Cuore di roccia: la Valtellina della cooperativa Triasso Sassella

Cuore di roccia: la Valtellina della cooperativa Triasso Sassella

di Graziano Nani

Triasso.
Rocciosa. Così descriverei in una parola il carattere della mia terra. La Valtellina è un concetto geografico scolpito a forza nella durezza delle Alpi, un solco profondo che taglia la Lombardia dal Lago di Como fino a Bormio e oltre. Sui fianchi di queste montagne, solo uomini rocciosi quanto la propria casa potevano ricavare chilometri di terrazzamenti per dare alle viti una perfetta dimora. Fondamenta di pietra, pareti di vento che soffia in direzioni opposte e un tetto di fredde notti stellate a contrastare il calore del giorno. La Valtellina ha un cuore di roccia e batte nella sottozona per me più rappresentativa, la Sassella. Tra le pieghe dei suoi vigneti si nasconde Triasso, che accoglie la piccola cooperativa agricola Triasso e Sassella. Il borgo, meno di cento anime in totale, sembra sospeso nel tempo, fotografato dalla luce gialla dell’estate che nel primo pomeriggio brucia le ombre e scopre i pochi piccoli movimenti. Un’auto che passa solitaria, due anziani che si fanno compagnia, un refolo di vento impotente di fronte al caldo implacabile.

Undici uomini, tre vini.
Triasso Sassella, tre ettari e mezzo di terreni vitati, è composta da undici soci tra cui Donato Ruttico, ex ferroviere passato dal ferro dei binari ai terreni sassosi di queste parti. Lo incontro prima dell’estate, quando mi accoglie nella loro sede. Se la Sassella è uno scrigno di pietra, entrare nella cantina della cooperativa è come scavare nel suo cuore di roccia. La frescura è impressionante rispetto al calore dell’esterno. Il primo spazio che accoglie i clienti è l’anticamera di un percorso nelle viscere della montagna alla scoperta delle botti, un viaggio al centro della terra dove riposa il sangue rosso che irrora le vene di queste terre. Nei fusti riposano tre vini. Il Donato (qui in Valtellina l’articolo è d’obbligo) mi guida all’assaggio attraverso alcune prove di botte.

Sassi Solivi 2018
Sassi Solivi, circa 9.000 bottiglie all’anno, matura per venti mesi in piccole botti da dieci ettolitri prima di un affinamento in bottiglia che dura dai quattro ai sei mesi. Ora la bilancia organolettica è spostata sul frutto, una polpa viva che spillata in anticipo dalla botte si mostra quasi irruenta tanto è vitale. Il tempo che passerà in botte e poi in bottiglia andrà a elevare questa energia al livello di finezza per cui sono conosciuti i vini di Valtellina. È questa la magia della chiavennasca. Nonostante le ultime tendenze a bere i vini dopo pochi anni, qui continua a essere il tempo la vera chiave di volta. Soprattutto quando il livello dei grappoli è eccellente come per questa cooperativa. Donato mi spiega che non acquistano nulla, fanno tutto con le proprie uve.

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Ciaz 2018 
Ciaz viene prodotto solo nelle annate migliori e in piccole quantità, parliamo di circa 2.300 bottiglie. Nasce dalla lavorazione di minuscoli terrazzi aggrappati alla roccia, e quando diciamo piccoli intendiamo veramente minuscoli, con pochissime piante strappate a una roccia impervia e spietata. La resa è tra i trenta e i quaranta quintali per ettaro, dopo venti mesi in legno viene affinato in bottiglia tra i sei e gli otto mesi. La prova di botte esprime una purezza sopraffina, figlia di un terreno eccellente e di una materia prima trasfigurata da soli lieviti indigeni. Il tannino ancora morde, serve tempo. Donato dice che qui occorre ancora più pazienza rispetto alla zona di Castione, e stiamo parlando di un tiro di schioppo. Anche queste sfumature e varianti infinitesimali restituiscono l’unicità delle terre di Valtellina.

Sassi Solivi Riserva 2018
Anche la versione Riserva di Sassi Solivi viene prodotta solo nelle annate favorevoli, per un totale di circa 1.500 bottiglie. Metà uva nasce da un leggero appassimento, l’altra metà da una vendemmia tardiva. Dopo la vinificazione matura trenta mesi in legno per poi passare a otto mesi di affinamento in bottiglia. La prova di botte restituisce il potenziale di una complessità tutta da esprimere, con il corredo speziato che spinge per emergere facendosi largo tra il frutto in evoluzione e un tannino che ancora ruggisce. Donato quasi ragiona ad alta voce mentre mi serve l’assaggio da un’altra botte. L’uva da vendemmia tardiva era in abbondanza, non tutta è stata utilizzata per la riserva, così quella rimasta è stata messa da parte. Il vignaiolo confessa che non sa cosa ne farà, ci sta ancora pensando e non sembra avere particolare fretta. Assaggiamo e ragioniamo insieme su quello che ci presenta al bicchiere. Un’espressività quasi incontenibile, incendiata dal tenore alcolico che nasce dalla minore quantità di acqua negli acini.

Cuore di roccia.
Sulla strada del ritorno, nascoste tra le vigne di altri produttori, notiamo le cicatrici lasciate dalla grandinata primaverile. Alcune piante sono danneggiate in parte, altre hanno i grappoli letteralmente “bruciati” dalla violenza della tempesta. Per alcuni il danno è stato ingente. Se n’è parlato poco, per qualche giorno, su alcuni giornali. Poi si è tornati subito al lavoro, con la consapevolezza sedimentata nei secoli che su questi terrazzamenti certe cose non si decidono. Incassando il colpo in silenzio, senza strepiti, e andando avanti. Il cuore di roccia è anche questo.

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Graziano Nani

Frank Zappa con il Brunello, Hulk Hogan con il Sassella: per lui tutto c’entra con tutto, infatti qualcuno lo chiama il Brezsny del vino. Divaga anche su Gutin.it, il suo blog. Sommelier AIS, lavora a Milano ma la sua terra è la Valtellina: i vini del cuore per lui sono lì.

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