Che cos’è il Musco, l’Orvieto come una volta di Palazzone

Che cos’è il Musco, l’Orvieto come una volta di Palazzone

di Jacopo Cossater

Se siete d’accordo farei così: salterei tutta la parte in cui descrivo Palazzone e spiego perché il lavoro portato avanti da Giovanni Dubini in questi anni sia stato così importante per il territorio. Tanto sono vini che conoscete: il Terre Vineate e il Campo del Guardiano sono due tra gli Orvieto Classico più rappresentativi della denominazione, vini che hanno sempre dimostrato quanto la zona se interpretata con intelligenza e con sensibilità sia in grado di esprimere bianchi di grande finezza, notevole spessore gustativo, stupefacente longevità. Tanto su Intravino c’è già tutto, qui per esempio un bel post di Alessio Pietrobattista dedicato proprio alla cantina scritto in occasione di una sua visita nel 2012.

L’occasione per tornare a parlare di Giovanni Dubini è oggi rappresentata dal Musco, progetto che nasce con la vendemmia del 2013 per provare a raccontare il territorio da un’angolazione un po’ diversa, quella dei vini fatti come una volta. Una scelta non casuale: all’interno della proprietà, alle spalle della cantina, salendo qualche centinaio di metri lungo una stretta strada sterrata, è possibile imbattersi in una grotta scavata nel tufo che in zona veniva storicamente utilizzata per vinificare e per lasciare maturare il vino delle vigne adiacenti. Dopo averla riscoperta per Giovanni è stato per certi versi naturale provare a cimentarsi con quello che ancora oggi a livello numerico è poco più di un gioco. Una piccola vigna di circa 3.000 metri pensata per questo progetto, appena 9 filari promiscui dove trovano dimora le uve più tradizionali dell’Orvieto, quelle le cui testimonianze sono più antiche: 50% di procanico (come viene chiamato in zona il trebbiano toscano), 30% di verdello (una varietà non così dissimile dal verdicchio, ottima in termini di contributo acido) e 20% di malvasia toscana. Varietà che vengono colte e vinificate tutte insieme, come si è fatto per secoli.

Il video qui sotto è stato realizzato da Palazzone proprio per raccontare il Musco e i luoghi in cui viene prodotto. Dura appena 3 minuti e vale la visione.

Da una parte quindi provare a fare il vino come lo facevano le famiglie della zona, per sé e per gli amici. Un bianco dal sapore ancestrale prodotto con le conoscenze che si tramandavano di padre in figlio. Dall’altra la volontà di cimentarsi con una produzione dal sapore antico con la consapevolezza di oggi, una sapienza in grado di evitare molti degli errori che caratterizzavano le vinificazioni di una volta. Provando a sintetizzare al massimo il Musco viene a grandi linee prodotto così, a partire da una raccolta delle uve ovviamente solo manuale: la pressatura avviene dopo una macerazione di 4 giorni in un tino aperto di castagno grazie a un antico torchio restaurato e il mosto così ottenuto fa una macerazione di 4 giorni con le bucce in un tino di castagno aperto, senza follature. La fermentazione spontanea avviene in botte sempre di castagno e si protrae per circa 2 mesi. Dopo una maturazione di circa un anno il vino viene travasato in damigiana, dove sosta per circa 4 mesi prima di venire imbottigliato manualmente, all’interno della grotta. Nessun tipo di paracadute enologico se non un uso piuttosto limitato di anidride solforosa che può arrivare a un massimo di 60 mg/l.

“Nel Musco non c’è residuo zuccherino – dice Giovanni – i vini che i contadini bevevano qui in zona erano sempre abboccati ma è è indubbiamente molto simile a quei bianchi, l’impronta è la stessa.”

Musco Palazzone

Tre le annate finora imbottigliate, in attesa di quelle ancora in fase di maturazione: 2013, 2014 e 2015. Queste le note che mi sono appuntato sul taccuino digitale in occasione della degustazione organizzata ieri in cantina:

Musco 2013 – Il più carico nel colore dei tre, a tratti barocco nei richiami quasi ambrati. Materia e profondità, allungo e sapore tra continui richiami di frutta secca prima e matura poi, albicocca e mela golden, agrumi e noci. Sembra quasi esserci un accenno tannico ma è solo un soffio, sensazione immediatamente spazzata via da una bella traccia salina, nota che tende a rimanere un po’ laterale a causa di una più incisiva traccia che richiama il ciliegio utilizzato in fase di maturazione. Non è casuale, la botte era nuova di zecca.

Musco 2014 – Il più chiaro dei tre, paglierino carico. Fresco, freschissimo, esprime purezza e libertà. È però incisivo e profondo, splendidamente giocato su note agrumate di limone e di fiori bianchi che richiamano la primavera, su sentori di licheni e in generale di sottobosco a ricordare le caratteristiche dell’annata. Un assaggio giocato su vari livelli di acidità, caratteristica che in qualche modo risulta essere la vera protagonista dell’assaggio. Saporito, snello al limite dello stretto, verticale nell’articolazione.

Musco 2015 – Il mio preferito. Dal colore carico, con sfumature dorate. È materico e scattante, apre su una nota appena bruciante subito sopita da elementi più grassi, a loro modo lenitivi. Poi come un coup de theatre ecco fare capolino una scodata acido salina di impressionante nettezza, capace di riportare in primo piano profumi come quelli dei datteri e dei fichi, del muschio e della mentuccia, della frutta secca e degli agrumi. Un bianco buonissimo, che impressiona per la qualità del sapore che esprime sia durante l’assaggio che nella nella scia che lascia dietro di sé.

Soprattutto, al di là delle ovvie grandi differenze relative alle annate, emerge con chiarezza la capacità del Musco di esprimere la propria latitudine di appartenenza. Un vino che come ha giustamente sottolineato Fabio Pracchia di Slow Wine gioca tutte le proprie carte sul sapore: sono densità e viscosità ad essere centrali nel suo assaggio, caratteristiche che vengono proiettate in avanti da una traccia salina di sempre grande incisività. Acidità salina. Sacidità.

Il Musco viene prodotto in 1600 bottiglie ed è possibile trovarlo in enoteca a un prezzo di circa 40 euro.

[immagine di apertura: Palazzone]

Jacopo Cossater

Docente di marketing del vino e di giornalismo enogastronomico, è specializzato nel racconto del vino e appassionato delle sue ripercussioni sociali. Tra gli altri, ha realizzato i podcast Vino sul Divano e La Retroetichetta, collabora con l'inserto Cibo del quotidiano Domani e ha cofondato il magazine cartaceo Verticale. Qui su Intravino dal 2009.

3 Commenti

avatar

Alvaro pavan

circa 6 anni fa - Link

Se pressano a torchio come possono macerare? Prendono le vinacce e le congiungono al mosto? E questa operazione, da qualsiasi parte la si guardi, avrebbe dell'assurdo. Mi sembra si stia facendo del folclore piuttosto che informazione.

Rispondi
avatar

Pietro mancuso

circa 6 anni fa - Link

Conosco bene il Musco avendo partecipato ad una bella degustazione La descrizione nell articolo non è del tutto precisa in quanto la macerazione con le bucce avviene in un tino aperto e solo successivamente viene utilizzato il torchio per la pressatura delle vinacce ! Ti assicuro nessun folclore ma piena ed intensa tradizione

Rispondi
avatar

Jacopo Cossater

circa 6 anni fa - Link

Grazie a entrambi, ho corretto quel passaggio.

Rispondi

Commenta

Sii gentile, che ci piaci così. La tua mail non verrà pubblicata, fidati. Nei campi segnati con l'asterisco, però, qualcosa ce la devi scrivere. Grazie.