Dom Pérignon Rosé 2005 è talmente buono che non lo chiamerete mai più nemmeno rosé

Dom Pérignon Rosé 2005 è talmente buono che non lo chiamerete mai più nemmeno rosé

di Andrea Gori

Il global warming apre prospettive inaspettate in Champagne, lo ripetiamo da tempo. Per i visionari come Richard Geoffroy e il suo fidato scudiero Vincent Chaperon significa soprattutto coltivare il pinot nero in questa regione immaginandone una vita del tutto nuova. Ecco perché le parole più ripetute, durante la sontuosa presentazione ufficiale italiana del Rosé 2005 sono state “visione”, “coerenza”, “contrasto” e, aggiungiamo noi, “sintesi”. Tutto questo qualche sera fa, al Teatro della Pergola, con tanto di spettacolo luminoso, palchi dedicati ad personam per la degustazione del vino, cena a cura dello stellato nippo italiano IYO a Milano in trasferta.

Sappiamo già che il pinot nero è vitigno difficile, forse il più difficile di tutti, solo un folle come Dom Pérignon nel 1600 poteva immaginare di fare un grande vino bianco da uva rossa. È vitigno versatile e fragile allo stesso tempo, con l’intensità e la leggerezza separati da un soffio come sanno gli appassionati dei vini rossi di Borgogna. Con l’aumentare della temperatura e la maturità fenolica sempre maggiore di quest’uva, a maggior ragione in villaggi caldi come Ay, Cumieres, Hautvillers da dove il team di Dom Pérignon dice di produrre i suoi vini rossi, le tecniche di vinificazione si avvicinano sempre di più a quelle borgognotte con cuves aperte e follature manuali, tecniche e idee cui Vincent fa riferimento di tanto in tanto nel suo discorso di introduzione alla degustazione:

 

Nel 2005 in particolare i giorni di macerazione delle uve di questo 27% di pinot nero vinificato in rosso sono stati tre: va a comporre il 55% di pinot nero del DP Rosé 2005, una percentuale piuttosto bassa (nel 2004 fu 65% di pinot nero con 29% di vino rosso, nel 2003 solo 20% di pinot nero rosso su un 30% totale VS un 70% di chardonnay…) proprio perché l’annata, straordinariamente calda ma con problemi di muffa per via delle piogge di settembre, aveva portato ad una maturità fenolica delle uve rosse eccezionale.

Uve così mature e intriganti che hanno portato Geoffroy e Vincent alla decisione di forzare la mano nella direzione del rosé, sacrificando in parte la produzione del Dom Pérignon 2005 “bianco”, ritardando la vendemmia e sacrificando resa per ettaro in favore della qualità del pinot nero. Una decisione ardua anche in termini di fatturato, ma un’irresistibile tentazione enologica perché produrre rosé di questo livello significa aggiungere un terzo elemento all’equilibrio incredibile che Dom Pérignon ogni anno ricerca tra chardonnay e pinot nero vinificati in bianco: da quando è nato, nel 1959, forse non ci sono state annate così complicate e stimolanti come questa, per produrre il rosé.

Champagne Dom Pérignon Rosé 2005
Colore ineffabilmente carnoso e imponente, naso di canfora, menta, agrumi canditi e melograno, affilato già dal naso con una alternanza speciale tra polpa rossa, nera, cupa di mirtillo e pepe, spezie orientaleggianti su schegge di selce al sole. Bocca stupenda e fascinosa che inizia con caldo e intensità di frutto, per proseguire con rimandi freschi ed emozionanti di un candore speciale: il dosaggio minimale esalta gli spigoli e accresce il dinamismo allungando a dismisura la falcata del palato, dove rose, viole, bergamotto e sandalo si alternano a prugne e ribes neri. Si beve che è una meraviglia, decisamente tra i più grandiosi DP rosé mai sognati. 96

sushi chianina IYO

In rete e tra gli esperti si sprecano i contrasti sul punteggio da attribuire a questa piccola grande meraviglia, anche perché quando ci si avventura sopra i 300€ a bottiglia è giustamente lecito aspettarsi meraviglie. Nel corso della serata abbiamo avuto modo di degustarlo in religiosa, monastica tranquillità nel nostro palco privato a teatro, in abbinamento a prosciutto crudo e parmigiano, sul sushi di Wagyu e chianina, con verdure e tortelli e anche su uno splendido cheese cake con velo di zucchero muscovado. In ogni situazione è stato un compagno della tavola meraviglioso e perfetto, compreso quando è stato proposto affiancato al Pinot Nero Hofstaetter Barthenau 2013.

Davvero un brivido scorgere la trama simile dell’uva che riusciva a smuovere le stesse papille gustative, e performare in abbinamento in maniera altrettanto egregia sulla carne. Ha lasciato tiepidi critici importanti (come Michael Edwards e la Revue de Vin de France) e del resto secondo noi è il Dom Pérignon Rosé più concettuale e rischioso finora prodotto, ma è un azzardo che vogliamo premiare per il puro godimento che consente di raggiungere potendolo bere a generose sorsate, una meraviglia liquida che riconcilia con il mondo e i visionari capaci di immaginare prodotti un tempo impensabili.

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Andrea Gori

Quarta generazione della famiglia Gori – ristoratori in Firenze dal 1901 – è il primo a occuparsi seriamente di vino. Biologo, ricercatore e genetista, inizia gli studi da sommelier nel 2004. Gli serviranno 4 anni per diventare vice campione europeo. In pubblico nega, ma crede nella supremazia della Toscana sulle altre regioni del vino, pur avendo un debole per Borgogna e Champagne. Per tutti è “il sommelier informatico”.

2 Commenti

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vinogodi

circa 7 anni fa - Link

...bellissima e coinvolgente descrizione , nonostante la pensi come la Revue de Vin de France. Non vedo l'ora di leggere un tuo commento dopo l'assaggio del P2 Rosé 1996 , a cui sono decisamente più affine biologicamente...

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Andrea Gori

circa 7 anni fa - Link

in effetti su quello c'è più unanimità...

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