Che sapore ha Primo Franco 1983?
di Graziano NaniI bias cognitivi sono costrutti fondati su percezioni deformate. Indicano la tendenza a creare la propria realtà soggettiva, non necessariamente corrispondente alla realtà. Uno di questi si chiama “bias della dissolvenza dell’affetto”, determina il fatto che le emozioni legate a ricordi spiacevoli si attenuino più rapidamente rispetto a quelle legate a ricordi piacevoli.
Il tema fa parte del più ampio meccanismo per cui quando osserviamo il passato lo facciamo attraverso una lente che rende tutto più bello.
Forse senza saperlo avrà applicato questo principio anche Primo Franco durante la serata all’Accademia Gualtiero Marchesi di Milano, che ha sede proprio nella storica via Bonvesin de la Riva. Un calembour di istantanee in bianco e nero dal secolo scorso, intrise di una bellezza accecante. La storia del padre Nino e della Valdobbiadene degli anni Sessanta, quelle ancora più antiche dalla Seconda Guerra Mondiale, le bottiglie nascoste in un rifugio antiaereo e poi ritrovate, la riscoperta dei vecchi cloni, gli esperimenti. Storie che si intrecciano con quelle del Maestro Gualtiero Marchesi, a cui Primo Franco era legatissimo.
Le narra Enrico Dandolo, genero di Marchesi e Direttore dell’Accademia dedicata all’alto perfezionamento dei cuochi. I suoi racconti diventano tridimensionali attraverso due piatti iconici del maestro, “Riso oro e zafferano” e “Il rosso e il nero”, preparati dai cuochi dell’Accademia. Altre storie si accavallano tra i tavoli e le splendide lampade Arco di Castiglioni.
Come quella de “La Lettura”, supplemento del Corriere della Sera, con la copertina storicamente affidata ogni volta a un artista differente, e Gualtiero Marchesi che nel dicembre 2015 la firma con l’essenzialità di un’orata al vapore. O come quelle che mi racconta Sara Vitali, storica responsabile delle pubbliche relazioni di Marchesi. Una su tutte l’attrazione fatale del Maestro per il cibo durante eventi e manifestazioni, e il sorprendente entusiasmo con cui acchiappava e consumava enormi quantità di salumi e stuzzichini dai vassoi dei camerieri.
I ricordi sono così vividi da avvolgermi e mi sembra di aver vissuto con loro tutte queste avventure. I finlandesi chiamano Kaukokaipuu il sottile concetto della nostalgia per un posto in cui non siamo mai stati. Questa sera vivo la stessa cosa ma verso un tempo che non ho mai vissuto, e respiro ogni decennio fino a renderli parte di me.
È impossibile separare gli assaggi dal flusso di coscienza che scorre a più voci. Sono speciali terziarizzazioni fatte di impressioni e di memoria, di tracce che scavano il tempo per arrivare fino a noi. Come i fiori ancora integri del Recioto 1961, uno dei vini storici della serata che Nino Franco comprava in damigiana, affinava in botte e poi imbottigliava. “Sotto le rughe ha un cervello brillante”, commenta Primo. Come l’Amarone del 1967 che dischiude un tannino flebile ma ancora vivo e un frutto in controluce, o quello del 1971 che invece il frutto lo custodisce gelosamente. O ancora come i diversi prosecco che tagliano gli anni Ottanta, Novanta e Duemila tra bollicine senza tempo, effervescenze scomparse, tenere dolcezze e tutte le sfumature dell’oro.
A proposito: che sapore ha Primo Franco 1983? Sa di caldarroste e confetti alla mandorla, di legni antichi e scrigni ritrovati. Sa di fiori che hanno perso il loro nome e di tutte le storie che invece non si sono perse. Come quelle raccontate questa sera. Forse obiettive, forse distorte dalla lente dei ricordi, ma non importa.
Perché alla fine è quello che sono oggi, e come sono diventate parte di noi, ciò che conta veramente.
3 Commenti
landmax
circa 3 anni fa - LinkMagnifico scritto.
RispondiSimone Di Vito
circa 3 anni fa - LinkDa applausi 👏 grande Graziano
Rispondisara
circa 3 anni fa - LinkUno scritto spettacolare che coglie nel segno. In alto i cuori!
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