Due microbirrifici nel cuore delle Alpi Retiche

Due microbirrifici nel cuore delle Alpi Retiche

di Thomas Pennazzi

Le Alpi Retiche, percorse un tempo dalle legioni romane in marcia verso il grande Nord, e per secoli crocevia di culture, e di scambi mercantili – di primaria importanza i vini, che someggiati a dorso di mulo dalla valle dell’Adda in temerarie carovane, attraversando impervi passi d’alta quota, andavano a riempire i boccali degli assetati teutonici; ritornando, si faceva commercio del prezioso sale di Hall In Tirol per i bisogni delle popolazioni così lontane da qualunque mare – hanno visto ininterrottamente sovrapporsi gli usi dei popoli latini e teutonici.

Nelle locande e nelle stazioni di posta della Rezia, dove mercanti, postiglioni, e rari viaggiatori trovavano rifugio prima di affrontare i valichi che li avrebbero portati nelle fredde piane del Nord, oppure verso i placidi climi meridionali, ci si poteva abbeverare con entrambi i boccali: vino e birra hanno secondo le abitudini delle genti accompagnato i pasti di chi scavalcava le Alpi, e confortato chi, a rischio costante della vita, tentava l’impresa nelle stagioni meno clementi.

L’Engadina Alta con i suoi passi severi quanto frequentati, ha servito come terra di mezzo tra la pianura padana ed il Reno; i Romani la conoscevano bene, per la sua facilità d’accesso dalla Gallia Cisalpina, attraverso i valichi del Maloja e del Passo del Giulio.

Se Chiavenna è il perno di ogni via alpina retica, molte altre vie oggi dimenticate, come l’antichissimo Passo del Settimo, hanno visto per secoli l’andirivieni dei popoli e delle loro mercanzie. Discendendo invece dal Maloja tutta la splendida valle, si incrocia al termine dell’Engadina Bassa l’altro grandioso asse viario romano, la Via Claudia Augusta, che portava da Augusta Vindelicorum, città imperiale, fino al porto di Altino, collegando la Baviera danubiana con l’Adriatico, tramite l’agevole passo di Resia.

Altfinstermuenz

All’incrocio di queste vie di transito, nel canyon formato dal fiume Eno (Inn per i tedeschi), sorge un antico ponte-dogana fortificato che vigilava sul passaggio delle merci tra la Val Venosta, l’Engadina e l’attuale Tirolo. Poco distante una dogana svizzera sorveglia il moderno crocevia che ha sostituito l’antico. La casa dopo la dogana ospita un importante microbirrificio, l’unico fino a poco fa di tutta l’Engadina.

I Grigioni non sono mai stati terra di birra, se non nei loro lembi tedeschizzati: il possesso della Valtellina dal 1512 fino al periodo napoleonico garantiva loro un rifornimento di vino costante e di qualità; ma in tutta la Svizzera il predominio della bevanda nordica sul vino è statisticamente certificato dal 1885 appena. La graduale colonizzazione del Cantone delle Leghe Grigie da parte delle popolazioni tedesche ha compresso gli usi ladini delle genti retiche, come il vino a tavola, e purtroppo anche il loro idioma, il romancio, parlato in alcune varianti locali ormai da poco più di 30.000 persone.

Ecco perché una fabbrica di birra in Engadina non era finora esistita: ma intanto il mondo intorno cambiava, ed anche in queste remote vallate è giunto il vento dei microbirrifici. Tutto inizia nel 2004, quando il piccolo Comune di Tschlin (400 ab.) decide di lanciare l’idea: con le loro parole «Ün’idea strana da far biera a Tschlin (*)», perché priva di qualunque tradizione. E per farlo si dotò di un azionariato diffuso a quote di 500 franchi, con 650mila franchi di capitale, tutte sottoscritte in breve tempo. Lo scopo era di valorizzare le colture locali di orzo e frumento, essendo la bassa valle il granaio d’Engadina, e di pubblicizzare il nome del Comune con un veicolo innovativo.

Un anno dopo il birrificio entrava in produzione, e dopo alterne fortune, è decollato; ormai la sua birra è un orgoglioso simbolo di tutta l’Engadina e vi viene servita dall’esclusiva Sankt Moritz fino alla più sperduta delle sue valli laterali, e perfino nei rifugi in cima agli alpeggi. Cambiata sede ed impianti, e con un nuovo birraio, Christian Schneider, arrivato da pochi mesi dalla Paulaner China alla Bieraria Tschlin, oggi si accinge a raggiungere il tetto dei 2.000 hl, con una linea di produzione di quattro birre certificate bio: tutte fatte con aua püra da funtana, üerdi chi crescha e madüra suot il sulai da l’Engiadina (*): naturalmente assaggiate per voi.

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Bieraria Tschlin | Tschlin Cler 5°: la più semplice della linea, una birra chiara e beverina, colore oro pallido, dal carattere un poco maltato, e gusto piuttosto personale, appena fruttato, finemente luppolato in chiusura. Facile, e per ogni occasione: üna s-chetta biera engiadinaisa (*).

Bieraria Tschlin | Val Müstair Weizen 5,4°: colore dorato profondo, schiuma generosa tipica; offre aromi maltati e dolci, mentre al palato la dolcezza mielata appena rigata da una luppolatura fresca la fa apprezzare al suo meglio in abbinamento a cibi piccanti, per esempio un gorgonzola di capra. Prodotta con frumento alpino della Val Müstair ed orzo d’Engadina. Curiosamente in etichetta ne compare la composizione percentuale, caso forse unico nel mondo birra.

Bieraria Tschlin | Tschlin Ambra 4,8°: colore dorato scuro, non certo ambrato; schiuma generosa, carbonazione vivace; naso intensamente floreale; si offre al palato con un impasto materico polputo e appena dolce, che prevale sulla luppolatura non invadente. Birra da fuori pasto.

Bieraria Tschlin | Engadin Pale Ale Craft Beer 5,3°: colore dorato intenso da pilsner ricca, naso albicoccoso e un po’ verde di luppoli, schiuma fine, bianca, di media persistenza, leggerissima carbonazione; in bocca regala un fruttato fresco e lievemente amarognolo, con discreta pienezza maltata. Dopo, solo dopo, scopri che è una IPA, quando il luppolo fiero ti aggredisce il palato. Con meno amarezza sarebbe una pils squisita. Ma ha personalità da vendere.

Il birrificio ha da poco traslocato a fondovalle per ingrandirsi, ma il suo birraio storico, il tedesco Florian Geyer, ha approfittato dell’occasione e si è nel frattempo messo in proprio aprendo una nuova azienda in paese, con un nome romancio: la traduzione del suo cognome in Girun (*), avvoltoio, specie da poco ripopolata nel parco nazionale svizzero delle dolomiti d’Engadina, che si apre di fronte al borgo. La produzione è appena iniziata quest’estate, ed è prevista di circa 150 hl, con tre tipologie: una chiara (Hell), una Weizen, ed una ramata IPA. Ma Geyer, forte dell’esperienza pluriennale con la precedente fabbrica, ne promette delle belle in ogni stagione: fascino più che concorrenza. Possiamo crederci.

Girun

Alpenbrauerei Girun  | Hell 5,1°: birra chiara a bassa fermentazione, la classica bottiglia quotidiana: versata nel bicchiere schiuma potente, e profuma di malto le narici; l’aspetto inganna, la direste una Weizen dal colore scarico, ma il palato vi conferma che lo stile è corretto. Beva freschissima, note verdi leggere e fruttate, quasi di erbe di montagna, corpo in cui il malto esile lascia spazio ad una delicata luppolatura finale. È una gustosissima estingui-sete. E la mano tedesca si sente tutta.

Il comunello di Valsot, di cui Tschlin fa ora parte, sarà così il più birroso dell’intera Confederazione Elvetica, con una bieraria (*) ogni 450 abitanti, e probabilmente anche con quella più alta della Svizzera, a 1570 m.

In Franconia dovranno cominciare a preoccuparsi, fra poco.

(*) Romancio vallader, lingua dell’Engadina Bassa.

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Thomas Pennazzi

Nato tra i granoturchi della Padania, gli scorre un po’ di birra nelle vene; pertanto fatica a ragionare di vino, che divide nelle due elementari categorie di potabile e non. In compenso si è dedicato fin da giovane al suo spirito (il cognac), e per qualche anno ne ha scritto in rete sotto pseudonimo.

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