Care’s 2019: intervista a Norbert Niederkofler, lo chef con la mente aperta al mondo

Care’s 2019: intervista a Norbert Niederkofler, lo chef con la mente aperta al mondo

di Graziano Nani

LA CASA DI CARE’S.
Tira un’aria speciale in Trentino Alto Adige. Un territorio con una densità di stelle impressionante, quasi trenta nel 2019. Tre sono quelle del St.  Hubertus di Norbert Niederkofler, che nel 2018 ha ottenuto il massimo riconoscimento dalla Guida Michelin. Proprio Niederkofler, insieme a Paolo Ferretti, è la mente di Care’s, evento di riferimento sul tema della sostenibilità in ambito food. Siamo a Plan de Corones, Brunico. Doppia lingua, doppi nomi per le città e doppio senso dell’ospitalità in questo angolo d’Italia che è terra di confine per antonomasia e crocevia di influenze culturali. Con Care’s l’anima cosmopolita della regione esplode grazie a una selezione di oltre trenta chef internazionali da tredici paesi, per un totale di ventisei stelle Michelin. La mente aperta, gli occhi rivolti a ogni angolo del pianeta: ecco la formula magica.

A CENA CON IL MONDO.
Per uno degli appuntamenti chiave dell’evento, la cena placè, siamo proprio a casa di Norbert, il St. Hubertus. Con un menù che parla tutte le lingue del mondo, grazie a piatti preparati da chef provenienti da ogni angolo del pianeta. L’ultimo passaggio è uno dei piatti chiave dello chef altoatesino: la lingua di vitello con mirtillo selvatico. Una proposta strepitosa che, con 2 materie prime chiave, inchioda nel piatto uno schema tanto lineare quanto assoluto: il grasso della lingua, l’acidità delle bacche. E soprattutto racconta la storia di chi, per primo, ha saputo cucinare la montagna per farla assaggiare al mondo.

QUATTRO CHIACCHIERE CON NORBERT.
La mia chiacchierata con Norbert Niederkofler comincia proprio da qui, da quel “Cook the Mountain” che ha dato inizio a tutto.

“Cook the Mountain” è il progetto che hai lanciato ponendo al centro la montagna per fare rete con cuochi, produttori, imprenditori… ce lo racconti?  
“Cook the Mountain” è la base da cui è nato tutto. È un concetto trasversale, universale. Qui siamo in montagna e facciamo “Cook the Mountain”, però la filosofia è applicabile ovunque. Puoi fare un “Cook the Sea”, o “Cook the Desert”… Il tema è molto semplice, riguarda il rispetto per quello che c’è intorno a te. Solo in questo modo puoi arrivare ai vertici della qualità, perché usi la materia prima solo nel posto giusto, e nel momento giusto… io credo che questo sia il futuro. Perché così esci da quello che è strettamente cucina, ed entri nel tema più ampio della cultura. Secondo me, con il lavoro fatto negli ultimi dieci anni, abbiamo aperto una strada nuova. Una strada per i giovani, per il futuro. Di questo siamo fieri.

In che modo “Cook the Mountain” si collega a Care’s?
“Cook the Mountain” nasce prima. Come ti dicevo, è la base. Poi ci è venuta l’idea di fare qualcosa di ancora più AMPIO su un argomento universale come quello della sostenibilità. Il tema è il lavoro etico, che si svolge cercando di generare meno spreco possibile. È questa è la cosa più importante, quella che unisce tutto. Noi siamo in montagna, ma Care’s è aperto. Invitiamo persone da tutto il mondo, e quando arrivano devono sentirsi libere di esprimersi. A uno chef come Jock Zonfrillo, che viene dall’Australia, non posso imporre una cosa o un’altra. Lui ha fatto un grandissimo lavoro – ha investito tempo, pensieri… – ed è giusto che lo racconti. La nostra ambizione è quella di avere un approccio globale, evitando di focalizzarci su un solo aspetto. Qualche anno fa, ad esempio, siamo andati al mare: una delle edizioni di Care’s si è svolta a Salina. L’altro tema di Care’s sono i giovani under 30: cerchiamo di creare per loro nuove possibilità, ad esempio abbiamo istituito delle borse di studio per sostenere i loro percorsi professionali.

Come ti piace definire Care’s? 
Care’s non è un brand, Care’s è una filosofia di vita. È una forma di rispetto per la natura. Oggi non riusciamo nemmeno a lasciare la natura così come l’abbiamo trovata. È importante lavorare sul futuro, per cercare di lasciare qualcosa di buono alle prossime generazioni.

Cambiando argomento, ti piace il vino? 
Certo. Per me ci sono alcuni momenti che sono strettamente legati a un bicchiere di vino. Per esempio quando sono con gli amici, intorno a un tavolo. Oppure quando siamo a casa io e mia moglie, tranquilli. Deve esserci la situazione giusta, un mood particolare.

Quando crei i tuoi piatti, come funziona con gli abbinamenti?
È un lavoro di squadra. Noi cuciniamo i piatti ai sommelier, e insieme troviamo gli abbinamenti migliori. Alcune innovazioni rendono gli accostamenti ancora più interessanti. Da poco, ad esempio, abbiamo fatto un grande salto. Abbiamo tolto tutti gli agrumi e lavoriamo solo con la fermentazione. Il risultato è che l’acidità dei piatti fermentati è più accessibile per il vino. Forse è più aggressiva all’inizio, però poi scompare e lascia molto più spazio per giocare.

Quale percorso di abbinamento, ad esempio, si può trovare al St. Hubertus?
A me piace l’equilibrio. Abbiamo un menu abbastanza lungo e per questo scelgo di non abbinare un vino a ogni piatto, sarebbe troppo. Cerchiamo di fare un vino ogni due piatti, oppure di spezzare con un succo di mela fermentato, o una birra. Abbiamo visto che funziona bene: pulisci il palato con l’acidità, e poi sei pronto per andare avanti di nuovo. Anni fa si metteva il sorbetto nei menu, una cosa completamente sbagliata. Veniva servito prima del secondo piatto. Ma se tu raffreddi la bocca e poi, ad esempio, bevi un vino rosso, fai fatica a sentirlo. Ci sono cose come queste che sono cambiate negli ultimi anni, e credo siano stati fatti dei passi in avanti.

LA MENTE APERTA.
Saluto Norber e mi rintano in un angolo a sistemare gli appunti. Cercando online* nuovi spunti scopro che il suo piatto preferito non è la lingua di vitello, o i ravioli al formaggio di montagna, ma gli spaghetti al pomodoro. “Nel cuore mi sono sempre sentito un cuoco del sud”, chiosa sereno. Eccola la mente aperta.

* GazzaGolosa, “Le mie tre stelle senza olio d’oliva, limoni e foie gras”, 13 gennaio 2018.

(foto: Luca Dal Gesso)

 

avatar

Graziano Nani

Frank Zappa con il Brunello, Hulk Hogan con il Sassella: per lui tutto c’entra con tutto, infatti qualcuno lo chiama il Brezsny del vino. Divaga anche su Gutin.it, il suo blog. Sommelier AIS, lavora a Milano ma la sua terra è la Valtellina: i vini del cuore per lui sono lì.

Nessun Commento

Commenta

Sii gentile, che ci piaci così. La tua mail non verrà pubblicata, fidati. Nei campi segnati con l'asterisco, però, qualcosa ce la devi scrivere. Grazie.