di mio nonno. la consulenza di un enologo credo sia, per un'azienda piccola come la mia che non può permettersi di sprecare nemmeno una goccia, fondamentale, così come fondamentale è la consulenza di un agronomo, quello che effettivamente fa la differenza è chi si sceglie come consulente e perchè. non tutti gli enologi sono alchimisti e non tutti gli agronomi si sono venduti alle industrie farmaceutiche, esistono ancora quelli che rispettano il territorio e l'uva. credo che la cosa fondamentale sia il lavoro di squadra; in campo ed in cantina ci sto io io so come stanno andando le uve e quando sono mature, l'enologo e l'agronomo mi aiutano solo ad esaltare le loro potenzialità.

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Mario Crosta

circa 13 anni fa - Link

La penso esattamente come te. Il lavoro di squadra. Ci vuole l'agronomo e ci vuole l'enologo, che sappiano fare simbiosi. Ai piccoli vignaioli coalizzati in un programma di assistenza da frequentare in comune potrebbero anche offrire dei validissimi servizi senza incidere troppo sui costi. Senza contare il ricorso, ogni tanto, alle facolta' di enologia delle universita'. Il fai da te non e' piu' l'ideale, ma neanche inseguire chimere e mode calate da chissa' dove. Il buon vino e' frutto del buon lavoro di generazione in generazione sul terreno giusto.

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Davide Bonucci

circa 13 anni fa - Link

Finchè ce ne sono, preferisco i piccoli produttori che fanno quasi tutto da soli e cercano di intervenire poco sull'uva-mosto-vino. Vedo troppo spesso lodi a produttori di medie dimensioni che fanno prodotti corretti ma senz'anima, a mio modo di vedere. Credo che nelle classifiche che ci rifilano dall'estero non si possa trovare una vera selezione di vini "emozionanti".

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Armando Trecaffé

circa 13 anni fa - Link

Cara NN sono stato recentemente ad una presentazione/ degustazione di Barolo ed alle mie domance sui lieviti c'era sempre un leggero imbarazzo e ritrosia a rispondere da parte dei produttori (in quel caso totalmente ingiustificate a mio avviso). Io non commercio vino ma sto coi piedi tra le vigne per gran parte dell'anno, per passione e nulla più. Conosco produttori professionisti e altri che fanno il vino nel mio garage (utilizzando i lieviti comprati alla parafarmacia all'angolo per far partire in fretta la fermentazione) e insomma devo dire la verità le variabili che determinano il risultato finale sono talmente tante (annata, localizzazione dei vigneti, temperature durante la vendemmia, maturazione delle uve; metodologie di raccolta e trasporto delle uve, età delle vigne, temperatura esterne durante la fermentazione ecc. ecc. ecc. che da laico devo ammettere: "non ci capiro' mai una beneamata mazza...." Ho il sospetto pero' che anche molti officianti "azzecchino il vino" di tanto in tanto... ch ne pensi...prostratamente tuo Armando

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riccardo passoni

circa 13 anni fa - Link

Correndo dietro a riviste e tendenze, quanti sono i vini performance-oriented prodotti in Italia? Non parlo soltanto di riviste provenienti da oltreoceano, leggendo i cinque grappoli, tre bicchieri e simili, di vini da gara e di amici di amici ce ne sono davvero troppi. Io dalla mia sto dalla parte del terroir, e per stare il più possibile lontano dalla scatola del piccolo chimico mi bevo una Ribolla di Radikon.

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Nelle Nuvole

circa 13 anni fa - Link

D'accordo con tutti sul gioco di squadra, il fattore umano per me rientra nel concetto di terroir. Dove "fattore umano" significa conoscenza tecnica, amore e comprensione del territorio, studio ed esperienza, personalità del produttore. Quello che volevo evidenziare é che un tempo non lontano, e un poco anche adesso, si attribuiva (attribuisce) al nome dell'enologo la qualità del vino. E non lo facevo io, Signorina Duedicoppe, ma fior di giornalisti, enotecari, appassionati, sommeliers. Adesso si é quasi arrivati all'estremo opposto, certi enologi vengono associati all'inguacchio...

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kenray

circa 13 anni fa - Link

ribadisco un concetto che a mio avviso pare diventato come il terzo segreto di fatima. il vino non si fa SOLO pigiando l'uva matura, facendo fermentare il mosto per poi metterlo in botte sine die? chiaro che non tutti gli anni il brodo viene unto alla stessa maniera. se il cappone non mangia alla fine cuoci una quaglia. qui invece pare che tutti gli anni ci sia la corsa dei tre bicchieri delle quattro chiocciole e della quinta stella cometa. con vini sempiternamente uguali. cosa mi sono perso? addendum devo rivalutare quel pirla di mio cugino che fa il vino solo cosi' pigia-fermenta-mettinbotte. con annate da aceto e annate da amarone.

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gianpaolo

circa 13 anni fa - Link

Io dividerei la questione in due fattori principali: il territorio (clima, suolo, esposizione) e quindi la produzione di uva e chi lo fa il vino. Entrambi sono fondamentali, per riprendere l'analogia della sonata di Beethove, la musica scritta puo' essere bellissima, ma se non c'e' chi la esegue rimane muta. Poi, chi la esegue puo' essere piccolo, grande, superteconologica, enologico ed e' chiaro che il risultato finale cambiera' radicalmente. Dopo diversi anni mi sono reso conto che ci vuole conoscenza e tecnica, ma la tecnica troppo spinta puo' togliere l'emozione, e quindi va saputa dosare col contagocce. Prima si deve imparare, e poi in parte si deve dimenticare.

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Valter

circa 13 anni fa - Link

Romanée Conti é effettivamente buono da secoli.... Tanti enologi, ma probabilmente viene utilizzato lo stesso capitolato di trasformazione. Se questo viene alterato o sconvolto, ne risentiranno di certo i vini, e il terroir passerà inesorabilmente in secondo piano.

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carolina

circa 13 anni fa - Link

io sono enologo, a scuola mi hanno dato tutti gli strumenti per "migliorare" un qualsiasi vino. nella mia gioventù ho anche "applicato" questa "tecnica enologica" in aziende diverse dalla mia. la tecnica enologica aiuta, parecchio, come aiuta sapere esattamente cosa fare quando si ha qualcosa che non va, ma conta tanto, tantissimo, la materia prima. se parti con materia prima buona puoi solo rovinarla, se parti con materia prima poco buona puoi ",magheggiarla" tipo merlino. io non ho MAI lo stesso vino ogni anno, può esser simile ma mai uguale perchè i fattori che determinano la buona uscita sono tantissimi. noi siamo piccoli (5ha) abbiamo, sia io che mio fratello, dimenticato le varie cose che ci hanno insegnato e abbiamo dato inizio alla sperimentazione direttamente in campo, lui come agronomo nei campi, io in cantina. sopra di noi c'è il mio papà che ha la sua esperienza da 50 anni. detto sto pappardello, il terroir conta un buon 80%, i protocolli un buon 5%, l'enologo il restante. concordo che ci deve essere "l'accordatura" giusta perchè la sinfonia riesca tra queste 3 variabili.

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Valter

circa 13 anni fa - Link

Anzitutto complimenti per il tuo lavoro. Condivido in pieno tutto, o quasi, salvo le percentuali!!! ;-)) dici bene, da un uva straordinaria puoi ottenere senza la dovuta attenzione un vino medio, e da un uva poco buona un vino discreto. Pertanto la vostra attenzione sulle vasche, così come il capitolato di trasformazione gioca una ruolo a mio parere assai importante. E' altrettanto vero che il microcosmo originario dell'uva e' importante, ma basta poco per vanificarlo. Diciamo allora un 50% al terroir e un 50% a voi e ai capitolati utilizzati.

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Marco Lugli

circa 13 anni fa - Link

Partiamo dal presupposto che un bravo enologo rispetta sempre l'origine del vino in oggetto, origine intesa come terreno, clima e tradizione umana (chiamatelo col termine abusato Terroir se volete). L'enologo come l'agronomo ed un bravo cantiniere sono indispensabili per lavorare bene con coscienza del fare. Poi in certe realtà come nella produzione di champenoise, dove il taglio della cuvèe è fondamentale nell'ottica produttiva aziendale, l'enolo assume ancora più importanza. Penso comunque che in tutti i casi il VINO RISPECCHIA COLUI CHE L'HA PRODOTTO..

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