Due o tre cose della Calabria che proprio non dovete perdervi

Due o tre cose della Calabria che proprio non dovete perdervi

di Antonio Tomacelli

I viaggi belli per chi ama il vino e col vino ci lavora, sono quelli in cui hai la possibilità di assaggiarne tanti. Se poi sono anche buoni come quelli di Cirò, la doc calabrese fondata dal filosofo Pitagora (more or less), il viaggio può dirsi perfetto, nonostante la mia intolleranza al peperoncino.

Tanti vini, tante schede e dati da downloadare, per far spazio nei taccuini digitali. Facciamo che li scarico qui in forma assolutamente sparsa e se vi va, fatene buon uso, ché la Calabria is the next big thing.

L’asso nella manica
Se c’è un vino sul quale i calabresi dovrebbero puntare, questo è il rosato da Gaglioppo. Ne ho bevuti in quantità industriali e tutti non meno che ottimi. Su tutti il Marinetto di Sergio Arcuri (ne parlerò a parte), il rosato ‘A Vita di Franco Maria De Franco e poi Calabretta, Librandi, i due splendidi rosati di Ceraudo, e quello di Senatore. Tutti vini golosi e dalla bevibilità pericolosa.

Scala, un tuffo negli anni ’70
Ve lo dico da grafico che ha pure vinto qualche medaglietta: etichette così brutte non le vedevo da tempo, ma così brutte da risultare belle e meravigliosamente démodé. Quindi, cari i miei proprietari della cantina Scala, non toccatele, anche perché sono facilissime da ricordare. E i vini? Belli/brutti come le etichette. Cerco di spiegare: ho assaggiato un rosso e un bianco, il Cirò gaglioppo del 2015 e il Cirò greco del 2017 e tutti e due avevano quel non so che da far schioccare la lingua al palato. Avete presente quella frase “Gli mancava solo un difetto per essere perfetto”? Ecco, il difettuccio c’era ma era uno strabismo di Venere, soprattutto nel bianco scombinato, salino ma tanto, tanto goloso. 88 il bianco e 87 il rosso.

Librandi, o della precisione.
Con Paolo Librandi ho vissuto una mattinata tra “discese ardite e le risalite” veramente da brividi. Lo spettacolo delle vigne aziendali così ben curate, la magnifica cantina e l’organizzazione aziendale perfetta senza essere invadente, sono un esempio da seguire per tante cantine, che se fossimo al nord ti verrebbe da dire: “Và che bello, sembra di stare in Calabria”. Bello e lungimirante anche il vigneto sperimentale per la conservazione dei vitigni antichi. Neanche vi parlo del coraggio che ci vuole per realizzare tutto questo a Cirò, perché non basterebbero due post e un’autostrada.

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Meglio lasciar parlare i vini iniziando dal Cirò Greco del 2016, un bianco tutto fieno e margherite di campo, pesche nettarine e tanto succoso 86. Bello anche il Rosato Val di Neto 2017, preciso e gastronomico come pochi. Sui salumi calabri ha dato diverse piste ai rossi 87. Menzione d’onore per il Duca Sanfelice 2014, un Cirò doc Rosso Classico Superiore Riserva da uve gaglioppo. Ci vuole più tempo a leggerlo che a berlo, credetemi: succoso di amarena e liquirizia, poi mirto e macchia. Sontuoso, da 90 + una bella grigliata.

Greco nero, una solida certezza
Quando è presente in percentuale, arricchisce il gaglioppo ma da solo fa sfracelli. Vogliamo chiamarlo “il vitigno migliorativo calabrese”? A parte gli scherzi — ma neanche tanto — il greco nero ha un profilo aromatico e sensoriale da merlot di gran lignaggio senza quei toni da marmellata tipici dei francesi allevati a sud. Provare per credere lo Zingamaro Val di Neto doc nel millesimo 2014, prodotto dalla cantina La Pizzuta del Principe. Un vino esplosivo e fresco, profondo di liquirizia e cacao, pepe e amarene. 90

Sugli stessi livelli il Caraconessa 2016 di Fezzigna, al quale il saldo di greco nero regala profondità e toni scuri di cioccolato e prugne. 90

Ultimo ma non ultimo
Non rientra in nessuno dei discorsi fatti sopra ma il 160 anni di Ippolito, millesimo 2013, mi ha fatto sentire a casa, tra alberelli di Manduria e graticci di negroamaro. Quindici gradi senza colpo ferire e more, liquirizia e sanguinella, praticamente il depliant dell’Ente di Soggiorno e Turismo calabro. Più che un voto, un ringraziamento. 93

 

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Antonio Tomacelli

Designer, gaudente, editore, ma solo una di queste attività gli riesce davvero bene. Fonda nel 2009 con Massimo Bernardi e Stefano Caffarri il blog Dissapore e, un anno dopo, Intravino e Spigoloso. Lascia il gruppo editoriale portandosi dietro Intravino e un manipolo di eroici bevitori. Classico esempio di migrante che, nato a Torino, va a cercar fortuna al sud, in Puglia. E il bello è che la trova.

2 Commenti

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vinogodi

circa 6 anni fa - Link

Bellissime note. Mi permetto solo di segnalare Spiriti Ebbri, per la ricerca della sostenibilità , del ritorno ad antichi vitigni da non far scomparire e da una qualità ai vertici ... non solo calabresi.

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Mattia Grazioli

circa 6 anni fa - Link

il Mantonico di Ceratti <3!!!

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