Dom Ruinart 2009: la grande rivincita dello chardonnay

Dom Ruinart 2009: la grande rivincita dello chardonnay

di Andrea Gori

I fasti della 2008 e l’arrivo serrato delle intriganti 2012 e 2013 sul mercato hanno chiuso la strada ad una più ampia e forse doverosa analisi delle 2009 e 2010, millesimi di bollicine francesi forse ingiustamente sottovalutati. Come sempre, dipende dalla prospettiva e dal vitigno con cui guardi la Champagne perchè se lo osservi con il filtro chardonnay le situazioni non sono per niente simili a chi ha in campo solo uve rosse (il 70% della champagne è vitata in rosso, ce lo dimentichiamo spesso).

L’incontro con  lo chef de cave Frederic Panaiotis è illuminante per colmare questa lacuna e lo ascoltiamo volentieri raccontare come le ultime annate 2018, 2019 e 2020 vadano a comporre un trittico simile a quello delle meraviglie di fine anni ’80 con 1988, 1989 e 1990 tuttora molto celebrate e nei cuori degli appassionati.

Sono state annate di chardonnay ottimo sempre ma con alcune punte di pinot nero notevolissimo, un bel lavoro di assemblaggio (Ruinart usa uve rosse per il suo famoso rosè e per brut e brut millesimato) di cui Frederic si dice molto curioso di vedere i risultati. La questione principale e caratterizzante è sempre l’anticipo vendemmiale e il cambiamento climatico con sei vendemmia iniziate in agosto negli ultimi 17 anni, con una vendemmia considerata  normale in settembre o ottobre che dal 2003 ha visto avvicendarsi tanti mesi di agosto al lavoro proprio per intercettare lo chardonnay al punto ottimale.

L’aumento della temperatura media può sembrare poco (1,1 gradi) ma gli sbalzi e le oscillazioni spesso sono state spesso enormi e spiazzanti. Il cambiamento climatico è qui per restare e diventa molto difficile scegliere la data della vendemmia, capire quale è quella giusta non è così banale oggi: in prospettiva si può aspettare per avere maturità ma poi l’acidità cala troppo e nemmeno si potrà arrivare a vendemmiare a giugno per averla alta. L’impegno di Ruinart sul fronte ambientale è sempre rimarcato e sottolineato e in effetti il lavoro in vigna e sulla riforestazione (insieme a Forest Action) e sulla riduzione dell’impatto del packaging è sotto gli occhi di tutti.

Ma veniamo agli assaggi a partire dall’iconico Blanc de Blancs nella bottiglia trasparente, vino da 55€ in enoteca di cui non si riesce mai ad averne abbastanza tanto che, appunto, la 2008 del Dom Ruinart è stata sacrificata in tal senso. Frederic sottolinea che anche oggi il BdB rappresenta la tendenza della maison di  fare champagne facili da capire e facili da bere, tanto che lo si può consumare dalle 9 del mattino alle 9 del mattino del giorno dopo. In casa Ruinart la scelta è stata proprio quella da 70 anni in qua, ovvero, uno  spostamento deciso su chardonnay caso unico e raro tra le grandi maison. Nel 2017 sono state cambiate le “ricette” delle cuvèe perché è stato usato quasi il 30% di vin de reserve, mentre nella 2018 solo il 22% perché era annata abbondante ed è stata sfruttata per  fare più bottiglie.

Champagne Ruinart Blanc de Blancs
Sapido, scattante, cremoso, una nota agrumata sempre ben presente, roccioso e ricco con esuberanza sempre tenuta a freno da acidità e pulsazioni gessose. Insieme al packaging si fa presto a capire come mai è così straordinario, ricco e affascinante. La quota di vin de reserve più bassa del solito regala quel quid di freschezza e nervosità in più che potrebbe farlo piacere anche a chi in genere non lo ama particolarmente come il sottoscritto. 92

Il discorso passa quindi al “Dom”, prima annata 1959, sempre e solo chardonnay fin dall’inizio e subito un enorme successo negli Stati Uniti da cui la geniale pubblicità all’epoca “Forgive us America we don’t have more bottles”. Ancora oggi si fa solo nelle annate migliori e solo dal miglior chardonnay da Chouilly, Sillery (il village grand cru più vicino a Reims dove ha sede la maison e anche unico grand cru con tanta esposizione a est su gesso puro e con % maggiore di ch rispetto a pn), Avize, Cramant, Le Mesnsil sur Oger.

La 2009 è la numero 26 che viene imbottigliata nella storia di Ruinart. La ricetta prevede sui lieviti minimo 8 anni, la 2009 è stata vendemmiata per questa annata tra il 12 e il 28 settembre, arriva solo ora sul mercato dopo un lunghissimo tempo ma sappiamo che è il tempo minimo compresi i tre anni dopo la sboccatura per avere risultati migliori.

Ogni anno vengono assaggiati tutti i millesimati in cantina e ne viene seguita l’evoluzione per capire quando siamo al livello massimo di espressività della cuvèe e per la 2009 il momento era giunto. Il clima dell’annata può definirsi molto ricco e deciso, un millesimo non caldo come si pensa ma certamente un millesimo più secco del solito con estate poco piovosa, uve con meno muffe , epoca di vendemmia per lo chardonnay quasi normale, acidità 7,5 vs 7,3 della media decennale e zuccheri 10,1 vs 9,8 della media. C’è più Côte de blancs del solito rispetto a Montagne (82% vs 18%), ma non è mai ricetta fissa. Viene scelto sempre e solo il migliore assemblaggio anche in funzione dell’invecchiamento.

Champagne Dom Ruinart 2009
Note intense e succose di frutta fresca che in UK definirebbero “stone fruit“, poi lato di miele e fiori bianchi a braccetto, sambuco, anice, ribes, zenzero, fior d’arancio, canditi e pasta di mandorle, in bocca equilibrio meno stretto e gessoso rispetto al solito. Il profilo al palato è molto croccante e fresco ma con una bella maturità di frutto che si percepisce soprattutto in bocca che è decisamente carnosa come vuole lo stile di Dom Ruinart, sempre generoso e gourmand.

Compare anche una bella aromaticità verde di susina, giuggiola, felce, ginepro e senape. Più “assolato” del solito ma non rinnega la sua tradizione perché il lato agrumato e gessoso è sempre presente e sotteso soprattutto al gusto. Se in genere è uno dei migliori champagne da grande tavola, in questo millesimo lo è ancora di più e oltretutto ha un equilibrio speciale tra acidità e corpo rendendolo gradevole anche a chi non ama gli spigoli dello chardonnay in versione carta abrasiva. 97

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Il lato gourmand viene esaltato dall’estro dello chef Eugenio Boer consegnato in versione delivery con Chips di carote di Polignano a mare con la loro nota sapida bella presente, una maionese al caviale e caffè da spalmare a piacimento sul pane, una focaccia sofficissima con mortadella al pepe nero e la torta di rose con il culatello di Zibello, un trionfo di vaporosità e burro e grassezza avvolgenti che esaltano ancora di più il carattere originale di questo millesimo del Dom.

Andrea Gori

Quarta generazione della famiglia Gori – ristoratori in Firenze dal 1901 – è il primo a occuparsi seriamente di vino. Biologo, ricercatore e genetista, inizia gli studi da sommelier nel 2004. Gli serviranno 4 anni per diventare vice campione europeo. In pubblico nega, ma crede nella supremazia della Toscana sulle altre regioni del vino, pur avendo un debole per Borgogna e Champagne. Per tutti è “il sommelier informatico”.

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