Cosa intende Cameron Diaz per “vino pulito”?

Cosa intende Cameron Diaz per “vino pulito”?

di Elena Di Luigi

Ricordate il “what else?” del caffé di George Clooney? In un’intervista in cui gli veniva chiesto perché mai avesse accettato di fare quello spot lui rispose semplicemente per soldi. Soldi che poi servono a finanziare progetti a scopo sociale, ma la ragione ultima per cui presta la sua immagine al prodotto è chiara. Oggi però molti personaggi noti non si limitano a metterci la faccia (frase odiosa quando la usano i politici), ma vogliono anche metterci le mani e il messaggio diventa: “questo è opera del mio sacco”. Il mondo del vino pullula di esempi di questo tipo proprio perché più di altri è un prodotto con il quale si possono raccontare delle storie.

Ci sono esempi che definirei scontati, come il rosé con il nome della cantante pop Kylie Minogue, andato a ruba in poche ore; il bianco dell’attrice Sarah Jessica Parker, perfetto per gli aperitivi nella grande mela; lo sparkling rosé di Pitt & Jolie che rimangono wine-partners nonostante il divorzio.

Ci sono poi anche esperienze già consolidate come per esempio quella della cantina Two Paddocks di proprietà dell’attore neozelandese Sam Neill, che produce vino in Otago dal 1993 e che dice di dedicare tanto tempo alla cantina quanto al set. Oppure quella di John Malkovich che in qualità di winemaker agisce come un maverick sperando di diventare un pioneer. In un’intervista ha detto che sta lavorando a un uvaggio di Pinot Noir e Cabernet perché il primo conferirebbe rotondità e raffinatezza al secondo. Tutti i dubbi sono leciti tranne uno: se è vero che nella produzione di un vino c’é tanta sperimentazione gli attori sono tra quelli che possono permettersela senza remore.

La lista di esempi sarebbe lunga ma quello che li rende interessanti o no è appunto la storia che c’è dietro e che fa da spunto. Il vino che Cameron Diaz e la sua amica hanno sentito il bisogno di produrre, per esempio, appunto, parte dal fatto che i produttori di vino non sono obbligati a dichiarare sulle etichette tutti gli ingredienti che hanno utilizzato. Questo fatto le ha indispettite al punto tale che si sono fatte fare un vino ‘pulito’, lanciato immancabilmente su Instagram  e di cui dicono di conoscere tutto ma proprio tutto, anche se omettono di dichiarare il nome della cantina che lo produce per loro.

Al di là del fenomeno personaggio-vino che comunque funziona, quello che sta prendendo piede (o riprendendo) è l’idea di un vino naturale o se vogliamo non ultra-lavorato, questa volta sfruttando tutti i vantaggi che offrono i social media per arrivare a un pubblico forse meno sofisticato ma, per esempio, piú attento alla salute e all’aspetto fisico. E se è vero che nel fare il vino si combinano arte, scienza ed esperienza, è altrettanto vero che le cantine non sono obbligate a dichiarare tutto quello che utilizzano o fanno per arrivare al prodotto finale, cosa di cui qualcuno potrebbe anche approfittare. Quindi, dove trovare un equilibrio accettabile in tutto questo?

Dal punto di vista del consumatore sembra logico volerne sapere di piú su cosa sta bevendo.

Oggi le etichette hanno l’obbligo di dichiarare se sono stati impiegati prodotti che causano allergie, ma sicuramente potrebbero riportare altre informazioni tipo quelle che uno trova sul sito, se ha premura di andarsele a leggere. Certo andrebbero rese fruibili per un pubblico più vasto, cosa a cui lavora anche l’Unione Europea in vista di una trasformazione delle etichette tradizionali.

Dal punto di vista del produttore, almeno due sono i punti che giustificano lo status quo. Il primo è che la produzione nei vigneti e in cantina è cosí evoluta che gli interventi, uso dei pesticidi per esempio, sono veramente minimi tanto da rendere scontato in molti casi il distinguo di “vino pulito”. Il secondo è dato dal fatto che comunque il winemaker ‘legge’ l’annata in cantina dove decide come e quando intervenire, quindi aggiornare l’etichetta ogni anno potrebbe essere una spesa per alcuni insostenibile.

Il punto è che il consumatore vuole essere informato perché è un suo diritto e per questo sarebbe giusto che a farlo siano persone preparate e competenti, in modo tale che gli attori tornano a metterci solo la faccia. What else?

7 Commenti

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marcow

circa 4 anni fa - Link

La trasparenza. Essere trasparenti. Non nascondere. Non tacere. Non deformare i fatti: che avvengono nei campi e in cantina INFORMARE correttamente e onestamente i consumatori su quello che viene fatto in cantina e prima. Questo, con le nuove tecnologie, è facilissimo. Poiché lo spazio sull'etichetta è piccolo, il consumatore potrebbe utilizzare un link aziendale dove trova tutto quello che vorrebbe sapere.

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Damiano

circa 4 anni fa - Link

Cabernet e Pinot: che idea originale !!!

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gaspero

circa 4 anni fa - Link

Al momento, però, le vere urgenze sono 2: a) pestare duramente i calli di quei produttori che insistono con pervicacia nello sfruttamento selvaggio dei braccianti agricoli ( proprio in quest'ultimo periodo, grazie ad accurate operazioni investigative, sono venuti alla luce un paio di casi eclatanti in tal senso ). b) boicottare aspramente, ovvero non acquistare mai, i prodotti di coloro che ripetutamente non perdono occasione per denigrare/deridere/offendere in modo sistematico i percettori di reddito di cittadinanza ( e qui invece basta porre un minimo di attenzione perchè, dai e dai, qualunque borioso incivile finisce sempre per sputtanarsi da solo ).

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marcow

circa 4 anni fa - Link

Ad integrazione dell'interessante articolo di Elena Di Luigi segnalo questo del Corriere che contiene anche le "critiche" alle parole di Cameron Diaz. https://cucina.corriere.it/notizie/20_agosto_14/cameron-diaz-produce-nuovo-vino-pulito-ma-termine-azzardato-bufera-79a695ca-de4b-11ea-9116-3222a39f46e4.shtml In particolare ho estratto questo pezzo che riprende alcuni concetti che ieri ho espresso nel commento sulla "trasparenza". Anche se mi sembra che io vada oltre i limiti dell'etichetta. (Dovrei meglio specificare in che senso le INFORMAZIONI già contenute in molti siti aziendali sarebbero differenti da quelle a cui accennavo nel commento) __ Dal Corriere: "In linea con il crescente movimento bio e salutista, Diaz e Power volevano produrre vini che fossero vegani — nelle bottiglie, in effetti, è possibile trovare prodotti derivanti dal mondo animale che fungono da chiarificanti, come per esempio l’albumina o la caseina —, privi di zuccheri o coloranti aggiunti. «Come produttori — spiegano ancora su Instagram — non siamo tenuti a dire molto a proposito di quello che c’è dentro le nostre bottiglie, ma ad Avaline abbiamo deciso di farlo. I produttori di vino rivelano solo informazioni quali il luogo di coltivazione e di imbottigliamento, se il vino contiene solfiti e la percentuale di alcol. Non vi è alcun obbligo di specificare come vengono coltivate le uve o di nominare anche solo uno degli oltre settanta additivi utilizzati nel processo di vinificazione per alterare colore, odore e sapore di ciò che si trova poi nel bicchiere. Noi crediamo sia necessario darsi degli standard più elevati. A cominciare dall’etichetta ed è per questo che abbiamo deciso di segnalare molte informazioni sulle nostre bottiglie».

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marcow

circa 4 anni fa - Link

Chiaramente per RINNOVARE PROFONDAMENTE il Mondo del Vino non bastano le raccomandazioni di Cameron Diaz. (Che poi sono molto simili a quelle espresse dal cd. Naturale, Biodinamico ecc...) Occorre un Sistema di Controllo Efficiente ed Efficace: a meno che non ci "fidiamo" dello Storitelling aziendale. Cioè delle Parole declamate dal markenting aziendale. Abbiamo visto, anche con la vicenda dell'azienda "naturale" foggiana che sarebbe un comportamento ingenuo. Occorre anche un profondo rinnovamento della CRITICA perché, signori, in Italia, si fa molta comunicazione... ma poca critica eno-gastronomica.

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Luca Ferrarini

circa 4 anni fa - Link

Non berrei Mai un vino di Cameron Diaz, né di Carrisi o di altro Vip. Lo so sono limitato...

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mariazzo

circa 4 anni fa - Link

Basterebbe mettere su ogni bottiglia il QR-code, tanto se si aggiorna l'etichetta per inserire l'annata nuova, perché non farlo anche con il QR-code? Il prezzo dell'etichetta una volta che c'è un template pronto è decisamente più basso che reinventarsi ogni anno una nuova etichetta. Da lì poi il produttore può raccontare nei minimi dettagli il percorso di produzione .

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