Ci sono ancora le grandi vendemmie di una volta?

Ci sono ancora le grandi vendemmie di una volta?

di Stefano Cinelli Colombini

Un post su Facebook mi ha fatto riflettere. Le grandi vendemmie di un tempo, tipo il 1888, il 1892, il 1925 e il 1931 o anche solo il 1955 e il 1957 o il 1964 e il 1975, sono migliori di quelle attuali? O diverse?

Chissà, molte ne ho bevute ma quel che resta nelle bottiglie si è evoluto nel tempo e oggi, anche se magari è piacevole, rivela solo tracce di ciò che era. Una risposta si può cercare nelle degustazioni fatte da esperti coevi, tipo la Commissione Ampelografica della Provincia di Siena che stappò un Brunello di Castelgiocondo del 1843 quando aveva 32 anni, ovvero nel 1875, e lo trovò ottimo, profumato e di color rosso rubino.

Aveva 14,2% di alcol, 5,1 di acidità e estratto secco di 23,8, tutti dati che (tenendo conto che tutto cala col tempo) lo rendono perfettamente assimilabile ad un Brunello moderno. Qualcosa di simile si può dedurre dagli assaggi di Marescalchi negli anni ’30 delle annate di fine ‘800 e primo ‘900, indicate come meravigliose, e di quelle dei ’50 e ’60 esaltate da Veronelli, Soldati e Brera.

A sentire loro erano capolavori enologici, e ancora oggi gli esperti definiscono i Brunello usando quegli stessi descrittivi aromatici, olfattivi e colorimetrici: anche se è indubbio che tutti noi copiamo quei Maestri che hanno fatto scuola, questo fa pensare che i vini classici restino sostanzialmente uguali a se stessi.

A differenza delle mezze stagioni, i vini indimenticabili c’erano, ci sono e ci saranno. Ma una differenza tra allora e oggi c’è davvero.

Fino a mezzo secolo fa si trattava di poche centinaia di migliaia di bottiglie, fatte da alcuni appassionati in poche, limitate zone d’Italia dove per secoli si era cercato (e trovato) il rapporto ideale tra suolo, clima, quei certi vitigni e una tecnica affinata nel tempo. Questo permetteva di creare le bottiglie eccezionali che Imperatori, Papi e Re hanno sempre goduto. Ma solo loro, e pochi più.

Oggi viviamo una storia totalmente diversa, le centinaia di migliaia di bottiglie di alta qualità sono diventate centinaia di milioni. Come è potuto accadere? La differenza non l’hanno fatta gli enologi, perché quelli bravi c’erano anche prima e sfido chiunque a sostenere che Giovan Battista Cerletti, Tancredi Biondi Santi o Giacomo Tachis fossero professionalmente inferiori ai loro omologhi di oggi. O che non avessero gli strumenti e la tecnologia per fare vino di altissima qualità. Né si può sostenere che le uve sono cambiate, è vero che non sono più su piede franco ma i cloni sempre quelli sono. E molti di quelli nuovi sono recuperi di antichi vigneti.

È stato il mercato, solo il mercato.

Capitalismo, democrazia e borghesia hanno creato il benessere di massa, e sempre più persone hanno potuto pagare per quelle prelibatezze. È il mondo di oggi, che parafrasando uno enormemente più autorevole di me, è pessimo ma migliore di ogni altro. Se il cliente c’è il mercato risponde, e lo fa supplendo con sempre più tecnologia perché il brodo si può allungare ma per allungarlo mille volte bisogna essere davvero molto bravi.

Così abbiamo vini eccellenti che si possono assimilare alle miriadi di atleti di altissimo livello che calcano ogni stadio o palazzetto del mondo: forgiati partendo da uomini normali potenziati da allenamenti incredibili, regimi di vita fatti al computer e tantissima tecnologia. Sono perfetti, inappuntabili e terribilmente performanti, ma non sono Maradona o Pelé. Quelli come loro due ci sono sempre stati, ma li può fare solo madre natura. Che più di pochi non ne crea, e guarda caso sempre negli stessi posti.

Gente così non è mai così perfetta come i super allenati. No, proprio per niente. Non è disciplinata, e qualche difettuccio ce l’ha. Però fa genialate che solo loro riescono a pensare, e cambiano il mondo. Solo loro diventano miti.

Questa è la differenza tra le grandi bottiglie del secolo scorso e la stragrande maggioranza di quelle super extra mega galattiche che beviamo oggi, che vengono da ogni angolo d’Italia e sono perfettissime, opulente, eleganti e prive di ogni sia pur minimo difetto.

Come Lang Lang al pianoforte. L’ho sentito una volta prima del Covid, e già non lo ricordo.

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Stefano Cinelli Colombini

Nato nel 1956 a Firenze da un'antica famiglia senese, è il titolare della Fattoria dei Barbi a Montalcino. Membro dell’Accademia Nazionale della Vite e del Vino e dell’Accademia dei Georgofili, è un grande appassionato di storia, arte e musica classica.

8 Commenti

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vinogodi

circa 3 anni fa - Link

... forse non ci sono più le stagioni di una volta (clima) , forse la tecnica è migliorata , forse il mercato si è allargato e i vini più fruibili da subito per tecniche agronomiche e di cantina , forse c'è tanta, ma tanta, più offerta di prima proprio legata al mercato . .. sta di fatto che grandi annate oggi ... forse , sono più frequenti di una volta , non solo in Italia . Ricordo un trentennio a Bordeaux (anni '60 - '70 e '80 , salvo 1961 e 1982 e , in parte, 1986 ) senza picchi considerati clamorosi (sbagliando , sto bevendo Premiers e altre classificazioni di quel trentennio splendidi) ...mentre nel decennio post millennio addirittura almeno 4 (2000 - 2005 - 2009 - 2010) così come nelle annate recentissime . In Langa si contava un'annata considerata grandissima ogni decennio , se andava bene , fin dall'inizio del secolo scorso e , come mi testimoni tu, anche in Toscana non è che le cose fossero andate molto meglio . Quindi direi che non stiamo ipotecando un bel futuro ( la vedo nera... per tropicalizzazione, inquinamento, sfruttamento intensivo delle risorse ecc) , ma il presente non è davvero male, qualitativamente ...

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Stefano Cinelli Colombini

circa 3 anni fa - Link

Ogni zona ha una diversa frequenza delle annate memorabili, anche perché è connessa con gli eventi climatici dannosi che, per esempio, a Montalcino sono molto più rari che in Borgogna o Bordeaux. In centro Italia direi che da inizio secolo agli anni '70 le vendemmie memorabili erano un paio a decennio, sono salite a tre negli '80 e '90 per salire a quattro nel nuovo millennio. Forse il clima è sempre più favorevole al Sangiovese, ma ma probabilmente hai ragione tu e il miglioramento tecnico in vigna e cantina rende memorabili anche annate che una volta non lo sarebbero state.

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Montosoli

circa 3 anni fa - Link

Ho avuto la possibilita di bere Sassicaia 2002, Barolo 2002, Amarone 2002...di una eleganza e leggerezza di palato da rimanere incantati. Brunello della tanto chiacchierata annata torrida 1997...fenomenali e piango perche non ne ho piu ! Barbaresco 2003....annata torrida...che adesso sta resuscitando. Barolo 2014, che tutti stanno evitando di comprare perche annata piovosa, ma gia alcuni si stanno creando una complessita da secondi a nessuno. Queste sono grandi vini in annate inferiori, dove si vede chi sa dialogare con la Vigna, cantina, e vino 🍷😀

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Stefano Cinelli Colombini

circa 3 anni fa - Link

Quanto lei sostiene conferma la mia tesi: il grande miglioramento tecnico (in vigna, in cantina e tra chi lavora) oggi da a chi lavora bene la possibilità di trarre vini eccezionali da una materia prima che un tempo non lo avrebbe consentito. Però la invito a confrontare quelle annate con quelle “maggiori” degli stessi vini e produttori. La differenza è ovvia. Da qui il mio ragionamento, ovvero che i vini eccellenti creati dalla sapienza e capacità dell’uomo sono davvero ottimi, ma non possono competere con ciò che ha anche il dono della natura.

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Imprimatur

circa 3 anni fa - Link

Grande miglioramento tecnico ovvero quando il vino lo costruisci mi sembra ovvio che anche con l'annata storta venga fuori fatto bene

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vinogodi

circa 3 anni fa - Link

... vero : infatti la scienza , l'agronomia, la tecnica , la tecnologia e il sapere in generale sono nemici del vino "sano" ... io direi di vendemmiare , ammostare , lasciare lì e vediamo cosa la natura ci dona ...

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Roberto Tuccio

circa 3 anni fa - Link

Un condimento per l'insalata...

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Stefano Cinelli Colombini

circa 3 anni fa - Link

No Imprimatur, l’uomo “costruisce” ben poco. Non abbiamo tecnologie così raffinate, e forse non le avremo mai. L’uomo ha imparato come tirare fuori e mantenere tutto ciò che la natura ha creato, e come impedire che muffe e accidenti vari facciano danni eccessivi. Tutto qui, ciò che non c’è non lo puoi tirare fuori dal cappello. Però la natura è così prodiga che anche con questi limiti si possono tirare fuori risultati più che decorosi. A volte anche molto buoni. Ma capolavori veri no.

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