Corsi, abilitazioni e Masterclass, e poi chiedono sempre lo Spritz!

Corsi, abilitazioni e Masterclass, e poi chiedono sempre lo Spritz!

di Simone Di Vito

Raramente mi azzardo a parlare o scrivere di alcolici che non siano uva fermentata; birre, cocktail e spiriti vari sono mondi diversi, che diventano paralleli solo nel momento in cui ti siedi al bancone o al tavolo e ti vien chiesto: «Cosa ti porto?». 

Sono cresciuto con un fratello che tra le tante passioni, è un cultore di birra e spiriti, e quando ogni tanto ci vediamo e lui decide di “lasciarmi” un briciolo del suo credo, ascolto e metto da parte. Qualche anno fa, eravamo insieme ad un evento dedicato al whisky, uno dei miei primi sugli spirits, e per me che venivo da soli “eventoni” sul vino, 50 banchi d’assaggio per un distillato assomigliavano ad una bella quanto ardua montagna da scalare.

Nel suo gruppo di studio c’erano tanti aspiranti bartender, molti dei quali esercitavano già la professione al banco, con essi ovviamente si parlava sempre di miscelazione, drink e qualche volta anche di lavoro: Tom o John Collins? Sweet & sour già pronto o fatto sul momento? Un bel whisky per l’old fashioned? Ecc, ecc. Ci fu una domanda però che mi fece pensare “tutto il mondo è paese”, la sparò uno che a breve avrebbe lasciato l’evento per correre a lavoro, dopo un «mi aspettano 10 kg di limoni da spremere per stasera» preso dallo sconforto disse «a che serve studiare e conoscere tutto questo, se poi attacco a lavoro, e in otto ore di banco mi chiedono sempre e solo Spritz?». Tra le risate generali del gruppo, pensai subito che di contro ci sono tanti “bibitari” che si fingono barman, ai quali puoi al massimo chiedere uno Spritz in plastica, che prepareranno poi con la stessa difficoltà di un Blue Blazer*.

Jerry Thomas mentre prepara il suo Blue Blazer

In fondo è un po’ la stessa cosa che succede a un sommelier: studia, gira cantine, prepara una bella carta dei vini locali e poi arriva il tipo a cui piace solo il fruttato, e vuole tassativamente un Gewürztraminer.

Ha senso quindi investire in corsi sulle meraviglie di vino e alcolici vari se poi alla fine vai a lavoro e la realtà è ben diversa? Parliamoci chiaro, non mi riferisco certo a quei pochi fortunati che esercitano la professione presso locali stellati o rinomati, dove i primi appassionati sono proprio i clienti e/o il padrone; anche se poi il fruit-lover di turno può capitare anche li.

Perché studiare? Per passione? Il curriculum aggiornato per un futuro lavoro migliore? O la speranza che ogni tanto ti capiti il cliente del cuore, a cui piace darti retta o lasciarsi addirittura plasmare?

Diventare sommelier è un percorso bello e impegnativo, che diventa fondamentale per chi ha intenzione di accrescere le proprie conoscenze in materia, per poi magari riportarle nel lavoro di tutti i giorni, e per evitare ad esempio, che venga servito un rosso a temperatura ambiente in una qualsiasi serata torrida d’agosto.
Ovviamente poi non basta ottenere il pezzo di carta per essere affidabile, anche perché le percentuali di conseguimento di un diploma da sommelier in Italia sono ormai talmente alte, che a volte i corsi sembrano a prova di… , certo non tutti lo fanno per lavoro, ma c’è anche da dire che la facilità con la quale ormai si ottiene l’abilitazione, oltre a svalutare il ruolo, ha creato vere e proprie orde di saputelli, che vanno in giro ad autoincensarsi per un tastevin attaccato al collo, sentendosi per lo più in diritto di disquisire su questo o su quell’altro vino, talvolta senza poterselo nemmeno permettere. Chissà quanti lo avranno pensato del sottoscritto(faccina che ride).

Siamo alla deriva delle figure professionali in generale, ma in particolar modo per la ristorazione, di abilitazioni e corsi invece ne trovi quanti ne vuoi; ma cosa li fai a fare se poi il tuo sapere non viene valorizzato o viene assunto l’universitario sottopagato e senza un briciolo di competenze? In questo periodaccio il risparmio sul personale può essere in parte giustificato, ma non dimentichiamoci che è il dipendente formato a crearti più lavoro.

Il vero problema è che negli ultimi anni ormai chiunque può svegliarsi una mattina e diventare ristoratore, cameriere, o banchista da bar (i cappuccini fatti di bolle d’aria ormai sono all’ordine del giorno).

Pensate che la mia sia una riflessione banale e inopportuna? Forse, ma provate voi a rimanere calmi quando ti sparecchiano un piatto ancora mezzo pieno di Pata negra pagato 40g a €20 (mi è successo veramente), o quando fai di tutto per accontentare il sapientone di turno, che era riuscito a chiederti l’unico vino(di melma) che non hai… E alla fine poi prende una media chiara!

 

 

*Il famoso cocktail caldo del “professore”, a base di whisky e acqua bollente.

[foto di Jerry Thomas da blueblazer.it]

[foto di copertina da cruisecritic.com]

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Simone Di Vito

Cresciuto a pane e corse automobilistiche (per via del papà pilota), sceglie la sostenibilità di bacchette, tamburi e corde grosse, tra batteria e basso elettrico. Si approccia al vino grazie a una breve carriera da scaffalista al supermercato, decidendo dopo anni di iscriversi ad un corso AIS. Enostrippato a tempo pieno, operaio a tempo perso. Entra in Intravino dalla porta di servizio ma si ritrova quasi per sbaglio nella stanza dei bottoni. Coltiva il sogno di parcellizzare tutto quel che lo circonda, quartieri di Roma compresi.

2 Commenti

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Maurizio

circa 3 anni fa - Link

"Il vero problema è che negli ultimi anni ormai chiunque può svegliarsi una mattina e diventare ristoratore, cameriere, o banchista da bar". È la conseguenza (o la causa?) per cui vanno di moda certi influencer del vino o affini, che hanno competenze specifiche pari a 0. L'ignoranza e il pressapochismo si autoriproducono in fretta e letalmente come un virus.

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Alessandro

circa 3 anni fa - Link

Buonasera, È la prima volta che rispondo ad un un'articolo, per il semplice fatto che questo mi colpisce nel profondo. Sono un appassionato di vino ma non mi ritengo un sommelier (pur avendo fatto sia fisar che ais; per cercare di capire le differenze fra le 2 associazioni); ma piuttosto mi ritengo appassionato di ristorazione in genere ed accoglienza, avendo fatto della mia passione un mestiere...che non mi piace definire lavoro. Il tema dell'impoverimento professionale e culturale in questo settore è drammaticamente dilagante e non sono sicuro di riuscire a dare tutte le risposte alle domande che mi sorgono ma di sicuro giocano un ruolo chiave gli stipendi da fame, gli orari poco convenzionali ed una gioventù moderna che sta crescendo nell'era digitale, nella quale vige il tutto e subito, escludendo ogni tipo di sforzo e fatica per raggiungere un qual si voglia obiettivo. Voglio però spendere 2 righe per dire che, nonostante tutto, fare corsi, masterclass, dialogare con colleghi di altre strutture, essere curiosi serve ad accrescere una nostra formazione personale che passando attraverso un SAPERE, SAPER ESSERE, SAPER FARE, ci può permettere di ritagliarci un nostro posto nello spietato mondo del lavoro e perché no, anche a riuscire a cambiare le vendite e le abitudini dei nostri ospiti. Magari non farebbe male una coesione maggiore tra gli operatori di sala e bar in generale, invece di fare spesso a gara a chi ce l'ha più grosso, perché conoscere la verità e non uniformarvi le azioni, è delitto che cielo e terra condannano (cit. ) Ringrazio tutti e torno a godermi la mia cassa integrazione. Ciao.

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