Che vino infinito | Clos Vougeot 1982, Leroy

Che vino infinito | Clos Vougeot 1982, Leroy

di Daniel Barbagallo

Le caratteristiche con cui identifichiamo qualcosa spesso diventano il loro più grande limite proprio ai nostri occhi, perché quello che prepotentemente subito ci salta agli occhi rischia di non farci vedere cosa si nasconde dietro. È un discorso di prospettiva: guardare qualcosa da vicino restringe il campo visivo togliendo dal quadro lo sfondo, che invece ci aiuta a vedere tutto nell’ insieme.

Il pinot nero è un vitigno che come pochi in gioventù sa farsi voler bene, i tannini docili lo rendono molto approcciabile, il frutto rosso e succoso è lì in prima fila come un ragazzino al concerto del suo idolo, l’acidità conferisce una bevibilità compulsiva facendone una sorta di inno alla gioia.

Per questo e per altri motivi si è creato un movimento trasversale – che unisce bevitori più o meno smaliziati – secondo cui non sarebbe un vitigno adatto a lunghi invecchiamenti. Questa convinzione è oramai diventata un luogo comune difficile da scardinare e onestamente ho smesso di cercare di convincere le persone a dare al pinot la possibilità di mostrare cosa possa diventare con qualche annetto sulle spalle.

La bottiglia di oggi è oggettivamente un vino mostruoso ma posso assicurarvi che già un semplice Village con almeno una decina di anni può regalare una esperienza totale. Occasione della bevuta è stato il ritrovo con cari amici, un gruppo di beoni tra cui spiccano figure di primo piano dell’italico buon bere: nessuna formazione prestabilita, nessuna gara, tutti insieme con una grande bottiglia uniti dalla voglia di condivisione e di sparar cazzate.

Line-up di primissimo piano: tantissima Borgogna poi Rodano e Spagna.

line-up

Con fare furtivo, uno degli amici mi si avvicina e dice: “All’ultimo ho cambiato bottiglia e non ho preso l’Echezeaux”, tirando fuori questa: Clos Vougeot 1982, Leroy.

Leroy

Ammetto che di fronte ad ogni bottiglia di Madame Leroy sento un tuffo al cuore e l’aspetto economico non c’entra nulla: sono legato particolarmente a Lalou, che oltre ad essere la più leggendaria vignaiola dell’universo mondo mi ha sempre riservato un trattamento di riguardo e molte attenzioni per le quali non la ringrazierò mai abbastanza (per motivi a me ignoti, devo esserle risultato simpatico quando ci siamo conosciuti).

Il Clos Vougeot è l’emblema della Borgogna, uno dei primi Cru che viene preso ad esempio per spiegare la macchinosa suddivisione dei terreni in diversi proprietari, qui circa ottanta per cinquanta ettari (che ne fanno il Grand Cru più esteso). Come potete immaginare, un tale frazionamento, unito alle differenti esposizioni, alla diversa stoffa dei Domaine, alla possibilità di lavorare in regime convenzionale, biologico, biodinamico, biodinamico certificato, con cavallo, cane, gatto e pure la rava e la fava, fanno si che la qualità sia parecchio incostante dando vita ad autentici capolavori ma anche a vini tutto sommato normali.

Oggi fortunatamente parliamo del primo caso. Nelle mie trasferte borgognone ho potuto spesso notare l’affetto che molti produttori riservano a questo Cru, che mediamente non può vantare la classe di un Musigny né la profondità di un Richebourg ma che – interpretazione del tutto personale – sembra essere vissuto un po’ come sfida, della serie “Hai visto che si può fare anche un grande Clos Vougeot?”.

Ma torniamo ad oggi, al Clos Vougeot 1982 di Leroy e a come il tempo ci abbia regalato una esperienza mistica. Nel bere un vino di quarant’anni così si ha l’impressione che il frutto di cui parlavamo poc’anzi non ci sia più ma è solo un’impressione: il frutto è più vivo che mai ma subisce una trasformazione più che una maturazione, spostandosi verso il cuore del vino e abbandonando i riflettori, fino a divenire il vero e proprio nucleo che tiene legato tutto: un dolce-non dolce.

In Francia ci sono le confiserie, negozi di dolciumi e non solo, con questo profumo indefinito ma identificabilissimo, una sorta di mélange che ritrovi nei grandi Bourgogne invecchiati. Il colore vivo ha già cominciato a virare sul mattone ma è ancora carico e consistente; arancia amara, erbe officinali e pepe bianco indicano subito una grande freschezza, sono ingordo, non resisto e ne butto giù subito un sorso, una carezza in un pugno. Meglio attendere.

Leroy
Le bottiglie per una volta si dimostrano tutte all’altezza del loro blasone senza sbavature, regalandoci più di un sussulto fino a quando un paio di ore dopo non torniamo su questa. La musica è cambiata e l’ossigeno – prezioso alleato – ha fatto distendere il liquido: tabacco, rabarbaro ed aghi di pino, sembra ringiovanito di molti anni, prende spazio nel bicchiere in modo più deciso, quasi a volerlo sfondare (d’altronde, provateci voi a dormire quasi mezzo secolo ed alzarvi scattanti).

Ora ci sono il melograno ed il carcadè, un naso infinito. Un po’ di caffè – non la torrefazione ma il profumo che senti in casa dopo aver fatto la moka – mi convince che è arrivato il momento di bere. Il tannino levigato dal tempo dà la sensazione di una seta pregiata, è dotato ancora di buona energia e gira bene in bocca, finalmente riesco a percepire al palato l’amata confiserie che bilancia perfettamente una delicata sapidità. Dopo aver deglutito entro in fase mistica sciamanica per cinque minuti buoni, che è comunque meno della durata del vino in bocca.

Nonostante abbia già avuto la fortuna di fare certe esperienze ogni volta mi ritrovo piacevolmente stupito nel riuscire ancora a stupirmi di come qualche grappolo di uva nelle mani giuste possa regalare momenti di così alto piacere.

La bottiglia sta finendo, io e un altro amico ci versiamo il fondo e ricordo la frase che mi disse Madame Leroy mentre bevevamo insieme un Volnay Santenots 1959: “Daniel, le dépôt c’est le bijou du vin“.

Oggi più che mai mi è chiaro che gli amici vanno tenuti stretti perché sono uno dei punti fermi della vita, ma quelli che portano queste bottiglie occorre tenerli ancora più stretti.

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Daniel Barbagallo

Classe 1972, di Modena, imprenditore nel tessile. Padre siciliano, madre modenese, nato in Svizzera. Adoro la Borgogna, venero Bordeaux e il mio cane si chiama Barolo. Non potrei mai vivere senza Lambrusco. Prima di dire cosa penso di un vino, mi chiedo cosa pensi lui di me. Ho sempre sete di bellezza.

25 Commenti

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Lanegano

circa 1 anno fa - Link

Ti piace vincere facile, eh ?!? :)

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AG

circa 1 anno fa - Link

Quando c'è la mano..

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Kalosartipos

circa 1 anno fa - Link

Maison Leroy, nemmeno Domaine..

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Daniel Barbagallo

circa 1 anno fa - Link

Nel 1982 il Domaine Leroy non esisteva ancora .

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Kalosartipos

circa 1 anno fa - Link

Non mi sono spiegato: una bottiglia di tale livello, anche senza essere del Domaine.

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Veritas

circa 1 anno fa - Link

Peccato che questo vino, di Leroy, ha solo l’etichetta, essendo del Negoce. Nel 1982 il Domaine Leroy non esisteva, ed è un vino - già pronto - comprato chissà quando da qualche anonimo produttore (non è quindi neppure stato vinificato dalla Madame ). Lo avrei scritto chiaramente, per non indurre in errore chi non ha dimestichezza con l’argomento , in commercio si trovano tante di queste bottiglie (anche bianche), sempre dal costo non certo limitato, che possono rivelarsi dei bidoni clamorosi, quindi a mio parere da evitare come la peste, a differenza delle bottiglie del Domaine che sono tutt’altra cosa… insomma attenzione alle etichette, che la Madame furbescamente fa molto simili, e dove la differenza sostanziale la fa la parola ‘negociats’ e non ‘domaine’

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Daniel Barbagallo

circa 1 anno fa - Link

Buongiorno , vede purtroppo non si sa perché sembra che i vini da Negoce debbano per forza essere inferiori a quelli dei Domaines. L’attività di negociamt è svolta da sempre in tutti i luoghi del vino ed è una cosa che come tutto si può fare in modo egregio o dozzinale . Il mondo è la Borgogna nello specifico è pieno di negociant eccezzionali che spesso (vedi Dominique Laurent ) grazie al loro prestigio hanno contribuito a fare la fortuna di quelli da cui compravano . Pacalet è un fenomeno ed è di fatto un Negociant , Jadot ha alcune etichette monumentali penso al Clos de Beze e al Corton Charlemagne . Nello specifico Lalou BIZE-LEROY è considerata da tutti uni dei palati più straordinari che la Borgogna ha conosciuto e la sua abilità era trovare vini magnifici da aquistare , non credo sia cosa da poco Pensi che lo stesso Jayer ha venduto vini a lei per citare solo il più famoso . Detto questo lei ha fatto un intervento corretto e la ringrazio per avermi offerto la possibilità di spigarmi meglio, concludo dicendo che per esperienza personale i vini da Negoce di Leroy prima della nascita del Domaine sono spesso esperienze sublimi , dopo probabilmente i suoi sforzi si sono affievoliti dovendo seguire il nuovo nato .

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Veritas

circa 1 anno fa - Link

Vero che ci sono discreti negociants ma c’è una grande differenza tra chi compra l’uva (spesso seguendo le vigne direttamente, come fa ad esempio Pacalet) e poi vinifica lui in cantina (come fanno altri domaine per offrire una gamma più ampia tipo Roulot, Fourrier e tanti altri …) da chi invece i vini li compra già pronti, come la Madame. È curioso che chi fa i più grandi vini del pianeta terra in modo tra l’altro maniacale, biodinamico … poi vada in giro a comprare botti o partite di bottiglie che, lungi dall’essere tra l’altro prodotte con gli stessi criteri, vengono piazzate a prezzi che da modesto consumatore non hanno una logica. Se poi uno preferisce pescare come a Monopoli dal mazzo degli ‘Imprevisti’ allora contento lui …

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Johnny

circa 1 anno fa - Link

Perdonami, ma definire Pacalet un negociant... Il buon Philippe non è nato con le vigne di Rousseau o di De Vougue, vogliamo fargliene una colpa? Ma le uve che sceglie di comprare (discretamente, direi) le adopera lui.

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Veritas

circa 1 anno fa - Link

Ho letto solo dopo la replica di Barbagallo che ha chiarito che all’epoca il domaine non esisteva, infatti l’articolo non lo diceva

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vinogodi

circa 1 anno fa - Link

Cito : "Madame Leroy mentre bevevamo insieme un Volnay Santenots 1959: “Daniel, le dépôt c’est le bijou du vin“. Rispondo : stessissima cosa che mi diceva il povero Franco ( Biondi Santi ) ... io , però , non ne sono mai stato convinto...

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Johnny

circa 1 anno fa - Link

Bevitori di etichette e dove trovarli. Un vino che di Leroy, naturalmente, non ha nulla. Con un etichetta diversa più facilmente meritevole di lavandino che di un post.

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Daniel Barbagallo

circa 1 anno fa - Link

Ho già espresso il mio pensiero nel commento precedente . Sono un Bevitore di tutto! Faccia una cosa : prima di vuotarlo nel lavandino lo assaggi che è meglio prima di sparare sentenze .

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Johnny

circa 1 anno fa - Link

Massima dignità del pensiero di chiunque. Non nego, tra l'altro, di non essere mai stato folgorato sulla via di Damasco dai vini di Madame tout-court (beh un po' dai bianchi sì). Meglio sia per il mio portafogli che per la reperibilità già scarsa dei suddetti nettari. Ocio però, non è che ci faccio il brasato, semplicemente non ci ho trovato in bocca quello che ho trovato invece in altre icone dalla sacra valle. Naturalmente parimenti non nego il valore sia storico che edonistico dei vini di Madame, non sono nè un folle nè un polemista per sport. Superflua premessa a parte, il claim Leroy sulla bottiglia non è certo una colpa tua, ma l'enfasi in titolo e testo a mio parere lo è; del resto guarda come i primi commenti ne risultano ingannati. Non è a mio giudizio un buon modo di informare; se chi legge parla di mano di Madame e solo i più smaliziati notano l'inghippo, evidente il comunicatore non ha fatto un buon lavoro. Sempre di vino si parla eh, non è morto nessuno ancora.

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AG

circa 1 anno fa - Link

Do poca importanza se lo abbia fatto o selezionato, così come ai pettegolezzi/ storie/notizie sui produttori di Borgogna. Ma quando ho bevuto (io bevo, perdonate) i vini di madame si sono sempre nettamente distinti

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Andrea

circa 1 anno fa - Link

Occhio che quando borgogni tutti alzano il ditino. E quindi...ma non è Corton il gran cru più esteso ( pur con i climat)?

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Paolo mik

circa 1 anno fa - Link

La mano c'è pur sempre...magari più la lingua....intendo per scegliere il vino da acquistare :)

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Francesco della king

circa 1 anno fa - Link

Cmq nella foto si vede bene "negoce"

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Tommy hell

circa 1 anno fa - Link

Possiamo forse dire che in questo caso il nome di chi NEGOZIA ...(Leroy) è più importante del fatto che si tratti di vino fatto da negoce???

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Zoran

circa 1 anno fa - Link

Cosa ne pensano gli Esperti di Borgogna, del Clos de Vougeot di Anne Gros? E se dovessero sceglierne uno dal prezzo e dalla reperibilità meno problematici, quale sceglierebbero?

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vinogodi

circa 1 anno fa - Link

...da grandissimo esperto di Borgogna , cosa che Giancarlo "Giama" Marino e Armando "Aramis" Castagno ( che saluto entrambi...) mi fanno una pippa, in verità ( in verità) ti dico che "Le Grand Maupertui" è un buon prodotto che costa il giusto , quindi puoi accostartici senza troppo patema d'animo . Fossi in te, per una maggior aderenza territoriale , andrei sul VV di Chateau de La Tour , un inno alla tipologia , oppure sul sognante "Musigni" di Gros Freres , lasciando perdere il numero 1 , quello del Domaine di Madame ( leggermente carotto) ... oppure quello del Méo ( libera interpretazione del Cru) ... ma tanti , ce ne sono , mò devo pensarci ...

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Daniel Barbagallo

circa 1 anno fa - Link

Marco io negli ultimi anni aggiungerei pure quello di Lamarche che in questo cru ha trovato una dimensione notevole tanto da oscurare tutti gli altri vini che ho assaggiato di lei 19 e 20

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Vinogodi

circa 1 anno fa - Link

...e' "fra i tanti" che citavo. Lamarche lo fa veramente buono, ne convengo... ( ...anche Jean Grivot non scherza...)

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Zoran

circa 1 anno fa - Link

Grazie, molto gentili!

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Guido

circa 11 mesi fa - Link

Secondo voi, quale può essere un valore di mercato di Leroy Chambertin 2007 (Negociant) ?

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