Cosa c’è di male nel bere anche un po’ di etichetta?

Cosa c’è di male nel bere anche un po’ di etichetta?

di Andrea Troiani

Nella battaglia schizofrenica contro l’enofighetto che dimora in me, mi trovo spesso a frenare le prese di posizione “snobette” e parecchio modaiole che tentano il mio lato enoicamente peggiore.
“Non bevo le etichette bevo il vino, IO” (la lettera maiuscola enfatizza la differenza, il solco che il fighetto di cui sopra, ama mettere tra se e gli altri).
È una frase che sottolinea come il vino vada apprezzato in quanto tale, come frutto del suo terroir e non come oggetto del marketing che spinge ora questa ora quella etichetta. La pretesa quindi di apprezzare profumi, aromi, e sapori come usciti da una bottiglia muta in grado di parlare solo al al naso e al palato. Ma è davvero questa l’esperienza del buon bere? Per meglio dire: è questa la strada “giusta”, l’unica via verso l’Empireo dei sommelier, verso il Valhalla degli assaggiatori?

Eppure mi chiedo: cosa c’è di male nel bere anche un po’ di etichetta?

Insomma, cosa sarebbe il Colosseo senza la sua storia? Un rudere fatiscente probabilmente. E i Fori Romani? Una pietraia a cielo aperto. Troppo facile? Vogliamo parlare della Casa Bianca? Una villetta in stile palladiano di scarso interesse, se non fosse dimora e simbolo di qualcosa di molto di più di quattro colonne bianche che reggono un tetto. Ma quella casetta è davvero meritoria di tanto interesse e turismo?

Ciò che resta del muro di Berlino, francamente una ben poco interessante colata di cemento, susciterebbe quell’interesse e quell’attrattività se non fosse solida memoria di un periodo che ha segnato l’occidente per decenni?

Domande pleonastiche e risposta unica quanto scontata. No. E’ la storia, il mito, la traccia lasciata nella memoria collettiva, a costruire e rafforzare l’interesse, a definire il valore, anche quello economico.

E allora pensare al Tignanello di Giacomo Tachis, grande padre dell’enologia italiana moderna e recentemente citato proprio su questo blog anche da Angelo Gaja (altro pilastro della storia enoica del paese e delle sue etichette) come un’esperienza che va oltre il solo vino, non è forse così sbagliato. Immaginarlo litigare con Incisa della Rocchetta per creare a modo suo quello che è il fiore all’occhiello dell’Italia nel mercato dei grandi vini internazionali non è forse una valore aggiunto quando si beve un calice di Sassicaia?
Bere un bicchiere di una straordinaria Barbera creata dall’altro grande Giacomo dell’enologia nazionale, quel Giacomo Bologna, detto Braida, che proprio durante una delle più tragiche crisi del vino italiano, lo scandalo del metanolo, rilanciava con il suo nome il vino piemontese “da tavola” trasformando Bricco dell’Uccellone in un punto di riferimento sulle tavole di tutta Europa.

Per non sembrare troppo nazionalista dirò anche di Madame Louise Pommery che trasforma il gusto dello Champagne e, grazie ad una straordinaria visione, crea nel 1874 il primo Brut Nature cambiando per sempre il modo di bere il più famoso vino spumante del mondo.

Non so se tutto questo sia nel vino, ma è nell’etichetta, nella bottiglia, nella storia che a quel vino si accompagna e si fonde, a mio modesto parere, anche al naso e al palato.

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Andrea Troiani

Nasce a Roma dove lavora a mangia grazie al marketing digitale e all'e-commerce (sia perché gli garantiscono bonifici periodici, sia perché fa la spesa online). Curioso da sempre, eno-curioso da un po', aspirante sommelier da meno.

4 Commenti

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Stefano Cinelli Colombini

circa 7 anni fa - Link

Vivo di Brunello, per cui condivido a prescindere. E ammetto che una bella signora mi appare ancora più bella se ammirata attraverso un flûte di champagne, mentre un Tavernello frizzante non è che mi ispiri granché. Sed es modus in rebus. Per cui si, beviamo leggende, ma quanti bei ricordi mi ritrovo di etichette scarafone!

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Stefano

circa 7 anni fa - Link

Ma infatti il problema non è bere l'etichetta, ma riuscire a mettere insieme la cifra per comprarsela! Almeno quelle che citi nel post... (Bologna a parte, forse)

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Nobilone

circa 7 anni fa - Link

Mi fa molto piacere leggere queste righe, anche se la "questione etichetta" probabilmente rimarrà eternamente controversa. Grazie!

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Marco M.

circa 7 anni fa - Link

Cosa c'è di male ? Ovviamente e assolutamente nulla, visto che tutto -o quasi- funziona così. Chi mai proverebbe il sottile piacere di un Rolex se fosse no-brand e fabbricato da chiunque ? Ma... c'è sempre un ma. Per esempio, chi di donne ha qualche esperienza sa benissimo che, sotto un nome altisonante e un look elegantissimo e alla moda, non sempre c'è una donna davvero "virtuosa", nel senso più ampio del termine. Ecco -come si dice spesso- il vino è come le donne... forse non c'è paragone migliore.

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