Disciplinare del Chianti Classico | Avanti trebbiano e malvasia, abbasso il merlot

di Davide Bonucci

Il Consorzio del Chianti Classico sta discutendo un cambio del disciplinare. E’ di venerdì 30 marzo la decisione di posticipare la votazione sulle proposte di riqualificazione della Denominazione e noi cerchiamo di focalizzare la questione: il “Chianti” è un autentico ginepraio, tanto per gli indigeni quanto per il resto del mondo. Come da tradizione contadina, non ci resta che prendere il “pennato”, tagliare e fare aria. Esiste una definizione di Chianti che identifica un territorio storico, molto limitato. Addirittura interno all’attuale area di produzione del Chianti Classico. Se penso al Chianti Storico, penso all’area aspra e montana tra i comuni di Gaiole in Chianti, Radda in Chianti e Castellina in Chianti. Il Chianti Classico come area di produzione è già un’estensione di questo concetto, includendo territorio tra Siena e Firenze, da nord a sud, da San Casciano Val di Pesa a Castelnuovo Berardenga. Val di Pesa e Berardenga, quindi: geograficamente non Chianti. Compromesso accettabile, dato che qui troviamo comunque terroir interessanti e rappresentativi di un’idea sangiovesista molto chiara, talvolta di eccellenza (Castell’in Villa è il primo nome che viene in mente). Fin qui, ragionamento articolato ma ancora comprensibile.

Ora iniziano le complicazioni: esiste una “ciambella esterna” al Chianti Classico (che è già ciambella del Chianti Storico) per cui si produce Chianti DOCG (non Classico, altro Consorzio e altro vino) un po’ ovunque in Toscana, da Lucca a Pisa ad Arezzo, includendo territori e terroir assolutamente avulsi. Con le varie sottozone e consorzi di Chianti Colli Pisani, Chianti Colli Fiorentini, persino Chianti Rufina (che avrebbe storia e dignità per chiamarsi semplicemente Rufina), Chianti Colli Senesi, Chianti Colli Aretini e altri ancora. Tutto è Chianti. Niente è Chianti. Risultato: il vino rosso si può chiamare Chianti a Terricciola (provincia di Pisa) ma anche a Montalcino. Questo per chiarire (?) la problematica delle competenze territoriali.

Entriamo poi nel problema dell’uvaggio del vino, quello che ci interessa maggiormente, pur inscindibile dal problema del nome (quale tra i millanta Chianti?) e del marchio (il Gallo Nero del Chianti Classico, spesso nascosto dai produttori anziché mostrato con orgoglio e distinzione). Limitiamoci a ragionare di Chianti Classico, l’unico che interessa veramente rilanciare: per qualità, storia, peso specifico dei produttori, vocazione. Per amore della mia terra, ecco. Storicamente è un territorio ad altissima vocazione per il sangiovese. Da sempre, vi si coltivano anche canaiolo, colorino e altri autoctoni minori. E le uve bianche, trebbiano e malvasia. Questa deve essere la base del ragionamento: quello che distingue un territorio con un’identità apparentemente chiarissima da un grande appezzamento dove produrre a caso (quale è oggi).

Tutti apparentemente sono stra-convinti che il sangiovese sia la strada maestra. Sì, ok, bene, bravi. Ma? Il “ma” è cubitale, limitandoci a quelle che sono le dichiarazioni di intenti. E qui sorge un altro nodo. Come è usato questo sangiovese? Come operano le aziende chiantigiane, apparentemente tutte paladine del sangiovese, del Chianti Classico, della toscanità più verace? Qualcuno lavora da sempre in purezza o con il blend autoctono più comune, assieme al canaiolo. A mostrare la grandezza di un vitigno difficile ma con caratteristiche da vino grandissimo, aspro come le distese di galestro e alberese, come il carattere toscano, da addomesticare, acido, scarico di colore, estremamente longevo. Allo stesso tempo carico di poesia: può essere teso e profondo, spigoloso come il pensiero di un vecchio contadino che ha passato la vita a tribolare.

Le uve bianche sono sparite dal blend, per decisione consortile, anni fa. Erano tempi diversi, andavano di moda gli internazionali e si decise che, quelli sì, potevano rappresentare a pieno titolo la chiantigianità. Per un po’ ha funzionato. Legno piccolo, merlot, cabernet, su un sottofondo di Sangiovese, soffocato da tanti ospiti ingombranti. Poi il vento è girato, e i migliaia di ettari di vitigni avulsi sono diventati ingombranti. Prima sdoganati. Il merlot nel Chianti “chianteggia”. Qualche volta è pure vero, per carità. Interessante quanto si vuole. Ma cosa comunica all’esterno? Quale compattezza di intenti, quale identità? Qual è il vero carattere del Chianti Classico da comunicare?

Credo che oggi l’unica cosa da fare sia invertire questo processo. Ridare dignità autoctona, disincentivando la coltivazione di vitigni internazionali e incentivando gli autoctoni, inclusi trebbiano e malvasia. Con i quali si è sempre fatto Vin Santo. Ma che erano con sapienza inclusi anche nel blend del Chianti Classico. Non parlo di abolire da un giorno all’altro gli internazionali. Ma chiedere una progressiva riduzione del loro impiego nell’uvaggio, questo sì. E nemmeno chiedo che diventi obbligatoria la reintroduzione del blend del Barone Ricasoli (sangiovese, canaiolo, colorino, trebbiano, malvasia), ma che almeno si ponga fine a questa ingiustizia anacronistica e si lasci ritentare la strada della tradizione sotto il marchio Chianti Classico, usando le uve bianche con sangiovese e altri autoctoni.

Credo che la comunicazione del Chianti sarebbe così facilitata. Si potrebbe a quel punto dire che nel Chianti Classico si fa un grande sangiovese, con eventuali e facoltativi apporti di canaiolo, colorino, trebbiano, malvasia. E poco altro. E quel che si dichiara sarebbe la diretta conseguenza di quel che si sente nel bicchiere. Cosa che oggi non è, nella metà dei casi o giù di lì. Al netto delle troppe sottozone Chianti – che Chianti lo sono ben poco – francamente troppe per trattenere il compratore. Che infatti passa oltre e non si affeziona più.

56 Commenti

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Gionni Bonistalli

circa 12 anni fa - Link

Sarebbe bello, sarebbe forse doveroso, ma non credo che tutti i produttori del consorzio saranno d'accordo.... A partire dal presidente del consorzio che ha appena presentato l'ennesimo supertuscan...

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Francesco Bonfio

circa 12 anni fa - Link

Vorrei ricordare che il "Blend" del barone Ricasoli NON comprendeva nè il trebbiano (mai citato dal Barone di ferro) né la malvagìa che era consigliata solo nelle annate molto siccitose e solo per i vini di pronta beva. La ricetta del Barone prevedeva Sangiovese e facoltativamente del canaiolo. Questo per la verità storica.

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Mirko favalli

circa 12 anni fa - Link

Io veramente la ricordo come Davide, un uvaggio Che comprendeva uve bianche e nel quale era specificata la quantita da impiegare (se non ricordo male insiema erano insiema il 25 % piu o meno) e an he Che do erano essere vinificate separatamente e poi assemblate

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Pietro Palma

circa 12 anni fa - Link

Approvo e sottoscrivo quanto scritto dal Presidente Bonucci! :-)

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Pietro Palma

circa 12 anni fa - Link

Ecco le testuali parole del Barone di Ferro: “… Mi confermai nei risultati ottenuti già nelle prime esperienze cioè che il vino riceve dal Sangioveto la dose principale del suo profumo (a cui io miro particolarmente) e una certa vigoria di sensazione; dal Canajuolo l’amabilità che tempera la durezza del primo, senza togliergli nulla del suo profumo per esserne pur esso dotato; la Malvagia, della quale si potrebbe fare a meno nei vini destinati all’invecchiamento, tende a diluire il prodotto delle due prime uve, ne accresce il sapore e lo rende più leggero e più prontamente adoperabile all’uso della tavola quotidiana … “

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Francesco Bonfio

circa 12 anni fa - Link

Infatti. Dov'è il trebbiano?

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Stefano Cinelli Colombini

circa 12 anni fa - Link

Non trovate curiosa questa descrizione del canalicolo? In realtà è tutto tranne che "amabile e adatto a temperare le durezze" è il tipico vitigno colorante acidissimo e di difficile e tardiva maturazione. Grande uomo il Barone di Ferro, ma grande enologo.....

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Simone e Zeta

circa 12 anni fa - Link

Tutto bello, ma visto che già sappiamo che quello che tu immagini, e che noi tutti ci auguriamo, non accadrà esiste un' unica via percorribile. Movimenti di produttori che, lateralmente ai Consorzi, propongono un'idea ben precisa del vino in questione. Piccole masse critiche che ridisegnano il concetto di qualità e tradizione all'interno di uno specifico terroir.

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Andrea Gori

circa 12 anni fa - Link

Realisticamente, per legge non si potrà espiantare il merlot e il cabernet anche perchè molti vini con solo autoctoni non raggiungerebbero livelli accettabili di qualità per il Chianti Classico con un areale così ampio comprendente anche zone non vocatissime per sg e autoctoni vari. Una proposta realistica potrebbe essere quella di riammettere le uve bianche (cui il consumatore è almeno a parole affezionatissimo) e di portare al 90% la percentuale di autoctoni e mettere un massimo di 10% di uve internazionali

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gianpaolo paglia

circa 12 anni fa - Link

Come ho suggerito per il Morellino, ma tanto piu' potrebbe valere per il Chianti Classico, per affrontare i nodi ci sono delle possibilita' reali, certo ci vuole la volonta', e i soldi. I soldi sono il problema minore, perche' ne vengono inghiottiti pure troppi, senza o con pochi risultati, e gia' esistono strumenti: -vigne non vocate: andrebbero mappate e messe fuori dalla DOCG, prevedendo un tempo lungo per l'uscita (20 anni) e incentivi graduali per l'espianto (di piu' se espianti precocemente, di meno via via che passa il tempo) -uve "migliorative": tempi lunghi per l'uscita obbligatoria (20 anni) e incentivi per l'uscita precoce grazie a contributi per il sovrainnesto A consuntivo si spenderebbe meno di quanto si pensa, e sarebbe una delle decisioni con maggiore impatto, sia sul prodotto che d'immagine, rispetto a tante fierette, promozioni all'estero con dubbia riuscita, ecc.

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Gionni Bonistalli

circa 12 anni fa - Link

Gianpaolo, veramente pensi che in Italia si possa pensare a programmare un futuro così lungo ( 20 anni?!?!?! )... Purtroppo non siamo un popolo lungimirante o meglio non lo siamo più!

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Gianpaolo Paglia

circa 12 anni fa - Link

Io credo che vi siano persone di buon senso e lungimiranti di piu' di quello che si pensi, e credo che abbiano solo bisogno di trovare la voce. Vale per tutto, non solo per il vino. Questo e' un paese che ha troppa storia e troppo futuro per potersi buttare via cosi', senza provarci.

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Gionni Bonistalli

circa 12 anni fa - Link

Anche il mio appunto, volutamente forzato, non riguardava soltanto il vino... Forse ci manca soltanto la voglia di crederci ancora... Forse siamo troppo seduti per cercare di migliorare il nostro mondo... Vabbè, riflessioni anche troppo serie per una serata un pò così.... Gianpaolo, ce ne vorrebbero cento, di produttori che la pensano come te !!!

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pragmatist

circa 12 anni fa - Link

Come sempre amo il paradosso: bisognerebbe riuscire a promuovere la famigerata denominazione di ricaduta all'interno dell'areale del chianti classico e utilizzarla per farle "inghiottire" tutti i vitigni alloctoni, così il Chianti Classico potrebbe finalmente tornare ad essere "solo autoctono" e magari consentire anche la presenza di uve bianche. L'errore madornale è stato eliminarle dal disciplinare in prima istanza anche se solo in nome di una memoria storica, che poi oggi ci starebbero anche degli alibi tecnici vedi co-pigmentazione il discorso si farebbe anche più convincenti, ma oggi come oggi, mi sa che è troppo tardi e soprattutto troppo marginale come questione.

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esp

circa 12 anni fa - Link

Ridatemi il Chianti col governooooo....:)

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Tommaso

circa 12 anni fa - Link

sorry, but: http://www.castellare.it/newsletter/newsletterMarzo.htm Perchè ancora lo si fa da queste parti!

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Michele Braganti

circa 12 anni fa - Link

argh.....il presidente su intravino...siamo rovinati chi lo tiene piu' adesso....corro subito a rifornirmi di calcina e mattoni.....devo mura' tutto....!!!!!

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ag

circa 12 anni fa - Link

ascoltalo e ripianta un po' di trebbiano.....

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gianpaolo paglia

circa 12 anni fa - Link

Secondo me non c'e' altra soluzione, se vogliamo ridare carattere ai vini toscani a DOCG si devono togliere dai disciplinari l'uso di uve internazionali, laddove non siano storicamente giustificate (es. Grenache o Alicante nel Morellino, Cabernet nel Carmignano, almeno credo, per quest'ultimo). Curiosamente qualche giorno fa ho lanciato la medesima proposta a proposito del Morellino sul mio blog, che mi permetto di linkare qui perche' credo sia di interesse per un ragionamento, che vada anche oltre al Chianti Classico, ma si estenda alla Toscana [ http://www.poggioargentiera.com/2012/03/idee-e-proposte-per-il-morellino-1/ ] Per quanto riguarda le uve bianche pero', quali sono le motivazioni per le quali si auspicherebbe il rientro? Se e' il percorso storico, con l'appoggio esterno del Cote du Rhone Nord, dove il Viogner e' ammesso in piccole percentuali (ma non in Cote Rotie e ormai comunque pochissimo usato), la cosa mi convince poco. Il motivo qui sarebbe la copigmentazione, ovvero l'aggiunta di piccole quantita' di uve bianche, eclusivamente in fermentazione, per fissare e incrementare il colore del vino rosso (e' una reazione chimica). Io direi allora di andare piu' avanti, e fregrarcene completamente del colore, che per alcuni e' un ossessione. Anzi, io farei proprio una forza di questo colore scarico, come per iL Pinot Nero. Se i motivi sono altri, mi piacerebbe saperli.

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ivan

circa 12 anni fa - Link

il cabernet a carmignano c'è da tantino...forse è giustificato storiacamente! Certo non è semplicissimo giustificare la presenza di alcune uve a discapito di altre.

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Francesco Fabbretti

circa 12 anni fa - Link

Per quanto riguarda l'uva bacca bianca non vedrei il pericolo immanente di una mutazione drastica del gusto. Una buona malvasia nell'ordine di un 5% non la disprezzerei. Personalmente sarei per sangiovese 95% Malvasia 5%.... come il viognier col syrah in una zona fracese di cui ho scordato il nome... rvidentemente deve essere una zona di poco interesse

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gianpaolo paglia

circa 12 anni fa - Link

diciamo che qui si entra ovviamente nel campo delle speculazioni soggettive, ed e' probabile che un 5% di malvasia non cambi molto il quadro, ma allo stesso tempo non mi sembra un motivo forte per mettercela. A quanto mi risulta, ma invito chi ne sa di piu' a smentirmi senza problemi,a Hermitage, Crozes Hermitage e Saint Joseph che consentono l'uso di Viogner, in realta' siano pochi i vini che effettivamente ne fanno uso, mentre, se la memoria mi aiuta, nella Cote Rotie non e' proprio consentito. Detto questo, in finale, non essendo la mia zona non voglio entrare troppo duro, se gli piace ce la mettano, ma che non sia per un fattore di richiamo emotivo e storico e basta. Poi il trebbiano del Chianti, come quello in Maremma, nun se po' vede', sono cloni di Rauscedo ad alta produttivita' che fannoa paura da quanto sono insulsi.

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SebastianoCC

circa 12 anni fa - Link

Purtroppo il problema fondamentale del Chianti Classico non è il disciplinare, ma il fatto che il 99.99% dei consumatori non conosce la differenza tra Chianti e Chianti Classico. Finché non sarà chiara questa distinzione a chi compra, discutere delle uve e delle percentuali d'assemblaggio è parlare del sesso degli angeli. E perfavore, basta con l'ennesima sfilza di nuove regole, che tanto vengono rovesciate pochi anni dopo, e che servono solo a fare impazzire i produttori sotto montagne di scartoffie. Piuttosto, perché non istituire delle sottozone serie, e una classificazione davvero qualitativa, con dei tasting panel severi, che ammettano pochi vini al rango di Premier Cru e Grand Cru del Chianti Classico? Restrizione severa delle rese, obbligo di passare al biologico, mappatura qualitativa delle sottozone, rigidità nei protocolli e nei controlli. Così si risolleva una zona, non facendo la solita rimescolata di carte di cui il consumatore, specialmente all'estero, non verrà mai neppure a sapere. Perché in Italia si cerca sempre di salvare capra e cavoli, anziché premiare i più bravi e punire i peggiori? Ma perché dobbiamo avere paura delle classificazioni serie, e ritrovarci nel solito 'volemose bbene' dove si salvano sempre tutti? Ma crediamo davvero che un vino industriale, prodotto con rese sproporzionate e spremuto al concentratore - però ammesso dalle regole del disciplinare - solo perché gli togliamo un cinque per cento di cabernet sarà migliore? Mah... Sebastiano Cossia Castiglioni di Querciabella

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Stefano Cinelli Colombini

circa 12 anni fa - Link

Premetto che si tratta di problematiche di un territorio non mio, per cui da buon "straniero" avanzo con rispetto e prudenza, però non mi sembra ragionevole che l'obbligo di passare al biologico possa dare un incremento della qualità o della vendibilità. E' una ovvietà che ci sono vini buoni sia biologici che non biologici, e viceversa. Una mappatura con annessa individuazione delle zone potrebbe dare risultati positivi perchè il territorio è vastissimo e ha tante differenti peculiarità, ma è quello il problema? Personalmente direi che il problema vero sta nell'identità condivisa, che apparentemente si è persa. La larghissima maggioranza dei produttori di Brunello o di Morellino, tanto per fare due esempi toscani, condividono evidentemente un progetto di vino e si sono battuti per mantenere questa identità. Volete una prova empirica? Le loro migliori uve vengono usate praticamente sempre per fare Brunello e Morellino. Sarà un caso, ma entrambi questi vini (di fascie diversissime) hanno retto bene alla crisi. Non conosco abbastanza il Chianti Classico per fare affermazioni drastiche, ma non mi pare che lì un progetto condiviso di questo tipo c'era, ma ora non esiste più. Secondo me il problema è questo.

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SebastianoCC

circa 12 anni fa - Link

Buondì Stefano. Sulle due questioni. Il passaggio al biologico è fondamentale per tutta l'agricoltura, e la viticoltura dovrebbe dare il buon esempio. Non si può pensare do continuare in eterno a spruzzare tonnellate di veleni chimici nell'ambiente, usare fertilizzanti derivati dal petrolio, e pensare di promuovere il territorio allo stesso tempo. Ma questa è una faccenda generale, non legata in particolare al Chianti Classico. Per il Chianti Classico, purtroppo, l'identità condivisa non basta. Il problema sono le enormi differenze qualitative. Se anche seguendo lo stesso disciplinare alla lettera, e incollando lo stesso galletto sulla bottiglia, si ottengono vini con differenze qualitative incommensurabili, allora c'è qualcosa che non va. O è troppo lasso il disciplinare, oppure bisogna cercare di mettere in evidenza le differenze, sia territoriali che qualitative. Secondo me, in un territorio così vasto e disomogeneo, bisogna introdurre sia le sottozone che le classificazioni. Soltanto così il consumatore potrà finalmente percepire delle differenze che anche adesso sono ovvie, nel prezzo e nella qualità all'assaggio, ma sono purtroppo mascherate da una falsa omogeneità d'appellazione. Mi permetto anche di dire, da produttore che ha terre nel Morellino, che produco ottimi vini e mi guardo bene dal fare il Morellino. Spero vorrà assaggiare con me il nostro Mongrana (Maremma IGT) e l'anno prossimo il nostro primo fantastico Grand Cru della Maremma: non potrei, e non vorrei mai imbottigliarli come Morellino, ma sono anche convinto che siano tra i vini migliori di quel territorio.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 12 anni fa - Link

Sarò lieto di assaggiare quei vini, ma proprio la loro esistenza conferma quello che dico; solo ad un chiantigiano, che viene da un ambiente culturalmente ormai privo di una identità condivisa, poteva venire in mente di dedicare le sue migliori uve scansanesi ad un vino diverso dal Morellino. Senza offesa e con molta stima, ma la stragrande maggioranza dei montalcinesi o degli scansanesi non lo avrebbero fatto mai e poi mai. Per favore prenda in considerazione questa semplice domanda; se tutti i chiantigiani mettessero ogni loro energia, capacità tecnica e uva migliore nei loro Chianti Classici, cosa accadrebbe? Questa é identità condivisa, mica altro.

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SebastianoCC

circa 12 anni fa - Link

Ma le mie energie, capacità tecniche e migliori uve prodotte nel Chianti Classico le uso già per produrre un Chianti Classico che a quanto mi risulta piace a molti. Non potrei certo usare le uve di Scansano per fare il Chianti Classico... Quindi lei dice che, a prescindere dal livello qualitativo medio, dal disciplinare e dalla situazione reale di una denominazione, comunque bisogna abbassare la testa e fare solo il vino da regole del manuale? Mi permetto di non essere d'accordo. E le ricordo che se tutti seguissero questo pensiero oggi non esisterebbero i Sassicaia, o i Tignanello, o le altre gemme nate proprio dalla ribellione a disciplinari che spesso non rappresentano né la massima qualità né l'espressione migliore di una zona o di una denominazione. Poi abbia pazienza, voi a Montalcino non siete circondati da un'altra denominazione che si chiama solo "Brunello", e che produce vino industriale che si vende a 2 Euro alla bottiglia. Ma si rende conto che, per via della confusione perpetua tra Chianti e Chianti Classico, noi passiamo la vita a spiegare ai clienti perché il nostro vino costa più di 3 Euro alla bottiglia? Infine, sarei lieto e fiero di appartenere a denominazioni serie, come alcune francesi, dove non solo si determinano con chiarezza zone e sottozone geografiche, a volte grandi come un piccolo vigneto. Ma non si ha paura delle classificazioni. Ci sono Grands Crus, Premiers Crus e vini Villages, e nessuno se ne vergogna. Invece da noi le denominazioni sono quasi infinite zone geografiche dove rientra tutto, dal vino di prateria a quello di alta montagna, dalle rese di 400 q per ettaro alle produzioni maniacali da 25 hl/ha. Dal vino industriale a quello artigianale. Senza alcuna distinzione di sorta. Ma perché mai dovrei provare orgoglio per l'appartenenza a denominazioni che la maggior parte delle volte sono studiate per permettere ai produttori industriali di dare una finta dignità ai propri prodotti? Quando le donominazioni saranno serie e selettive, allora sarà motivo di orgoglio farne parte. Finché i pochi produttori bravi fanno da traino e da maschera ai produttori dozzinali che si nascondono dietro i marchietti, mi spiace, ma il senso di appartenenza che lei descrive non lo sento. E mi permetto un'altra domanda. Da quando sono stati impiantati migliaia di nuovi ettari a Montalcino, siete sicuri che non sia cambiato nulla? E lei si sente partecipe della denominazione, pur sapendo che fra qualche anno la produzione di Montalcino sarà moltiplicata oltre ogni possibile previsione, ovviamente con risultati qualitativi che non possono essere tutti all'altezza degli esempi migliori? E se per via degli impianti innumerevoli d'improvviso nascesse la denominazione "Brunello" da 2 Euro alla bottiglia, lei cosa farebbe?

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Stefano Cinelli Colombini

circa 12 anni fa - Link

Colpa mia, evidentemente non mi sono spiegato bene. Si, io sono fiero di appartenere alla mia denominazione Brunello di Montalcino e no, l'urto dei 900 ettari di Brunello e 450 di Rosso di Montalcino in più è arrivato nel 2008 ma non ci ha distrutto. L'abbiamo combattuto insieme, insieme abbiamo saputo assorbirlo e l'abbiamo trasformato in vantaggio per tutti noi; ora, dopo anni dall'aumento dei vigneti, sia Brunello che Rosso di Montalcino sono ai massimi storici del rezzo dello sfuso. É vero che non abbiamo una sotto denominazione Brunello a basso prezzo accanto, ma è anche vero che ci siamo battuti alla morte (per generazioni) per non averla; crede che non ci fossero spinte fortissime e ben appoggiate in questo senso? Ce ne sono state, e tante. Lo sa quanti tentativi ci sono stati per snaturare i nostri vini? Decine. Noi del Brunello abbiamo tutti i difetti del mondo, ma al momento giusto abbiamo sempre saputo unirci per il bene comune Brunello; questo per me è il "comune sentire" che da tempo manca in Chianti. Sbaglio? Il risultato è che il Brunello ora è una fonte di ricchezza per una intera comunità e non per pochi. E se guarda bene anche nel Morellino la storia, pur diversa, ha molti piú tratti in comune con la nostra che con quella del Chianti Classico; c'é fierezza di fare Morellino, e coscienza di appartenere ad un gruppo. Non ho nulla contro i vitigni francesi e il vini di fantasia, sono un complemento utile a ciò che la storia ci ha già dato e sono i benvenuti; se avranno successo saranno le DOC o un DOCG di domani. Ma perché farli proprio in una zona che ha già una vocazione nota e conclamata, dove esiste già un grande progetto comune che potrebbe dare grandi vantaggi a tutti se solo si remasse tutti nella stessa direzione? Io vengo da un posto dove non siamo granché e abbiamo tanti difetti, ma mettendo insieme le nostre piccolezze e i nostri egoismi intorno ad un progetto comune abbiamo fatto tanto. A Scansano vedo qualcosa di non così diverso, e funziona; io non ho la bacchetta magica e non so valutare se un cambio di vitigni o il biologico possano fare granché nel Chianti Classico, ma so perché l'ho vissuto che se tutti abbiamo l'orgoglio e la voglia di fare un vino che sia un progetto condiviso, allora qualcosa cambia. E in meglio. Anche da noi il progetto comune ad un certo momento sembrava morto e c'é voluto uno sforzo enorme per farlo rivivere; ma se non l'avessimo fatto lo scandalo e le troppe vigne di cui parla lei ci avrebbero ridotto come e peggio di voi.

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SebastianoCC

circa 12 anni fa - Link

Appunto, conferma quello che dico io. Vuole dirmi che il fatto che il Brunello abbia d'improvviso 1350 ettari in più non cambia nulla? E che dal punto di vista del consumatore e dei produttori tutto sarà come prima? Ma perfavore... Ecco la realtà italiana. Una denominazione cambia radicalmente, e ne cambiano gli equilibri in maniera epocale, ma si fa finta di nulla. Si spera che nessuno se ne accorga. E via tutti, sotto la comune bandiera, l'importante è mantenere un'espressione seria mentre si dice che nulla è cambiato. Io con questa concezione delle denominazioni nelle quali bisogna comunque rientrare, a prescindere dalla dimensione, dalla serietà, dalla coerenza e dalla qualità, non voglio avere nulla a che spartire. Ma chi l'ha detto che il bene supremo sia mostrare unità sotto la bandiera di una denominazione (di solito creata a tavolino da burocrati incompetenti), qualunque sia l'ipocrisia o la mancanza di qualità che la contraddistinguono? Superiamo questo modello vetusto e malandato che non protegge i vini buoni, non differenzia i produttori bravi da quelli furbi, e soprattutto è un palese danno per i consumatori, ingannati, truffati e indotti a credere che un marchietto valga davvero come garanzia di qualità. E vuole gentilmente dirmi perché è contrario alla creazione di zone e sottozone, e soprattutto di classificazioni puramente qualitative che distinguano Crus da prodotti dozzinali? Ma a che serve una denominazione che produce milioni e milioni di bottiglie falsamente omologate sotto un'unica bandiera? Glielo dico io: serve solo ai produttori industriali per ingannare il consumatore. E basta. Io non ci sto, e i suoi argomenti mi convincono sempre più della mia posizione. Dietro le parole orgoglio, unità e comunità, in realtà ci leggo solo: burocrazia, appiattimento e omologazione. E davanti alla vera sfida, la classificazione in base alla qualità reale, tutti zitti, sperando che non succeda mai.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 12 anni fa - Link

Non, mi spiace ma quello che ho scritto non conferma affatto quello che dice lei. Primo, come le ho scritto in chiarissimo italiano i 900 (non 1.350) ettari di Brunello di Montalcino che sono arrivati in produzione nel 2009 non hanno evidentemente mutato gli equilibri, come è dimostrato dal fatto che i prezzi dello sfuso sono al massimo storico. Delle due l’una; o tutti i consumatori sono idioti, o è evidente che questo aumento di produzione non ha variato in peggio la qualità dell’offerta. Non si è fatto finta di nulla né si è detto che nulla è cambiato, si è invece adeguato un modello produttivo e commerciale ad una nuova situazione senza ridurre qualità e tipicità, come è dimostrato dall’unico giudice non ingannabile; il mercato. Questo secondo lei è male? Secondo, nessuna Denominazione storica è stata creata a tavolino e tantomeno da burocrati incompetenti. Se conosce la storia del suo Chianti Classico saprà che è stato il risultato di precisi accordi presi negli anni ’20 tra tutti i produttori. Così come è accaduto al Brunello, al Nobile, al Barolo ed a tutti i DOC classici. Ogni modifica successiva è passata attraverso pubbliche audizioni di tutti i produttori. Noi a Montalcino, Scansano e Montepulciano siamo riusciti a riunirci ed a difendere i nostri interessi e la Denominazione e i nostri prezzi tengono, per cui è possibile farlo; se altri non ne sono stati capaci non dicano che non si può fare, è colpa loro se non ci sono riusciti. Terzo, quel “modello vetusto” delle Denominazioni difende proprio i piccoli produttori di qualità, ed infatti gli industriali hanno sempre cercato di annientarla o diluirla. Lei non sarà mai in grado di dare visibilità e vendibilità alle poche migliaia di bottiglie del suo sconosciuto vino di fantasia, per cui o è un mago del marketing o se lo beve a casa sua. Ma ogni scarafone che fa Brunello di Montalcino o Nobile di Montepulciano per il solo fatto di appartenere a quelle Denominazioni avrà un mercato aperto e prezzi alti se vende lo sfuso. Guardi che la Ruffino non avrà mai problemi a far conoscere i milioni di bottiglie del suo vino di fantasia, per cui non ha alcun interesse che tanti piccoli sconosciuti occupino spazi di mercato e gli facciano concorrenza grazie all’uso delle Denominazioni. Se poi (come avviene purtroppo nel Chianti) i piccoli produttori si fanno espropriare il controllo delle loro Denominazioni, allora succede il casino; ma questo è colpa delle Denominazioni o di loro che non sono stati capaci di difendere i loro interessi? Se non esistesse il vetusto modello della Denominazione Brunello di Montalcino il 90% dei produttori, che sono piccolissimi, non riuscirebbe a vendere i loro vini, chi mai li andrebbe a cercare? Sono loro che hanno interesse alla DOCG, non Banfi, Frescobaldi o Antinori che venderebbero comunque. Quarto, non sono affatto contrario alle sottozone o a ulteriori specificazioni. Non credo che su una zona così grande come il Chianti Classico potrebbero fare un danno, mi limito a pensare che difficilmente porterebbero un vantaggio. È cosa molto diversa. Quinto, ben venga una vera classificazione basata sulla qualità reale. Ma chi decide la qualità reale, e su quali parametri? Quelli AIS, quelli dei Master of Wine inglesi, quelli di Robert Parker e affini o i suoi? Guardi che danno tutti risultati diversissimi, spesso contrastanti. Chi fissa il parametro, ovvero chi decide cosa fa di un vino un vino buono o cosa fa di un vino un vino tipico? Crede davvero che un primo grand crù di Bordeaux che è tale in base ad una graduatoria di più di un secolo fa sia migliore di uno classificato meno? A parole è tutto semplice, tradurle in pratica lo è molto meno. Personalmente, e con tutti i limiti del caso, trovo che l’unica classificazione abbastanza affidabile la da il mercato; se un vino unisce qualità, affidabilità, storia e buona qualità della rete commerciale si vende ad alto prezzo per tanto tempo, altrimenti no. Il cliente lo puoi fregare una volta e forse due, ma tre no per cui se ti manca qualcosa non duri.

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SebastianoCC

circa 12 anni fa - Link

Gentilissimo Cinelli Colombini, amo i vostri vini e ammiro la vostra azienda. Credo che vediamo le cose in modo diverso, ma che ci siano tanti punti di contatto e di sovrapposizione, come l'amore per la qualità e l'aspirazione a un quadro normativo più chiaro e che tenda a una qualità sempre maggiore per tutti. Lo dimostrano i rispettivi vini. Possiamo amichevolmente decidere di non essere d'accordo su alcune cose? Spero di sì. La ringrazio e la saluto molto cordialmente.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 12 anni fa - Link

Assolutamente si, vorrei anche vedere che stimi solo le persone con cui vado d'accordo su tutto! Personalmente apprezzo sempre la gente che ci mette passione, e di passione se ne vede uscire dai suoi commenti; magari (secondo me) l'identificazione del "nemico" non è del tutto esatta, ma la passione è indiscutibile. L'estate io normalmente sono a Scansano, magari ci vediamo qualche mattina a fare colazione alle Cascine.

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paduvino

circa 12 anni fa - Link

ben detto, grande...

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Francesco Fabbretti

circa 12 anni fa - Link

parto dall'immagine del gallo nero: era un'arma (quella che moi comunemente definiamo stemma) che rappresentava la Lega del Chianti, istisuita nel 1350 circa sotto il patrocinio di Firenze. Era una sorta di avamposto militare diviso in tre "tErzieri" (Radda, Gaiole e Castellina) e serviva a contrastare gli assalti senesi e quelli dello Stato Vaticano (Talvolta quelle dei senesi finanziati e supportati dallo S.V.). La Fascia piiù settentrionale di Castelnuovo Berardenga era in realtà parte dei tre terzieri In quanto collinare alta ed era il primo sbarramento naturale;altresì la conca di Panzano e le sue alture fungecano da luogo ideale per gli arcieri per attaccare dalle alture le truppe nemiche.... a quel punto le truppe Fiorentine davano la "Botta finale". Tutto questo per dire cosa? Mi piacerebbe vedere istituita una D.O.C.G. "Chianti Storico" relativa a quelle Zone, unica che si ouò fregiare del simbolo del gallo nero che, tra l'altro riproporrei nella sua veste originale: Gallo nero su scuso bicolore diagonale giallo e rosso http://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/7/74/Lega_del_chianti.jpg

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Angelo Peretti

circa 12 anni fa - Link

Interessante dibattito quello sui disciplinari e sull'utilizzo delle uve bianche nei vini rossi (pratica che mi vede assolutamente concorde, soprattutto laddove appartenga alla tradizione). Temo tuttavia - e sarei lieto che qualcuno mi smentisse - che con la nuova Ocm vino non sia possibile reintrodurre o introdurre ex novo vitigni a bacca bianca nel disciplinare di produzione di vini rossi (o rosati) a denominazione di origine. Ripeto: sarei lieto se qualcuno potesse smontare questa mia convinzione.

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gianpaolo paglia

circa 12 anni fa - Link

Angelo, sembra una cosa scontata, ma non sono mai riuscito ad avere una risposta da parte di chi lo propone: quale sarebbe l'effetto positivo della reintroduzione delle uve bianche nel Chianti? Una cosa storica (la storia e' sempre giusta?), la copigmentazione (mentre secondo me si dovrebbe comunicare che il colore non e' un paramentro che spiega la qualita' di un vino)?

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pragmatist

circa 12 anni fa - Link

Gianpaolo,la cosa riguarda essenzialmente la sfera emotiva, una cosa non da sottovalutare nella produzione di vino di qualità.

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Angelo Peretti

circa 12 anni fa - Link

@Gianpaolo. Nel Chianti non lo so. Parlando invece del "mio" Bardolino, e quindi di un vino destinato ad un consumo relativamnete rapido (uno-due anni), mi pare di poter affermare che la Garganega (prevista dal vecchio disciplinare e poi rimossa) garantisse un apporto interessante in termini di freschezza. Di recente è stato tentato dal presidente del Consorzio un esperimento con un vigneto molto vecchio, dove dunque la Garganega è presente sin dal tempo del vecchio disciplinare ed è pertanto ancora utilizzabile: ha prodotto un Bardolino utilizzando l'uvaggio tradizionale, inclusa appunto la Garganega. Devo ammettere che in termini di freschezza, complessità e anche relativa longevità del vino il risultato delle prime due vendemmie è piuttosto interessante. Ovvio: questo non vuol dire molto sotto il profilo tecnico, e del resto io non sono un tecnico. Devo dire però che da bevitore sono rimasto parecchio sorpreso. Positivamente.

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Pietro Palma

circa 12 anni fa - Link

Credo sia giusto sperare e lottare per una maggiore definizione e caratterizzazione dell'unicità del territorio Chiantigiano. Anche a me piacerebbe tipicizzare gli uvaggi escludendo le uve alloctone storicamente non presenti, mappare e delimitare vigneto per vigneto ogni Comune del Chianti Classico e poter leggere queste informazioni in etichetta ma... purtroppo siamo in Italia. Da noi è impossibile trovare accordi seri e soddisfacenti che garantiscano solo la qualità senza che essi siano fortemente condizionati e guidati dagli interessi monetari più o meno limpidi di alcune delle parti in causa. L'esempio lampante viene dal Piemonte dove un'iniziativa meritoria come l'indicazione delle menzioni geografiche e la definizione dei cru da poter indicare in etichetta, si è trasformata in un semplice esercizio toponomastico che non riesce a far emergere il valore aggiunto di un cru prestigioso. Per la mentalità italiana classificazioni rigorose sono impensabili, nessuno vuole restar fuori, nessuno si farà mai declassare un vigneto DOCG così come ci saranno sempre secchi rifiuti da parte di chiunque veda la propria posizione di mercato/monetaria intaccata da sensate e sperate modifiche al disciplinare. Moneta batte tipicità, interesse a breve termine sconfigge unicità che, invece, dovrebbe essere la più grande arma per lottare su mercati sempre più agguerriti. Il tutto, come scrive Angelo, inserito in un contesto europeo formato da decine di paesi con interessi divergenti.

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Marco Baldini

circa 12 anni fa - Link

Da Grevigiano mi sento "offeso" da un post che parla del Chianti Classico senza mai menzionare il mio caro paese! Personalmente giudico sbagliato legare la determinazione di un territorio particolarmente vocata alla produzione di vino ad una documentazione, si storica, ma relativa alla costituzione di una lega militare creata per la difesa un confine. Errore “doppio” se si pensa poi che abbiamo a disposizione un documento storico appositamente redatto per chiarire questa materia! Territorialmente parlando, dovrebbe essere a mio avviso logico fare fede al Bando di Cosimo III: il primo documento storico appositamente redatto per indicare una zona di produzione vinicola, già allora vittima di frodi e bisognosa di difesa! Cosimo III indica Spedaluzzo come porta del Chianti. Tutt’oggi quando si percorre la Chiantigiana da Firenze verso Siena, ci si rende subito conto di come il territorio cambi una volta “scollinato” Spedaluzzo, aprendo la vista a dolci colline, torri e Castelli. Che vogliamo fare, ignorare tale documento? Giudicarlo sbagliato?? Perché??? Mescolare il Vino con la guerra, non sembra un errore a prescindere…. Per quanto riguarda il disciplinare, è innanzi ragionevole che questo sia relativamente multivole, come estremamente mutevole è il mercato del vino. Quindi spesso è ragionevole cambiare qualche regola. Sarebbe opportuno ricordare che le vere ragioni che portarono la decisione di includere il Trebbiano nel disciplinare, furono dettate da un mercato che a quel tempo al Chianti chiedeva tanta tanta quantità e semplicità. Oggi queste richieste non ci sono più, ne di semplicità ne, soprattutto, di quantità. Il mio disciplinare ideale: Sangiovese 90% più 10% “libero” per l’annata, 100% sangiovese con basse rese per la Riserva. Semplice, chiaro. Ottima sicuramente l’idea di individuare dei terroir maggiorante vocati alla produzioni di non grandi, ma grandissimi vini. Vedi Panzano con la sua Conca D’oro. E se lo dico io che sono Grevigiano…

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Francesco Fabbretti

circa 12 anni fa - Link

Per dirla tutta la conca di Panzano e le relative alture circostanti rientravano, così come la zona settentrionale di castelnuovo, come avevo ampiamente spiegato, già nella lega del chianti. Non mi sembra che il Bando di Cosimo III neghi quanto da me sostenuto. Basterebbe leggersi i cenni storici di "Vecchie terre di Montefili" il cui "anfiteatro" era una postazione di notevole vantaggio per le armi da lancio e, successivamente, da fuoco; la tenuta sta esattamente alla stessa longitudine di greve da cui il castello dista 4 Kilometri. L'inclusione di Spedaluccio nel Bando mi pare l'unica motivazione del contendere. In Realtà stiamo parlando della stessa zona. E' un po', per rifarmi a un mio post precedente, come il fatto che la definizione di "Arma" muti nome in "Stemma". I monaci sono andati in Borgogna per ricostruire materialmente e umanamente... poi sappiamo quel che è successo. Non ho mai detto che la "lega del chianti" fosse nata per produrre vino, semplicemente la via francigena passava nel bel mezzo del territorio in questione. Chi percorreva quella strada erano pellegrini e non tutti i pellegrini erano morti di fame, anzi... molti nobili ne approfittavano per partire in carrozza e farsi un bel viaggetto da Canterbury a Roma all'insegna delle libagioni e in compagnia di pretty womens. Compravano le cose migliori che trovavano lungo la via stessa e non si creavano il problema di spendere (Tanto poi per chiedere l'indulgenza plenaria bastava compiere il tragitto, confessarsi, lasciare un obolo e pagare un povero morto di fame affinché eseguisse la penitenza raccomandata in vece del destinatario diretto. La via chiantigiana intravide, come tante altre zone, la possibilità di lucrare valorizzando i proprii prodotti.... niente di male, anzi, premio all'ingegno tosco di fronte al quale faccio Chapeau. Lo so che è fantascienza ma nominare quella zona Chianti Storico, limitare l'utilizzo dei vitigni a: Sangiovese (min 85%), Canaiolo (max 5%), Colorino (max 5%), Malvasia (max 5%) sarebbe proprio bello

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Stefano Cinelli Colombini

circa 12 anni fa - Link

Nota storica (da non professionista ma molto appassionato); col cavolo che la Francigena passava in mezzo ai terreni della Lega del Chianti, manco li sfiorava. Dallo stradario del venerabile abate di Canterbury in poi passava dalla lucchesia alla valle dell'Elsa e di lí a Siena, molto ad ovest delle zone da lei considerate. La strada di cui lei parla è la Chiantigiana, divenuta mediamente transitata solo dopo la infausta presa di Siena del tardo '500 quando ormai di pellegrini ne passavano ben pochi. E comunque per lo piú usavano la Cassia, anch'essa quasi tutta ad ovest della Lega del Chianti. Ops, sor Fabbretti, sul vino mi inchino ma la storia Toscana la lasci a noi indigeni.

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Andrea Pagliantini

circa 12 anni fa - Link

La via francigena è come il Chianti, ormai transita in quasi tutta la Toscana a fisarmonica.

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Stefania Pianigiani

circa 12 anni fa - Link

Da "chiantigiana" autoctona, trasferita vicino alla Via Francigena (quale delle tre?), mi vien da sorridere che la viapassasse anche per il Chianti, già mi pare passi da diversi posti lo stesso... ;-)

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Zakk

circa 12 anni fa - Link

Primo passo: lottare affinché Chianti rufina sia soltanto rufina, Chianti colli senesi soltanto colli senesi e via dicendo. Secondo: vitigni internazionali VIETATISSIMI Terzo: classificazione dei vigneti alla francese in village, premier e GC. E quindi eliminazione delle "riserve", al massimo VV a partire dai 50 anni! Panel di degustazione serio, non di certo quello che ammette come Chianti classico certi vinacci che si trovano in GDO Quarto: uve bianche (trebbiano e malvasia) facoltative Quinto: s.o uve di proprietà Sesto: aiutoooooooo, ci sono un paio di marchesi che vogliono picchiarmi :-))))))

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Michele Braganti

circa 12 anni fa - Link

...si cominciasse a prevedere almeno nella riserva l'abolizione di sti' vitigni francesi del [bip] ...sarebbe già un'enorme conquista...!!!...riserva solo da uve autoctone..no scelta facoltativa ma stabilito dal disciplinare di produzione.

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Gabriele Succi

circa 12 anni fa - Link

Michele, quello che dici è giusto, il problema poi salta fuori quando un produttore i vitigni del bip in campo ce li ha... ...conoscendo l'italica furbizia...vuoi che qualcuno poi non li metta? ...come si fa a dire che ci sono o no (senza andare a fare analisi costosissime...)? Un esempio: nel C. Cl. "riserva" supponiamo i vitigni franzosi del bip siano vietati... ...ma nel C. Cl. "annata" sono permessi...e quindi, sta nell'onestà del produttore usarli solo per quella tipologia e non per la riserva... ...va a finire che una vaschettina di Merlot o di Syrah in mezzo al Sangiovese atto a divenire C. Cl. Riserva ci vanno... :wink: Ciao

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Paolo Cianferoni

circa 12 anni fa - Link

Forse il Post è un po provocatorio, le cose sono complesse e comunque se si parla di vino Chianti Classico questo fa bene alla denominazione proprio perchè c'è confusione nella parola Chianti e questo post fa chiarezza. Oltretutto in un periodo di crisi per questo vino. Qualcuno ha domandato a cosa possa servire qualche punto di percentuale di uve bianche (facoltative), come avveniva nel passato e qui rispondo: venti anni fa nel territorio se si raggiungevano gradazioni di 11,5° era un successo, per motivi climatici (temperature fresche e climi piovosi), o perchè le percentuali di uve bianche erano usate in modo massiccio per far più vino (Malvasia e Trebbiano possono essere molto produttive). Questi i veri motivi per cui furono eliminate. Oggi giorno le condizioni si sono ribaltate, le gradazioni sono aumentate di due o tre gradi per motivi di cambiamenti climatici, le attenzioni per fare vino buono sono ormai spesso maniacali. Ecco quindi l'utilità che potrebbe derivare dal ritorno della possibilità di utilizzarne un 2/3%: una sorta di nobile diluizione sopratutto in annate secche e siccitose darebbe un tocco di sollievo a quella eccessiva concentrazione e alcoolicità che molti vini Chianti Classico ormai, oggi, soffrono. Recuperando così da una parte bevibilità e dall'altra argomenti di discussione.

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davide bonucci

circa 12 anni fa - Link

"Sangiovese, che dà corpo e colore fino a 7/10. Canaiolo nero, che conferisce profumo e morbidezza fino a 2 /10, Trebbiano e Malvasia che dà acidità lieve e finezza, fino a 2 /10" Per puro spirito di indagine (giammai di polemica, particolarmente con lo stimatissimo Bonfio), a me la ricetta risulta questa. Il Trebbiano è evidentemente un vitigno importante nel Chianti, da secoli e secoli. Merlot e Cabernet sono due intrusi di recentissima introduzione. Il concetto da esprimere è questo. Si tratta di riportare un territorio alla sua Storia, dopo una breve deviazione modaiola. Costa troppo reinnestare? Ci arriveremo per gradi. Chi mi conosce sa quanto sono ostinato e rimpiscatole... Non ci sono santi, questa cosa s'ha da fare!!! E' una minaccia? E una minaccia! ;)

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Francesco Bonfio

circa 12 anni fa - Link

Veda Presidente, il mio intervento aveva l'obiettivo di rettificare un dato che non è vero e che minava in qualche modo l'intero discorso, che io trovo totalmente condivisibile. Sono d'accordo con lei su tutto. Poi, semmai, si può discutere su quale Trebbiano e quale Malvasia piantare, se autorizzarli per tutte le sottozone o solo per alcune di esse (ricordiamoci che Gambelli sosteneva esserci nel Chianti Classico almeno 9 diverse sottozone), valutare le altitudini, sopprimere i vigneti di fondovalle, limitare o cancellare gli alloctoni e tanti altri aspetti che sono sì importanti ma certamente successivi al vero problema: il nome Chianti concesso a mezza Toscana. Questa secondo me dovrebbe essere la mdre di tutte le battaglie. Buona Pasqua.

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pragmatist

circa 12 anni fa - Link

Sono ottant'anni che questa disputa va avanti ! Il buonsenso non c'entra niente: è ovvio che gli interessi economici in ballo e la voglia italica di non scontentare nessuno impedirà sempre ogni azione restrittiva..."sopprimere i vigneti di fondovalle, limitare o eliminare gli alloctoni"...ma mi faccia il piacere, tuttalpiù ci potrebbe pensare il mercato, ma anche se fosse così fosse ricordiamoci che in questo momento il chianti gode di maggiore salute del chianti classico e quindi vedo poco realismo in certi discorsi.

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Daniele Tincati

circa 12 anni fa - Link

@Paolo: come al solito hai fatto un'analisi precisa del problema. Ritrovare bevibilità in molti casi non guasterebbe. @Francesco: il Chianti al Chianti. Non vedo perchè in certi posti si possa scrivere Colli.... e in Toscana si debba mettere la parola Chianti davanti a tutto, vedi per esempio Colli Senesi o Rufina. Hai perfettamente ragione, il Chianti è una zona ben precisa, limitiamo l'uso del nome solo a quella. E magari l'istituzione dei Cru come è già avvenuto per Barbaresco e Barolo non guasterebbe, magari con meno confusione, come fanno in Borgogna. Saluti.

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Domi

circa 12 anni fa - Link

Scusate, leggo spesso incuriosita questo blog, lavoro in agricoltura ma non essendo enologa spesso mi perdo nelle elucubrazioni mentali dei cultori del terroir e a volte forse non colgo tutte le motivazioni protezionistiche che stanno dietro a alla strenua difesa dei disciplinari di produzione di vino. Premetto che sono d'accordo sul fatto che i vitigni internazionali debbano uscire dal disciplinare di produzione di Chianti e C. Classico. Credo che il disciplinare debba essere piu' severo, al fine di rendere piu' riconoscibile il prodotto "Chianti" sul mercato e la sua connessione con un'area di produzione probabilmente da rivedere e "ri-zonare". Credo allo stesso tempo che i consorzi di tutela debbano agire per una migliore promozione e un controllo, se possibile, di cio' che esce effettivamente sul mercato con il nome "Chianti". Ma penso anche che la riduzione dell'area di produzione sara' uno scoglio enorme, se questa e' la direzione che i consorzi intendono prendere. Del resto, se fossi un viticoltore che ha comprato in passato ettari o diritti di reimpianto come"chianti", scusate, ma non vorrei perdere cio' che ho pagato profumatamente. Credo poi che ci sia qualcosa di profondamente sbagliato nel pensare di proporre l'espianto dei vitigni internazionali, come ho visto scritto in alcuni commenti qua sopra. Per quel poco che ricordo dai mie anni di studio, produrre uva in un'area di produzione tipica non obbliga a produrre esclusivamente il vino di quell'area. Ergo, anche se ricado nella zona Chianti, parte della mia produzione posso destinarla al doc o Docg chianti, e parte scelgo di destinarla a uno o piu' IGT. Funziona cosi', no? Ecco, allora per qual motivo dovrei privarmi del patrimonio (anche economico) di alcuni vitigni non autoctoni che stanno benissimo nel mio IGT? Ma soprattutto, per quale motivo qualcuno dovrebbe impedirmi di farlo, imponendomi quali varieta' coltivare e quindi non solo come produrre il mio "Chianti" (giustissimo) ma anche impormi di non produrre nient'altro che Chianti? A volte penso anche che ci sia dell'invidia nei confronti di alcuni vini meravigliosi che si producono in Toscana e che raramente sono riproducibili in altri luoghi, anche con la giusta dose di sangiovese, cabernet sauv. e merlot, nonostante questi vitigni stranieri non siano stati li' da quattrocento anni. Vi chiedo, sinceramente, non c'e' spazio, in Toscana e anche nello specifico nella zona piu' o meno allargata del Chianti, per una produzione diversificata, di buonissimi Chianti e buonissimi blend anche con vitigni internazionali a patto che non siano venduti come Chianti?

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SebastianoCC

circa 12 anni fa - Link

Ben detto, Domi. Hai le idee molto più chiare di tanti altri.

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Daniele Tincati

circa 12 anni fa - Link

Non potendo rispondere al commento del Sig. Sebastiano del 11 aprile, scrivo sotto. Ha perfettamente ragione, sta accadendo anche in altre parti. Faccio presente che anche la Sig.ra Foradori, bandiera mondiale del Teroldego, è uscita dal consorzio e dalla denominazione, passando tutti i vini ad IGT.

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gianni mori

circa 8 anni fa - Link

Sangiovese, Trebbiano e Canaiolo rappresentano l'essenza indispensabile del Chianti classico,evitando l'intrusione di altre uve selezionate ed impiegate nella vinificazione solo per soddisfare i gusti di imprecisati palati stranier la cui cultura enogustativa lascia molto a desiderare. Non lasciamo la strada vecchia dei nostri vecchi, conosciuta ed apprezzata da secoli, per imboccare strade destinate esclusivamente allo scopo di trarre vantaggi di moneta, ma non di qualità di prodotto.

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