Da dove veniamo? Chi siamo? Ma soprattutto: il Valcalepio lo beviamo? (Una mini-orizzontale)

Da dove veniamo? Chi siamo? Ma soprattutto: il Valcalepio lo beviamo? (Una mini-orizzontale)

di Redazione

Calvin Kloppenburg, classe 1994, giornalista pubblicista e sommelier Ais, di Bergamo. Ci sta già simpatico perché – oltre a saper scrivere – serve coraggio per esordire parlando di Valcalepio. E lui ce lo ha. [a.m.]

Se nei suoi viaggi in giro per il mondo fosse capitato a Bergamo, Paul Gauguin non avrebbe mai bevuto Valcalepio. Quando il pennello francese dipingeva, merlot e cabernet stavano agli orobici come l’artista alla Polinesia: corpi estranei. Gauguin però è poco più di un ricordo delle lezioni di arte al liceo e la molla per la riflessione che segue è stata un’altra.

«Da quelle parti (in bergamasca, nda) è già tanto trovare un vino organoletticamente corretto»: da quando uno sconosciuto mi ha affidato questo giudizio, la mia reazione ha cambiato forma nel tempo: dall’indifferenza al dubbio, dalla curiosità all’insofferenza. Da bergamasco, mi son promesso di verificare. Sono andato in un’enoteca e ho comprato i Valcalepio Riserva che c’erano, ne ho raccolti un paio in cantina (situazioni che, probabilmente, si verificano solo se abiti a Bergamo), ho chiamato due amici e uno di loro ha preparato la tavola per un’orizzontale. Al buio.

La batteria di degustazione

La batteria di degustazione

Annata di riferimento, 2017: gelata a fine aprile, maggio come se fosse marzo, blistering hot summer e autunno mite. Avendo avuto difficoltà a reperire sette 2017, ho accettato due ospiti: una 2015 e una 2018. Prima di passare alla degustazione, facciamo un passo indietro per inquadrare storia, dimensioni e direzioni del Valcalepio.

Pensi al taglio bordolese in Italia e la prima lucina ad accendersi non è quella del Valcalepio. Nemmeno la quarta. Eppure, fa parte del club delle denominazioni nostrane unicamente giocate sulla famiglia ampelografica della Bordeaux rossa e l’unica (spero di non prendere un granchio) a prevedere esclusivamente merlot e cabernet sauvignon senza la possibilità di utilizzare alcun complementare.

Valcalepio DOC (Mappa: Quattrocalici)

Valcalepio DOC (Mappa: Quattrocalici)

Il fatto che il bordolese orobico sia nato come proposta di territorio – una massa critica e compatta con cui presentarsi sul mercato – avrebbe potuto favorire la sua conoscenza. Eppure, c’è qualcosa che l’ha reso un vino taciturno. La bergamasca vitivinicola è rimasta a lungo ancorata a una o due ere enologiche fa, tra retaggi contadini e un ritardo ad attuare (ma non a credere) nella qualità. A completare il quadro, ci ha pensato una certa debolezza commerciale fuori dai confini provinciali. Se poi consideriamo che nemmeno la ristorazione locale, per molti anni, ha amato il “suo” vino, abbiamo pure la cornice. E se ci spostiamo al presente, con la disaffezione verso il taglio bordolese, abbiamo anche il museo.

 

Chi siamo?

Per la produzione del rosso, al merlot è riservata una percentuale tra il 40% e il 75%, mentre al cabernet sauvignon dal 25% al 60%. L’areale di produzione si sviluppa su una superficie collinare e pedecollinare che oscilla tra i 200 e i 550 metri di altitudine, delimitata dai fiumi Adda (ad ovest) e Oglio (ad est) e compresa tra la Pianura Padana (a sud) e le Prealpi Orobiche a nord. In generale, prevalgono terreni di natura argillosa, con substrati costituiti principalmente da calcare, marne calcaree e più raramente da arenarie. I diversi sottosuoli rintracciabili nell’arco collinare sono riassunti dalla filastrocca delle “sette terre”: Sass de Luna, Flysch di Pontida, arenarie, maiolica, Marna di Bruntino, torbiditi, Volpinite. Il vigneto orobico conta circa 650 ettari, più un’altra cinquantina non censita. Dei 650, più di 200 sono a merlot e circa 150 a cabernet sauvignon (il Moscato di Scanzo, l’autoctono bergamasco più conosciuto, conta solo 44 ettari e si piazza dopo lo chardonnay, 73 ettari).

La Val Serradesca (Scanzorosciate) vista dal Colle dei Pasta

La Val Serradesca (Scanzorosciate) vista dal Colle dei Pasta

Da dove veniamo?

Un’estensione in nessun modo paragonabile a quella di quasi cent’anni fa: nel 1929, i primi 9 Comuni per superficie vitata totalizzavano quasi 1100 ettari. Oggi, gli stessi, nemmeno 300. Per trovare testimonianze (sbiadite) di quel passato, basta fare una passeggiata sui colli e contare i terrazzi incolti, i roveti, i boschi radi che alternano i frammenti di collina abitati da alberi più fitti e anziani, che i nonni e alcune vecchie fotografie ci ricordano aver ospitato vigneti. Le fonti storiche raccontano che le comunità locali avessero costruito un legame profondo con la vite già dal XV secolo, quando la produzione eccedeva in fabbisogno e il vino veniva commercializzato anche oltre gli attuali confini provinciali. Nel XVII secolo, la vite «si coltivava da aversene vino il triplo del bisogno» (Ignazio Cantù, Bergamo e il suo territorio, 1859), fino a che, nel Settecento, prese piede l’allevamento del baco da seta e la coltivazione dei gelsi, strappando sempre più terra alla vigna.

Perché proprio merlot e cabernet? Il famoso proverbio “Moglie e buoi dei paesi tuoi” non disciplina che lo debbano essere anche le varietà con cui si fa il vino. Così i viticoltori bergamaschi, nel passare dal vigneto arlecchino al vigneto monocolturale (quindi monovarietale), ne approfittano per selezionare i vitigni da impiantare in base al successo commerciale che riscuotevano ai tempi: la bergamasca strizza l’occhio all’esotismo.

Motore della ristrutturazione vitivinicola può essere simbolicamente considerato Tre Valli, primo taglio bordolese realizzato dalla Cantina sociale di San Paolo d’Argon nei primi Anni ’60, che in poco tempo si afferma sul mercato locale e contribuisce a convincere gli agricoltori a adottare le varietà utilizzate. Un’eccezione, in un panorama in cui regnavano vigne miste (un patrimonio ampelografico ampio e curioso, in gran parte andato perso) vinificate in meltin’ pot con rese himalayane, come da tradizione.

Materiale vitato, però, non sempre di prima scelta: nel 1972, Luigi Veronelli scriveva su Panorama che «sino a qualche anno fa, la Bergamasca era per i vivaisti tradizionali terra di scarico delle produzioni peggiori». A segnare un cambio di rotta nella struttura agricola orobica è l’abolizione della mezzadria nel 1964, che completa il passaggio alla coltivazione diretta e favorisce la nascita di nuove realtà produttive, guidate dal Consorzio nella formazione tecnica e nell’aggiornamento delle attrezzature. Importante anche il ruolo giocato dalle cantine sociali, che hanno consentito di non disperdere gli sforzi dei viticoltori che hanno resistito al richiamo del boom industriale, affermatosi da queste parti con grande impatto. Da comparse post-fillosseriche, i due elder brothers bordolesi firmano una scalata che nel 1976 (anno di istituzione della DOC) li incorona uniche varietà rosse autorizzate per poter legare l’agognata fascetta al collo della bottiglia.

Nel 1993, l’allargamento della denominazione d’origine ai colli occidentali. Tra gli Anni ’90 e i primi Duemila, ad alimentare la crescita del tessuto vinicolo bergamasco è rilevante il ruolo degli industriali, che reinvestono nei vigneti di collina i proventi delle fertili fabbriche di pianura. Lo stesso mondo della piccola e media industria che nella sua affermazione, qualche decennio prima, ha rapidamente e profondamente riconvertito economia, approccio culturale e paesaggio locale.

Il paesaggio vitato a Pontida negli Anni ’60. Qui prevaleva la barbera

Il paesaggio vitato a Pontida negli Anni ’60. Qui prevaleva la barbera

La preistoria del vigneto bergamasco parlava però altre lingue ampelografiche. Secondo i dati del catasto agrario del 1929, le varietà più diffuse in collina e montagna erano schiava, marzemino, bonarda, negriera (negrara) e imberghem (così è conosciuta la franconia in bergamasca, oggi presente su 20 ettari e capace, nelle annate migliori, di dare grandi liquidi). Fonti precedenti parlano anche di groppello, pignola, rossara, moscato rosso e giallo. Nel 1950 Bruno Marangoni, in Note di viticoltura bergamasca, rilevava la presenza (oltre alle già citate) di barbera, merlot, raboso veronese, sangiovese e albana. Un altro mondo, insomma. Proprio a partire dal 1950, la Camera di Commercio incentivò l’impianto di merlot, barbera, incrocio Terzi, marzemino gentile e schiava grossa. Poi, la “grande rinegoziazione” degli Anni ’60 e ’70. Una riscrittura che non ha tenuto conto di alcuni fattori.

 

Dove andiamo?

Le voci dal campo riportano infatti che il cabernet non si trovi sempre a suo agio da queste parti. A macchia di leopardo fatica ad esprimersi e, negli ultimi anni, si sono acutizzati i danni causati dal mal dell’esca (favoriti anche da potature in passato poco rispettose). Al punto che una parte del mondo produttivo ha iniziato a chiedersi se il matrimonio tra merlot e cabernet dovesse essere onorato sia in salute sia in malattia. Una linea (oggi pare maggioritaria) confermerebbe il sacro vincolo, un’altra sosterrebbe i menage a trois. Ossia di “personalizzare” il taglio con una percentuale a vantaggio di varietà dal legame più longevo con il territorio. Un po’ di nostalgia? Volontà di distinguersi sul mercato? Credo entrambi, e probabilmente la scelta è estranea ai capricci del cabernet. La proposta è emersa dall’ultima ipotesi di modifica del disciplinare datata 2021, in cui si proponeva un 15% per “il base”, con la riserva (per cui si puntava alla Docg) ancora ad appannaggio di merlot e cabernet. L’iter sembra essere in sospeso, anche se si parla del 2023 come anno cruciale per venirne a capo o sospendere l’idea. Vista la scarsa efficacia dei rimedi fitosanitari sul cabernet, sono in crescita i reimpianti con varietà che fino a pochi anni fa non hanno mai affondato una radice a Bergamo come petit verdot (oggi su più di 7 ettari), rebo (4,5 ettari) e syrah (due produttori), con l’ipotesi di disciplinarli.

Tutti segnali a raccontare un territorio che, oltre a misurarsi con un desiderio di cambiamento dalla forma ancora indefinita, fatica a riconoscersi in un’idea (crisi di identità?). Da segnalare, inoltre, che sono numerosi gli interpreti che producono taglio bordolese ma escono sul mercato come Bergamasca Igt: quando i “vado per la mia strada” iniziano ad essere tanti, è lecito domandarsi il perché. Il brulicare di idee mutevoli testimonia però che ci troviamo probabilmente davanti al periodo più dinamico che il territorio abbia vissuto negli ultimi decenni. Sicuramente anche per merito degli interpreti più innovatori e provocatori che stanno attirando l’attenzione (molto più dei produttori di Valcalepio) su queste colline negli ultimi anni, e che hanno sollevato il velo di Maya sulla viticoltura bergamasca. Un fermento che alimenta la mia fiducia verso il futuro di questa zona.

 

L’assaggio

Ho scelto produttori che lavorano con diverse aree (colli orientali, colli occidentali, Val Cavallina e terreni morenici pedecollinari) e dimensioni (il leader quantitativo e un piccolo storico vignaiolo). Tra i sette campioni, non sono mancati i punti di contatto. Nonostante il cabernet sia quasi sempre prevalente nel taglio, la frutta si esprime in genere su colori più scuri, con un merlot dal contributo solare e boscoso che riesce a raddrizzare il sorriso di un cabernet più austero. Vini più olfattivi che gustativi, a cui serve un fitto dialogo con l’ossigeno per esprimersi. Il tannino non marca in grassetto, pur sfociando a volte in impressioni verdi; l’uso dei legni non è mai invadente o fuori fuoco; la struttura non supera mai il medio corpo e si declina in espressioni differenti in concentrazione. I toni erbacei talvolta amaricanti o poco raffinati, la gestione delle estrazioni e il rapporto con l’ossigeno si dimostrano punti su cui lavorare, e per cui mi auguro che prosegua un confronto che possa favorire lo sviluppo stilistico e la consapevolezza tecnica dei produttori. A mio parere, il livello qualitativo non giustifica uno scetticismo disfattista.

Il 2017 secondo i produttori: inverno secco e rigido. febbraio piovoso, da marzo a metà aprile giornate miti e asciutte, poi brusco calo delle temperature e, a fine aprile, gelate notturne che non risparmiano danni. Maggio fresco e piovoso. Risalita delle temperature tra fine maggio e inizio giugno. Estate molto calda smorzata da qualche temporale, settembre che alterna belle giornate a qualche pioggia. Ottobre caldo e asciutto. Una buona annata partita col piede sbagliato.

I vini

Castello Di Grumello, Il Calvario 2015
Cab 60%, merlot 40%. Dal vigneto “Calvario”, 330 m slm, sulla sommità dello “sperone” di Grumello (45°38’41.4″N 9°51’53.2″E). Marna argillo-calcarea. Barrique per 14 mesi. Vol 14,5%. 30 euro in enoteca.
Buona gestione del calore, che incide comunque in termini di finezza. Granato pieno e vivo che si traduce al naso in un attacco di rosa appassita, vaniglia e cioccolato fondente. Amarene mature, confettura di mirtilli e more aprono a sbuffi balsamici. Cuoio, cannella e pepe nero sullo sfondo. Bocca focosa che prova a strizzare l’occhio all’equilibrio, scorre ricordando toni di confettura e di tostatura un po’ bruciata. Tannino che si distende sul finale. A metà batteria la certezza che si trattasse del primo intruso: il 2015. 87

Angelo Bertoli, Montecroce 2017
Cab 60%, merlot 40%. Tagliuno di Castelli Calepio (45°38’35.1″N 9°54’18.2″E), 280 m slm. Terreni collinari e pedecollinari siliceo-argillosi. Barrique per 24 mesi. Vol 14,5%. 19 euro in enoteca.
Quel tipo tenace ma timido che si sveglia quando la festa è finita. Granato con riflessi rubino che rilanciano un occhio stanco. Introverso tra riduzione e chiusura. Un lungo scambio con l’ossigeno lo premia. Un nucleo terroso e balsamico: tabacco, radice di liquirizia, richiami mentolati e rocciosi. Quindi la frutta, con arancia essiccata e carruba, durone e mora mature. Note di freschezza riconducibili al peperone. Una virgola sbavata di cartone e bagna al rum in coda. Sorso di tensione che si muove tra erbe secche, arancia rossa e peperone. Chiude sulla spezia e ciliegia sotto spirito, con un tannino che avvolge e lascia traccia di sé. Persistenza. 87

Castello Degli Angeli, Barbariccia 2017
Cab 55%, merlot 45%. Carobbio degli Angeli, vigneto da 11mila ceppi per ettaro (45°40’13.1″N 9°50’02.9″E) in forte pendenza. Esposizione sud-ovest. 310 m slm. Terreni argillo-sabbiosi ricchi di scheletro, sottosuolo calcareo-marnoso. Barrique per 36 mesi. Vol 14%. 34 euro in enoteca.
Profondo e cupo, atmosfera di chiesa. Chiusura che lascia spazio ad austerità e balsamicità. Legno di sandalo e incenso. I minuti veicolano più espressività: il frutto è nero e maturo, il peperone è in confettura. Il pepe nero accompagna richiami ad alloro e menta. Pellame e salame tra le righe. Geranio appassito, stecca di liquirizia. La bocca è serrata, giocata sul frutto maturo che sfuma in sensazioni di torrefazione. Compattezza che, però, paga in slancio e grip. Finale pepato. 87

Pecis, Rosso della Pezia 2017
Cab 60%, merlot 40%. Vigneto di cabernet a San Paolo d’Argon (45°41’12.9″N 9°48’53.7″E), merlot a Cenate Sotto (45°41’34.8″N 9°49’38.9″E). Terreni pedecollinari alluvionali a prevalenza limoso-argillosa. 240 m slm. Barrique usate e nuove per 24 mesi. Vol 14,5%. 18,5 euro al Mercato FIVI.
Si cambia registro già dal colore: porpora che sfuma nel rubino. Profumi definiti, bocca spigolosa: lo riberrei tra qualche anno. Sugli scudi la violetta. Toni centrati di mora, ciliegia e prugna fresche, fragola in confettura su uno sfondo di prato bagnato. La liquirizia, stavolta, si declina nella treccia. Apostrofi di eucalipto e incenso a fine olfazione, insieme a ricordi rocciosi. In bocca è agile, snello, duro; si sviluppa su un frutto coerente al naso, sulla morositas. Tannino amaricante. 86

Cantina Sociale Bergamasca, Vigna Del Conte 2017
Cab 60%, merlot 40%. Torre de Roveri, singola vigna (45°42’12.1″N 9°46’11.2″E) su terreno argilloso con substrato calcareo a 280 m slm. Tonneaux per 36 mesi. Vol 13%. 13 euro in GDO.
Granato tenue con riflessi rubino. La riduzione esalta sensazioni di prato che coprono il frutto ad eccezione di una pungenza che ricorda il peperone. L’ossigeno introduce un quadro di erbe secche che racchiude violetta, frutti rossi in caramella e scorza di arancia rossa. Cannella, un’eco tostato. Bocca agile dall’acidità agrumata e aguzza, che porta in dote sensazioni erbacee e di ribes. Ritorni di bocca rustici. 82

Tosca, Bemù 2017
Merlot 70%, cab 30%. Pontida, ronco Bema (45°44’02.9″N 9°30’41.7″E): poco meno di mezzo ettaro in forte pendenza. Esposizione sud. 350 m slm. Argilla su Flysch di Pontida. Leggera surmaturazione. Tonneaux per 24 mesi. Vol 14,5%. 27 euro in cantina.
Beva, dove la materia è slanciata da un godevole spunto salino, ferroso, sanguigno, che alza il ritmo e chiama saliva. Risultato che devia dallo schema visto sinora, da stappare senza aspettare molti anni. Porpora fitto che vira verso il granato. Naso profondo ma dalle vibrazioni pacate, coi legni in copertina gestiti educatamente. Esordio di vaniglia, cuoio e treccia di liquirizia su frutta scura surmatura, seguito da una sensazione ferrosa e impreziosito da una corrente mentolata. Peperone candito e un quadro floreale appassito. Paprika e pepe nero, sottobosco. Il sorso è ampio, dal tannino lieve dovuto anche alla prevalenza del merlot. Buon governo del Sole, freschezza in minuetto. Toni fruttati maturi per terminare con ricordi di caramello e marasche sotto spirito. Discreta persistenza, primeggia la batteria. 89

Medolago Albani, I Due Lauri 2018
Cab 50%, merlot 50%. Entratico (45°42’40.2″N 9°52’06.8″E). Esposizione sud, 360 m slm. Argilla-calcare. Barrique per 24 mesi. Vol 13,5%. 12 euro in GDO.
Rubino vivace, comanda per leggerezza. Spontaneità vinosa, mandorla, ribes, scorza di arancia rossa e caramella ai frutti di bosco. Sfondo di erbe officinali e ricordi tostati. Bocca succosa, giocata sul frutto rosso fresco e le erbe, con la vivacità che si perde al momento dell’allungo acido. È il 2018. 84

 

Calvin Kloppenburg

33 Commenti

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Stefano Lorenzi

circa 12 mesi fa - Link

Bellissima analisi, precisa e a tratti " spietata" come deve essere. Devo dire che le cose si stanno muovendo in fretta e sembra verso una strada buona e che punta a riacquisire un ' identità. La diffidenza verso la Valcalepio e i suoi vini deve appartenere al passato. Molte realtà ora sono votate alla qualità e alla ricerca dell' identità zonale. Il Cab vero ha problemi, ma si sta cercando di mantenerlo e valorizzarlo nelle sottozone dove meglio viene, allo stesso modo si cerca di valorizzare i 2 autoctoni Merera e Franconia. Il percorso è lungo, ma affascinante e la cosa che emerge sempre più è la longevità di questi vini e la Masterclass tenuta da Filippo Bartolotta a #vinoenprimeaur Bergamo lo ha ancora una volta dimostrato.

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Samalliot

circa 12 mesi fa - Link

Vero c'è molto potenziale qui ma ci sono anche grossi ostacoli, i più grandi sono 2: 1 Qui i vigneti attualmente in produzione sono letteralmente strappati all'urbanizzazione ( la scuola elementare di Pontida come tutte le villette a schiera circostanti sono edificate sui terrazzamenti che fino agli anni 70_80 erano ancora vitati ora invece ulivi e fotigna... così giusto per inquadrare la situazione) 2 forti problematiche fitosanitarie ( esca ma anche FD), causa e possibile cura è la residuale presenza di piccoli appezzamenti familiari per autoproduzione che purtroppo avendo i vignaioli un età media molto avanzata vengono progressivamente abbandonati( senza estirpare) per mancanza di ricambio generazionale. Infine segnalo presenza nell'ampelografia orobica sia hobbistica che professionale: Carménère Malbec Pinot Nero Riesling Incrocio Manzoni bianco Piwi vari

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Stefano Lorenzi

circa 12 mesi fa - Link

Beh Samaliot di certo, come in tante zone agricole italiane, anche più pregiate della Valcalepio, una su tutte il Parmigiano, diciamo che la politica di sviluppo locale e nazionale non ha considerato la terra agricola un valore reale e futuribile, ma hanno preferito prostituirsi alla piastrella, al calcestruzzo e all' alluminio anodizzato, detto questo, per quanto possibile la Valcalepio nello specifico, sta cercando di invertire la tendenza....come? Ad esempio recuperando le aree agricole abbandonate e ridestinandole a colture utili fatte in modo bello e produttivo e non necessariamente deve essere vite.... I piccoli appezzamenti familiari( che sparito il decano verrebbero abbandonati), grazie agli industriali locali " citati" nell' articolo, verranno gestiti in maniera conforme e mirata per una risoluzione dei problemi elencati... Si chiama Photinia( n.d.r.)😉

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Calvin Kloppenburg

circa 12 mesi fa - Link

Ciao Samalliot. Negli ultimi anni si è svegliato anche un certo fermento nel recuperare vigneti abbandonati. Per chi inizia a produrre, è probabilmente il metodo più sostenibile e "immediato" per condurre una vigna, a parte l'affitto dei micro appezzamenti familiari. Certo, ci vuole una fatica bestia, pazienza e un po' di culo per trovare vigne che restituiscano frutto, ma si fa un favore grande grande al territorio imho e ne vengono fuori storie molto belle. In quanto alle varietà, malbec e carmenere orobici mi sfuggono, credo siano patrimonio dell'hobbistica. Incrocio manzoni lo producono in tanti e dà più soddisfazione dei Valcalepio bianco. Tradizionale anche il moscato giallo specie nei dintorni di Torre de Roveri, da segnalare incrocio terzi e il merera citato da Stefano. C'è ancora chi fa marzemino e schiava. Quando dici Piwi penso alla famiglia Sala: soprattutto a loro mi riferisco quando cito gli interpreti più innovatori e "provocatori". Da quando Alessandro si è fatto conoscere, le cantine bergamasche che hanno iniziato a impiantare Piwi si moltiplicano. Per ora piccole estensioni.

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Tommaso

circa 12 mesi fa - Link

Gran nell'esordio. Pezzo godibilissimo (io forse asciugherei un po' lo stile), analisi interessanti e ben presentate ed anche gli assaggi son ben raccontati. Esordio di grande livello!! Chapeau!!! E benvenuto Calvin!!!

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Calvin Kloppenburg

circa 12 mesi fa - Link

Ciao Tommaso, sono emozionato, grazie dell'accoglienza ;)

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Andrea

circa 12 mesi fa - Link

Da bergamasco che non beve quasi mai questi vini trovo che l'unico piacevole sia il Kalos. Comunque vini di cui si piò fare tranquillamente a meno e non vedo motivo per proporli al di fuori del territorio d'origine

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Stefano Lorenzi

circa 12 mesi fa - Link

....mah @Andrea la premessa che non bevi/assaggi mai questi vini, fa capire che non li conosci e soprattutto non ne conosci le recenti evoluzioni qualitative e soprattutto stilistiche. Poi se a te piace il Kalos, ci mancherebbe, ma non è esattamente il vino che identifica il territorio. Detto questo credo che nessun territorio meriti un giudizio così chiuso mentalmente....

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Nic Marsél

circa 12 mesi fa - Link

Espressione o meno del territorio anch'io qualche era geologica fa subii il fascino del Kalos, anche se poi del Calepino compravo e bevevo sempre e solo i metodo classico. Ricordo buoni prodotti dell'azienda Collina, più il base che la riserva ma è passato troppo tempo. Sono stato anche da Tosca ai tempi della loro prima vendemmia e mi fa piacere leggere dei loro progressi. Secondo me il Franconia meriterebbe più interesse da parte dei vignaioli. Attendo ora un report altrettanto dettagliato sulla doc Colleoni :-)

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Calvin Kloppenburg

circa 12 mesi fa - Link

Dici "Franconia" e a Bergamo pensi agli Angelo: Bertoli e Pecis. I loro vini sono agli antipodi ma entrambi hanno il merito di aver conservato la varietà da cui i genitori e i nonni producevano "òl vì de bif dòma à la dumìnica" (il vino delle feste). Il Franconia merita più interesse? Imho assolutamente sì.

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Stefano Lorenzi

circa 12 mesi fa - Link

...e non solo la Franconia...mai sentito parlare della Merera?😉

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andrea

circa 12 mesi fa - Link

Non lo bevo perché in generale i tagli bordolesi non mi fanno impazzire. Preferisco decisamente altri vini. Anche leggendo l’articolo non mi pare vi siano vini da strapparsi i capelli. Poi tutto IMHO

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Stefano Lorenzi

circa 12 mesi fa - Link

Beh la invitiamo a fare un giro e a riprovarli se è un pò che non assaggia qualcosa....😉

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Ziliovino

circa 12 mesi fa - Link

"serve coraggio per esordire parlando di Valcalepio" e serve il fisico per berselo ed anche per leggersi tutto l'articolone... io ormai il fisico non ce l'ho più, andate avanti voi. Anche perché aspettando la rinascita dell'enologia bergamasca si rischia di vedere prima il boom dei viognier libici...

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Romildo Locatelli

circa 12 mesi fa - Link

Eppure, se dal nickename è dallo stile di scrittura ho capito chi scrive, non più tardi di un 2 3 anni fa hai apprezzato i vini bergamaschi fatti in quel di Pontida. Ma sparare fango sul vino bergamasco è sport locale... 15 anni fa eravate in tanti, adesso siete rimasti in pochi boomer però a farlo...

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ziliovino

circa 4 settimane fa - Link

questo commento me l'ero perso... non mi fraintenda, da bergamasco sarei il primo a gioire in un exploit dei vini di queste terre, anche perché la mia passione è nata in queste cantine... ma quando il paragone lo si fa sconfinando, sia con altri italiani che esteri il confronto è ancora difficile da reggere. Ed in questi ultimi 15/20 anni di territori italiani che hanno fatto grandi passi avanti, qualcuno anche balzi, ce ne sono parecchi... ahimè non la bergamasca. E questo è sotto gli occhi di tutti i grandi appassionati di vino con cui mi sono confrontato fino ad ora. Credo che questo sia molto lontano dallo "spalare fango", anche perché se bastano un paio di commenti su Intravino per coprire di fango l'onore dell'enologia bergamasca non stiamo messi prorpio bene. Non ho ben capito chi crede che io sia, comunque... il mio cognome è Zilioli, magari così si evitano fraintendimenti.

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Gabriele

circa 12 mesi fa - Link

E' la storia di molte doc italiane, no? bello, rappresentativo il pezzo!

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Ziliovino

circa 12 mesi fa - Link

E comunque i Valcaleppi non vanno più di moda neanche qui in bergamasca, adesso si bevono trent'euri di Piui anforati alla Grauner, dalla collina dietro Oslavje, ah no, scusate, Scanzo...

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Nic Marsél

circa 12 mesi fa - Link

Non avessero quei prezzi i vini dei fratelli Sala sarebbero anche interessati Evidentemente quel posizionamento di mercato li premia. E comunque non mi sembrano prodotti in concorrenza con ciò che va per la maggiore nella denominazione.

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Stefano Lorenzi

circa 12 mesi fa - Link

...non capisco il riferimento ad Andrea ed Alessandro. Loro giocano un " campionato " tutto loro. Non sono gli unici a coltivare Piwi e lo fanno molto bene, ma la il taglio bordolese bergamasco ha una storia sua e molto antica. Ora si sta rinnovando ed è ora di finirla di credere che in Valcalepio non si faccia qualità.....

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Ziliovino

circa 12 mesi fa - Link

l'unica 'smossa' che ho visto negli ultimi dieci anni in zona Valcalepio, e soprattutto di cui qui e là si è parlato, anche extra-provincia, è di uno che si è messo a fare piui a qualche centinaio di metri da una Docg... "lo fanno molto bene"? ne sono contento, sicuramente il mercato darà loro ragione, ma se questa è la rinascita del Valcalepio, stiamo freschi. ecco il perché della citazione. La qualità è migliorata? indubbiamente, i vini difettatissimi assaggiati 15-18 anni fa mi sembra siano spariti, ma se si fanno i confronti col panorama nazionale o internazionale ragazzi...

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Stefano Lorenzi

circa 12 mesi fa - Link

Mah....ha detto tutto lei. Nessuno mai e neanche i fratelli Sala identificano la rinascita della Valcalepio con loro.... È lei ad avergli dato questa " collocazione". Sono dei BRAVISSIMI produttori bergamaschi che fanno vino buonissimo in un certo modo. Forse non lo sa, ma la bergamasca tutta coltiva e vinifica Piwi da tanto tempo, la stessa cantina dove lavoro io ga dei Piwi da 10 anni.... Ma questo esula dal taglio bordolese bergamasco, che si sta muovendo e nella direzione della qualità. Assaggiateli e gjudicherete.....

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Stefano Lorenzi

circa 12 mesi fa - Link

Bisognerebbe fare una bella cieca per giudicarli....troppi preconcetti su questa denominazione o tipologia di vini, espressioni alcuni invece di un grande territorio

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Nic Marsél

circa 12 mesi fa - Link

Nove Lune magari gioca un altro campionato, Pietramatta invece non utilizza solo piwi ma anche taglio bordolese e moscato di Scanzo, eppure esce come igp

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Stefano Lorenzi

circa 12 mesi fa - Link

Si.....ma ripeto....nessuno dice il contrario, ma Andrea è 1 degli interpreti che sta lavorando molto bene nella bergamasca

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Vinogodi

circa 12 mesi fa - Link

...una domanda da un giovane inesperto...ma sono buoni? Prezzo a parte, che e' un particolare irrilevante se qualitativamente all'altezza...

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Ziliovino

circa 12 mesi fa - Link

ecco trovato il ringer giusto x tua prossima bordolata x indigenti, mi raccomando facci sapere come va... :-)

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Stefano Lorenzi

circa 12 mesi fa - Link

Beh...ce lo deve dire lei, nessuno afferma che siano TUTTI buoni, ma negli ultimi anni stanno uscendo tante cose buone

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bevo_eno

circa 12 mesi fa - Link

il problema del Valcalepio è non avere un Marketing valido come quello del Lugana, la qualità media del prodotto è buona, la comunicazione invece è indietro cent'anni.

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Stefano Lorenzi

circa 12 mesi fa - Link

...anche su quello ci si sta organizzando

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Damiano

circa 12 mesi fa - Link

Il problema della bergamasca è che puoi vitare solo quello che non interessa all'urbanizzazione e quei terreni li paghi come se un domani diventassero edificabili.

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marcow

circa 12 mesi fa - Link

Stefano Lorenzi 4 aprile 2023 "Bisognerebbe fare una bella CIECA per giudicarli….troppi PRECONCETTI su questa denominazione o tipologia di vini, espressioni alcuni invece di un grande territorio" (S Lorenzi) ---- "Bisognerebbe fare una bella CIECA per GIUDICARLI"(S L) È quello che Sisto, in questo blog, dice da anni. E che, riprendendo e condividendo il suo monito, cerco di proporre nei dibattiti poiché soltanto utilizzando questa metodica di degustazione si possono attenuare le Distorsioni Personali che comprendono anche i preconcetti, i pregiudizi a cui accenna Stefano Lorenzi. __ È singolare, in questo caso, che a reclamare la Degustazione alla Cieca sia uno che sta dalla parte della produzione. È raro, invece, che lo dica un Esperto o un Comunicatore del vino italiano che è comodamente abituato a degustare e valutare i vini non alla cieca. ___ Se tutti i vini italiani recensiti nelle guide, nelle classifiche, negli articoli venissero degustati secondo la metodica della degustazione alla cieca probabilmente avrebbero valutazioni diverse. E anche per questo che c'è una forte resistenza al rinnovamento della comunicazione e della critica italiana.

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marcow

circa 12 mesi fa - Link

E anche per questo c'è una forte resistenza. __ Poiché ho fatto questa correzione aggiungo un'altra considerazione. Da tutto il dibattito e dall'articolo(e come non conoscitore dei vini e del territorio) emerge, secondo me, l'importanza della TECNICA nella produzione di un vino. Sul vino, sul discorso intorno al vino, ci sono diverse scuole di pensiero. Alcuni esaltano gli aspetti genetico-varietali. altri esaltano il mitico Terroir. Secondo me, con gli sviluppi degli ultimi decenni, il ruolo della Tecnica in Cantina è diventato il più importante elemento per la produzione di un buon o ottimo vino. Questo non significa che gli altri 2 non siano importanti. Ma con la tecnica si può fare moltissimo in cantina. ... E soltanto un imbecille può ancora produrre un vino scadente. (con tutto quelle conoscenze che l'enologia moderna ha elaborato negli ultimi anni) (e continua a elaborare)

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