DosaggioZero Franciacorta | Tutti gli interventi e alcune domande

di Intravino

Grande partecipazione in sala e ancora maggiore sul web per DosaggioZero, segno che il tema è caldo e che necessitava almeno di qualche chiarimento in un frangente storico dove la tendenza pare inarrestabile a dosare meno i metodo classico o almeno i più adatti tra questi. Differenze storiche, climatiche e di territorio impongono strategie diverse per Franciacorta, Cava e Champagne e nel corso della giornata gli spunti e qualche polemica non sono mancati.

Vediamoli insieme:
BRUNO MURATORI e FRANCESCO IACONO
Il convegno inizia col benvenuto da parte di Bruno Muratori. Il presidente dell’Azienda Muratori ringrazia i presenti ed i relatori, raccontando come fin dal principio, nel 2002, l’orientamento della produzione sia stato fin per il Franciacorta a dosaggio zero, anche grazie alle scelte enologiche visionarie di Francesco Iacono, il vice presidente dell’azienda. Dunque spazio al tema delle bollicine a Dosaggio zero nel mondo del metodo classico, per parlare dell’evoluzione del gusto specie in Franciacorta, dove la realtà del pas dosè oggi è maggiormente consolidata, con almeno un’etichetta per ogni cantina. L’importanza del convegno è legata al confronto tra produttori ed esperti, per capire come sensibilizzare il consumatore per garantire la crescita di una tipologia di prodotto ma anche e soprattutto di un territorio. Francesco Iacono interviene ricordando la “sobrietà” come principio ispiratore nello sperimentare la rifermentazione in bottiglia e sottolinea come questa ricerca dell’essenza sia iniziata con la zonazione in vigna per poi ispirare un processo produttivo che valorizzasse il più possibile l’anima del territorio e dell’uva in bottiglia.

ATTILIO SCIENZA
Il Professor Scienza propone un excursus (qui le slides, visionabili) sullo Champagne, capostipite di tutti ed inimitabile prodotto ispiratore di tutti i metodo classico del mondo, la cui storia ebbe inizio nel ‘700 con la commercializzazione del vino in bottiglia e con le scoperte chimiche sulla fermentazione. Scienza sottolinea l’importanza del clima nell’evoluzione del gusto: fino al 1800 l’Europa aveva attraversato una fase di piccola glaciazione e di grande freddo, in cui si diffondono i vitigni a bacca bianca e nasce l’esigenza del dosaggio per zuccherare il vino. Prosegue con il comparire delle Maison nella prima metà dell’800 e l’invenzione della liqueur per aggiungere zucchero allo Champagne dopo la rifermentazione e dare un gusto dolce e armonioso alle bollicine francesi da dessert. Con il miglioramento del clima e l’innalzarsi delle temperature, una maggiore maturazione rendeva sempre meno necessaria l’aggiunta di zucchero, ma è anche il gusto del consumatore a cambiare: nasce il Brut, fino alla comparsa del primo dosaggio zero con Pommery nature nel 1874 per fare dello Champagne un vino da tutto il pasto destinato specialmente al mercato inglese.

LUCA GARDINI
L’eccentrico sommelier Luca Gardini racconta la sua esperienza di degustatore e di uomo di sala, e sottolinea come il dosaggio nel mondo del metodo classico abbia contraddistinto da sempre le produzioni dei diversi territori dalla Champagne alla Franciacorta, come una firma della Maison o dell’Azienda. Questo per sottolineare che l’uso dello zucchero nella liqueur è un marchio di fabbrica e non una mistificazione, anche se ovviamente per fare un ottimo dosaggio zero la qualità delle uve di partenza è fondamentale. Ricorda, dalla sua esperienza in sala al ristorante Cracco, come sia stata una sfida introdurre le bollicine italiane accanto allo Champagne, e di come oggi il territorio della Franciacorta stia facendo notevoli sforzi in termini di comunicazione per affermarsi sempre più. Chi fa la differenza nel mondo delle bollicine oggi è quindi chi, attraverso il prodotto, riesce a comunicare il territorio e ne sa trasmettere le emozioni.

MICHEL DRAPPIER
Il produttore Michel Drappier racconta la sua esperienza di vigneron della Champagne. Nell’Aube produce dosaggio zero con base pinot noir, arrivato nella regione sud della Champagne grazie a Bernardo da Chiaravalle che lo portò dalla Borgogna. Il territorio dell’Aube è più ricco di argilla e quindi più adatto alla coltivazione di questo vitigno, che dà vita a Champagne più fruttati e strutturati. Racconta come le preferenze di oggi per il Brut nature sono legate innanzitutto all’occasione di consumo,  con lo Champagne divenuto vino da tutto pasto e quindi caratterizzato da maggior freschezza e da un gusto più secco. A questo si aggiunge una nuova sensibilità da parte dei consumatori per  la ricerca del terroir nel vino, dell’autenticità del territorio di origine nel bicchiere più che dell’omogenieità del gusto della Maison. Nonostante Drappier da 200 anni abbia una grande attenzione per la liqueur, oggi è una maison anomala, con il 12% di Brut nature sul totale,mentre in media il dosage zero rappresenta complessivamente solo lo 0,3% della produzione totale dello Champagne.

MICHELE SHAH
La giornalista Shah si occupa del mercato delle bollicine anche nella consulenza per l’esportazione all’estero delle bollicine italiane, e porta la testimonianza di importatori esteri sugli aspetti di mercato delle bollicine a livello internazionale. Emerge che non è solo la questione del potenziale di acquisto a determinare i nuovi mercati, ma anche la cultura dei mercati a determinare i trend commerciali. La percezione del made in Italy è sempre positiva all’estero, ma è il vino rosso a fare in media l’80% delle esportazioni. Le bollicine Prosecco sono un prodotto che sta vivendo un momento molto favorevole, e questo è comunque un elemento positivo per far parlare delle bollicine italiane. Ciò che manca è la comunicazione del plus del metodo classico per far percepire il motivo del differente posizionamento di prezzo ai consumatori. Il dosaggio zero ad oggi è una nicchia impercettibile del consumo, e specie in Asia si preferiscono gusti più dolci, e tuttora la percezione dello Champagne è quella di un prodotto di elite. Il mercato Europeo è maggiormente evoluto, e anche la Franciacorta inizia ad avere visibilità, ma il dosaggio zero è ancora una piccola realtà perché la percezione è di un prodotto eccessivamente austero.

JORDI MELENDO
Il giornalista de El Mundo e blogger Jordi Melendo inizia il racconto della sua esperienza in Spagna parlando della magia delle bollicine che si generano nelle bottiglie di spumante dopo meni e mesi in cantina liberando felicità nel momento del conumo. Il Cava, metodo classico spagnolo, è una realtà vinicola particolare in cui il 90% della produzione è coperto da sole due aziende. Negli anni ’60 e’70 lo zucchero nella liqueur del Cava era molto elevato e il dosaggio serviva per mascherare le imperfezioni della qualità delle uve spumantizzate, quindi il prodotto più diffuso era il Demi Sec.  Il dosaggio zero è una tipologia che oggi viene scelta da piccoli produttori di Cava in territori particolarmente vocati con uve di qualità superiore e maggiore maturazione, che decidono di vinificare aumentando il periodo di rifermentazione in bottiglia per creare un vino più complesso e dalle caratteristiche aromatiche più pregiate, ideale anche per accompagnare il pasto.

ANDREA GORI
Il sommelier toscano Andrea Gori, esperto di comunicazione nel web e Ambassadeur du Champagne in Italia, affronta il tema dell’evoluzione del gusto da parte dei consumatori. Suggerisce interessanti riflessioni che prendono spunto da due sondaggi svolti on line nei mesi di dicembre 2011 e gennaio 2012, che hanno evidenziato alcuni aspetti legati innanzitutto al livello di conoscenza relativa al mondo del metodo classico e in particolare alle caratteristiche di consumo dei prodotti della Franciacorta e della Champagne. Il sondaggio che ha visto oltre 2500 risposte da circa 850 utenti, mette in luce una sostanziale diffusione del concetto di Brut nature e dosaggio zero, anche se il consumatore non ne conosce le peculiarità tecniche di produzione. Sostanzialmente ha la percezione che si tratti di un prodotto più secco e austero, ma anche rappresentazione più fedele del territorio. E’ interessante anche la percezione del Dosaggio Zero in etichetta come un “brand” della Franciacorta mentre lo Champagne è identificato essenzialmente dalle bollicine Brut. Gori evidenzia come il dosaggio zero sia sostanzialmente uno dei modi di produrre metodo classico e non una moda, e sottolinea come la scelta di ridurre la componente di zucchero nella liqueur rappresenti una tecnica di produzione che non può essere praticata ovunque o con qualunque tipo di uva, ma richiede eccellenza in vigna e in cantina.

Infine gli interventi dal pubblico in sala, in particolare Alessandro Scorsone, sommelier e Maestro di Cerimonia di Palazzo Chigi, Vittorio Fusari chef Dispensa Pani e Vini Adro e Mauro Remondino del Corriere della Sera.

19 Commenti

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Vittorio Vezzola

circa 12 anni fa - Link

Non sempre i dosaggio zero sono meglio riusciti dell'equivalente a dosaggio normale, in alcuni casi gli aromi rimangono troppo netti.

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Andrea Gori

circa 12 anni fa - Link

l'idea spesso sarebbe potere avere le due versioni...specie delle grandi cuvèe!

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Fabio Cagnetti

circa 12 anni fa - Link

Lo chef de cave Michel Fauconnet sostiene che Salon, senza dosaggio, sarebbe semplicemente imbevibile per l'eccessiva acidità. E l'assaggio di Salon non dosato gli dà ragione. A tutti piace l'extra brut, sulla carta, ma dobbiamo chiederci quale sia il materiale di partenza. In questo la Franciacorta è molto più adatta al dosaggio zero delle selezioni di uve champenoise delle maison, specie quelle per le cuvée prestige, che partono da livelli di acidità impressionanti.

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Mauro Mattei

circa 12 anni fa - Link

Certo che con 4,5 gr di dosaggio non è che la percezione dell'acidità sia completamente attutita. Se poi di partenza non svolgi neanche la malolattica...

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Iacovini

circa 12 anni fa - Link

Sono d'accordo con Eors e anche con Cagnetti e con tutti quelli che pensano che un #DZero non debba/possa essere il risultato di una richiesta di mercato e/o del piacere dell'enologo/cantina a prescindere dalla qualità del vino spumantizzato. il #DZero si pensa in vigna, si imposta in vendemmia, si realizza in cantina e queste non possono essere solo frasi fatte ma convinzioni tecniche. Quindi tutto il resto è di conseguenza: inutile accanirsi a fare un #Dzero se dopo 2 o più anni di affinamento il vino appare ancora troppo acido, disequilibrato, poco strutturato ecc. Spesso dico che il #DZero è quella tipologia di spumante che tenta di riportare questo prodotto alla realtà di campagna e non relegarne la qualità solo al famoso enologo che tra boccette e cilindri elabora la formula magica!

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Giovanni Arcari

circa 12 anni fa - Link

"#DZero è quella tipologia di spumante che tenta di riportare questo prodotto alla realtà di campagna" non sono assolutamente d'accordo e ancor meno all'ennesima strumentalizzazione di un'identità rurale che di fatto non c'è.

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Simone e Zeta

circa 12 anni fa - Link

D'accordissimo!

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Iacovini

circa 12 anni fa - Link

perfetto! ora come dice Giovanni Palazzi dovremmo/potremmo affrontare la questione tecnica del dosaggio (vedi commenti di seguito) ma per il momento ritengo sia sufficiente comunicare l'espressione "viticola" del #DZero altrimenti rischiamo di fare sempre quelli che non ci accorgiamo dell'elefante negli occhi: piccoli passi verso l'accreditamento e la conoscenza!

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Giovanni Arcari

circa 12 anni fa - Link

scusa ma non ho capito. quale sarebbe "l'espressione viticola del dosaggio zero"?

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Iacovini

circa 12 anni fa - Link

Non è mia abitudine né costume fare crociate. Io penso, molto semplicemente, che nel #DZero, fatto partendo dalle scelte della vigna ed in vigna, sia più facile che in una tipologia di gusto dosata esprimere una zona, vuoi chiamarlo terroir? Non ho niente contro i brut e li faccio anche io ma nel #DZero riesco ad esprimermi di più, lo sento più vicino al mio modo di fare e bere vino! E' un mio piacere che cerco di condividere con altri, senza, ripeto, fondamentalismi. Se poi mi chiedi cosa vuol dire fare un vino in vigna o farlo in cantina allora chiedo di abbandonare i luoghi comuni del "fare naturale", "rispettare il territorio", coerenza ecc. Intendo che su un terreno una varietà si adatta meglio di un'altra e che scegliendo come coltivarla e/o quando raccoglierla posso ottenere risultati diversi che in cantina posso valorizzare o meno e qui sta il nostro sapere o presunto tale.

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Giovanni Arcari

circa 12 anni fa - Link

Crociate?? Ho virgolettato ciò che tu hai espresso e ti ho chiesto lumi in proposito perché non capisco cosa tu voglia dire. punto. Ho poi espresso il mio dissenso come faccio ora. Dirigo un'azienda che produce solo vini dosaggio zero e una che fa prevalentemente extra brut, oltre a un saten e a un brut che di fatto è un altro extra, quindi credo di non poter essere additato per conflitto d'interessi per quello che ti sto per dire.. Dire che sia più facile esprimere una zona con un dosaggio zero, rispetto a un brut la trovo una cosa non corretta, come se lo zucchero mutasse la struttura organolettica di un vino fino ad allontanarlo dalle sue origini. Poi non ti ho chiesto cosa vuol dire fare un vino in vigna o in cantina...e non comprendo nemmeno la spiegazione agronomica in relazione con quanto espresso prima.

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eros

circa 12 anni fa - Link

sapete meglio di me che il vino che verrà prodotto nasce prima di tutto da un progetto in vigna. Da qui si evince che la scelta di dosaggi dopo la presa di spuma avviene dal tipo di produzione che si ottiene in vigna. mandi mandi

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Giovanni Arcari

circa 12 anni fa - Link

Elevate acidità e magre strutture impongono zucchero per equilibrare la beva, altrimenti davvero eroica. Dice bene Cagnetti, che in Franciacorta per raggiungere tale equilibrio abbiamo generalmente bisogno di meno zucchero, però sostengo che non ovunque si possa produrre un grande vino senza, a causa (per fortuna direi) della profonda disomogeneità che il territorio offre. Solitamente per i vini più importanti si usa solo il mosto ottenuto dalla prima pressata, che varia tra il 25% e il 30% e all'analisi mostrano sempre un punto -e oltre- di acidità in più rispetto alle seconde.

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Giovanni Palazzi

circa 12 anni fa - Link

Lunedì 23 ero tra il pubblico che ha partecipato al convegno a Villa Crespia, veramente molto interessante e ricco di spunti di riflessione , anche grazie alla qualità dei relatori. Non mi hanno invece convinto gli interventi di Alessandro Scorsone e di Mauro Remondino , ma questa è semplicemente una mia opinione. Desidero piuttosto introdurre un ulteriore spunto di riflessione sul fatto, presumo noto alla maggior parte degli addetti ai lavori, che la normativa attuale prevede che i termini : brut nature, naturherb, bruto natural, pas dosé, dosage zéro, natūralusis briutas, īsts bruts, přírodně tvrdé, popolnoma suho, dosaggio zero, брют натюр, brut natur (sono sinonimi) si usino quando il tenore di zucchero è inferiore a 3 g/l, ma possono essere usati unicamente per i prodotti che non hanno subito aggiunta di zucchero dopo la fermentazione seconda­ria. Come noto lo sciroppo di dosaggio può essere composto solo da: — saccarosio, — mosto di uve, — mosto di uve parzialmente fermentato, — mosto di uve concentrato, — mosto di uve concentrato rettificato, — vino, o — una miscela di questi prodotti, eventualmente addizionati di distillato di vino. Quindi se doso vino (???) e distillato, ma non saccarosio o mosto, posso tranquillamente chiamare Dosaggio Zero o pas dosè il prodotto siffatto, alla faccia di tutti i bei discorsi che ci facciamo. Chiedo scusa per essere stato un pò prolisso, ma non mi sembra un discorso di secondaria importanza. Un saluto.

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Iacovini

circa 12 anni fa - Link

Giovanni, concordo assolutamente. Del resto tutta la classificazione sulle tipologie di gusto degli spumanti fa acqua. Faccio sempre lo stesso esempio ma ritengo sia lapalissiano: cerco uno spumante secco e leggo su un'etichetta EXTRA DRY!! Mi permetto di aggiungere alcune considerazioni tecniche: 1: il limite di 3 gr/Lt di zucchero è relativo al fatto che non sempre e non tutte le btl concludono la rifermentazione e quindi qualche piccolo residuo, anche senza aggiunte con il dosaggio, le possiamo avere (non solo fra lotti ma anche fra bottiglie dello stesso lotto!). Inoltre i 3 gr/Lt sono al di sotto della soglia di percezione dello zucchero anche se questo dipende dall'acidità, dall'alcool ecc. Comunque il limite è sicuramente basso quindi non lo toccherei e, dico io, fortunatamente non è stato posto uguale a Zero! 2: E' vero che con la regolamentazione vigente posso fare un leggero dosaggio e chiamare lo spumante #DZero ma non credo si possa fare altrimenti in quanto anche analiticamente l'aggiunta di un mosto e/o di un vino non potrebbe essere individuata. La "naturalezza" in questo caso è relativa alle altre tipologie di gusto e dipende da come la interpreta l'enologo. Come sempre spetta al consumatore rilevare la piacevolezza di questa "naturalezza" o meno. Quello che voglio dire è che fra "lacci e lacciuoli" dobbiamo af-fidarci alla onestà del produttore o meglio alla sua idea di naturalezza .....

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Giovanni Palazzi

circa 12 anni fa - Link

Francesco, già in passato abbiamo avuto modo di interloquire su questo argomento e so come la pensi. Il problema non è nei 3 grammi di zucchero, ma è sul fatto che si continui a ripetere, soprattutto a livello mediatico, che il pas dosè è un metodo classico senza aggiunta di liquer, in realtà non è così,come tu confermi, aggiungere una liquer senza zuccheri è consentito, c’è chi non lo fa, ma c’è chi lo fa e , a quanto mi risulta, non è da porsi nemmeno questione etica visto che la legge lo permette. Ho avuto modo di parlarne anche con dei produttori, qualcuno ha le idee ben chiare, altri le hanno un pò confuse, alcuni addirittura sostengono che possono aggiungere anche zucchero fino a 3 gr./l continuando a chiamarlo Pas Dosè, tanto nessuno potrà mai provare il contrario. Il fatto che nessuno lo possa provare è , a mio parere, marginale. La questione che pongo è la seguente : un consumatore che vuole assaggiare un metodo classico con dosaggio fatto unicamente con vino proveniente da bottiglie degorgiate dello stesso prodotto cosa deve trovarsi scritto in etichetta? Dosaggio Zero? No, abbiamo visto che questo non è sufficiente. Forse Pas Operè, come suggerivi tu in altra occasione ? Forse….; qualcuno lo fa…; ma purtroppo questo termine non mi risulta essere normato, anche se ciò può essermi sfuggito. Insisto su questo punto in quanto gli sforzi fatti in vigna, in cantina e a livello di promozione potrebbero risultare vani quando alla base vi è una definizione fuorviante. A proposito, ma la tua riserva non è 100% chardonnay ? Con stima, Giovanni P.

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Iacovini

circa 12 anni fa - Link

Giovanni, hai perfettamente ragione e a oggi non c'è normativa a riguardo. Sono d'accordo con te che si dovrebbe creare una tipologia che assicurasse il consumatore dalla non aggiunta di alcuna liqueur a prescindere dalla concertazione in zuccheri al vino finito. Del resto sui registri questa pratica sarebbe facilmente controllabile. Per quanto riguarda la riserva intestata a me mi prendo la facoltà di scegliere la migliore btl in funzione dell'annata. Quella 2002 è "prevalentemente" per non dire 100% Chardonnay, quella 2004 che presenteremo a Vinitaly sarà "prevalentemente" Pinot nero: ti invito a venire all'anteprima a Verona!!! Sto cercando di dare personalità a questa selezione e sono convinto che il suo futuro, visto che porta il mio nome, sarà sempre più dedicato al Pinot nero di cui sento la mancanza in Franciacorta ;)

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Antonio Tornincasa

circa 12 anni fa - Link

Credo che Giovanni Palazzi abbia centrato il punto. Il problema non è nei 3 grammi litro di zucchero, ma nel sostenere e far passare il concetto che il Pas Dosè sia il metodo classico più austero, diretto, ortodosso senza assolutamente alcuna aggiunta di liquer. In altre parole un prodotto coraggioso, maschio, puro o addirittura anche migliore interprete di un territorio. Sbagliatissimo. Il disciplinare non vieta sui Pas Dosè il ricorso alla liquer, su questo esiste un vuoto legislativo, e quindi non essendo esplicitamente vietata, è implicitamente concessa. C’è quindi chi non vi ricorre e chi vi ricorre. Il prodotto è sempre Pas Dosè. A mio parere la sola esistenza di questa promiscuità dovrebbe indurre a prevedere una nuova categoria: il Pas Operé, oggi nome di fantasia. Farei però un passo indietro prima. Concordo pienamente anche con Iacovini : una tipologia di vino si pensa prima di tutto in vigna. Faccio un esempio. Oggi c’è una tensione sempre maggiore a produrre vini il più possibile figli della terra, risultato del trionfo della fertilità del sottosuolo più che delle abilità "integrative/correttive" dell’enologo. Se facessi vino, farei un’attentissima micro-zonazione dei miei vigneti per capire la composizione e le differenze del sottosuolo anche al’interno di medesime particelle. Poi sceglierei i cloni in virtù di questi risultati. Da quel momento incomincerei a pensare ad un vino le cui caratteristiche esaltino la specificità del terreno di provenienza. Penserei ad un lavoro in vigna necessariamente sito-specifico e manuale, in altre parole il più customizzato possibile per tipologia e vigore vegetativo della pianta (potatura, carica di gemme, scacchiatura dei germogli, spollonatura, cimatura e vendemmia verde, tutte personalizzate e a mano), raccoglierei 1 kg./uva per pianta, vinificherei tutto separatamente ( differenziando principalmente a livello di terreni e cloni) e farei solo millesimati. Assaggiate ed interpretate le singole basi, destinerei quelle più fresche al brut, quelle più floreali ai saten e quelle più complesse e potenti alle riserve da invecchiamento. Alla sboccatura rabboccherei con medesimo vino ottenuto sacrificando altre bottiglie dello stesso lotto. Niente più. E per dimostrare che il vino non ha zucchero né liqueur aggiunti, prenderei bottiglie dalle cataste e le sboccherei al volo per confrontarle in degustazione con lo stesso vino commercializzato. Vini millesimati e non addizionati di nulla, magari con residui zuccherini molto basi anche intorno a 1 o 2 gr./l:avrei quello che la terra e la stagione mi donano, dritto in bottiglia. Con tanto coraggio. Lo chiamerei Pas Operè e non Pas Dosè. Nè più buono nè meno buono, semplicemente un altro vino.

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Iacovini

circa 12 anni fa - Link

Antonio, quello che dici è quello che abbiamo fatto e facciamo a Villa Crespia: vieni a vedere e a conoscerci e verificherai. La Franciacorta è stata zonata negli anni 90 e abbiamo vigne, studiate e piantate, in funzione della tipologia di ogni singola unità vocazionale. Ogni singola Unità vocazionale è coltivata differentemente ed è dedicata ad una specifica tipologia di Franciacorta......

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