Cambiare vita in Toscana: un sogno di nome Poggio La Noce

Cambiare vita in Toscana: un sogno di nome Poggio La Noce

di Sabrina Somigli

Mi sono persa sulla collina di Fiesole in cerca di una azienda vinicola.

Se si analizza la frase in senso logico ci sono almeno due aspetti che di logica all’apparenza ne sono privi: perdersi a Fiesole e cercare vigne qui.

Fiesole sta in cima al colle fiorentino per eccellenza, quello da cui si gode un affaccio mozzafiato sulla città. La strada panoramica, poco meno di 2 chilometri, che sale da San Domenico e la collega a Firenze, si snoda tra Ville Medicee e hotel super lusso, scorci romantici sui tetti della città e indicazioni a caratteri cubitali per le migliaia di turisti che ogni anno passano in visita. Il versante figo della collina che si sale in porsche a navigatore spento. Qui solo giardini all’italiana e zero vigne.

Ma basta attraversare la piccola cittadina etrusca e scollinare a nord per ritrovarsi sul B-side fiesolano, il lato wild&chic  boscoso, quello delle antiche cave di pietra, forse il versante ancora più figo, ma da affrontare in jeep con bussola perché le stradine sono strette il navigatore ti abbandona.

Da questo lato qualche vigna c’è, solo che non si vede. E pare lo stile prediletto da chi fa vino quassù, quello delle vigne vedo non vedo. E comunque da queste parti a fare vino sono solo in tre o quattro eh.. a partire da Bibi Graetz, che al Castello di Vincigliata, è stato il primo a far parlare di vino a Fiesole.

Poco distante da Vincigliata, in direzione nord tra Ontignano e Montebeni trovate Poggio La Noce. L’azienda di Enzo Schiano e Claire Beliard, è stata fondata nel 2000. Enzo e Claire si conoscono a Seattle dove entrambi lavorano per Microsoft, poi la decisione e il cambio di vita radicale: la campagna, l’agricoltura.

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Era il 1999. All’inizio la tenuta di circa 16 ettari comprendeva  solo olivi, il bosco e ruderi da rimettere. Adesso c’è una cantina ricavata sotto il terreno, che ha richiesto appena 6 anni per il rilascio del permesso di costruzione da parte degli enti preposti, inaugurata 4 anni fa, tre ettari di vigneto, e circa 14.000 bottiglie prodotte con base sangiovese: Gigetto, Gigino, Gigiò, Paonazzo e Pinko Pallino. A completare una piccola produzione di Vin Santo del Chianti DOC occhio di pernice, l’Ejià, e il neonato Pet’golo, pet-nat da sangiovese e teroldego.

Non stupitevi dei nomi spiritosi, questa pare essere l’altra caratteristica insita al terroir fiesolano, dove le sfumature di Gigio fanno compagnia al ben più chiacchierato Soffocone o a Le Cicale di Vincigliata. Viva la fantasia, in una Fiesole pure troppo aristocratica, è una bella scelta bandire i nomi altisonanti.

Fiesole per i reperti storici e non solo, è tappa obbligatoria per chi passa da Firenze. Allora visto che ci siete fate un salto anche a Poggio La Noce. Vale.

Gigiò 2016, IGT Toscana: è il primo vino nato in azienda, dalla prima parcella di sangiovese piantata, con esposizione a sud che guarda la valle dell’Arno verso Compiobbi. Ha una piccola percentuale di colorino da un vigneto di circa trent’anni. Il sangiovese affina in botte grande mentre il colorino in barrique. Ematico e speziato sono gli aspetti marcanti; la nota sanguigna del sangiovese si arricchisce e ingentilisce grazie a freschezze di alloro, rosmarino e leggera tostatura di frutta secca. Il pepe nero al naso che diventa accenno piccante in bocca è divertente e ne allunga la persistenza. Sorso oltremodo piacevole. Sull’etichetta la sagoma di Gigiò, un amico di infanzia di Enzo.

Gigetto 2017, IGT Toscana: sangiovese con una piccola percentuale di canaiolo e colorino e maturazione di un anno in botte grande. Ne risulta un sorso molto “tipico” ed equilibrato, in cui si avverte la ciliegia fresca, la violetta, ma anche il sottobosco, la terra umida, un sorso molto schietto, piacevolmente acido, di medio corpo che stupisce per un tannino estremamente levigato. Uve dal vigneto Le Civette, a monte dell’abitazione, dove risiede una famiglia di civette alla quale è dedicata l’etichetta. Vino uh-o! uh-o! come il canto della civetta.

Gigino 2018 IGT Toscana: solo sangiovese dalla Vigna I tulipani, che insiste su un terreno particolarmente sassoso; a inizio estate la vigna si colora di tanti tulipani rossi che vengono raffigurati anche in etichetta in bocca a un cinghiale. Disegno che è forse espressione del rustico che si fa gentile o forse è solo l’auspicio che i cinghiali si contentino dei fiori anziché farsi fuori tutta l’uva. Non saprei, quello che invece so è che Gigino è davvero niente male, sa di ginepro, piccoli frutti di bosco, e tante erbe aromatiche dal rosmarino all’alloro. Ha un sorso leggero, che cerca la gola con un piacevole retrogusto fresco e balsamico.

Paonazzo 2015 IGT Toscana: sangiovese e colorino fifty-fifty. Si fa intenso nel colore, paonazzo appunto, che è il colore viola scuro dell’occhio sulla coda del pavone e che ne diventa simbolo in etichetta. Si fa più intenso anche al naso, la ciliegia diventa sotto spirito, la tostatura più spiccata, e anche il tannino più presente, meno integrato rispetto ai vini precedenti. In bocca cala l’aspetto aromatico in favore delle sensazioni tattili che un po’ penalizza il sorso e l’impressione finale.

Pinko Pallino 2019 IGT Toscana: è il rosato dell’azienda da uve teroldego. Non vi sorprendete, c’è più teroldego di quanto si pensi in Toscana, perché dice abbia una maturazione contemporanea a quella del sangiovese. Pinko Pallino potrebbe essere in teoria un rosato qualunque, invece a dispetto del nome resta impresso: lampone, giaggiolo, fruit joy e anice. E in bocca è sapido e vivace con un finale che tiene su cenni belli di lavanda e frutta rossa.

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Sabrina Somigli

Chiantigiana di nascita, microbiologa di formazione, poi sommelier e ristoratrice per vocazione. Raccolgo erbe spontanee e non è colpa della laurea in scienze agrarie; amo il vermouth liscio e il brodo caldo ma non per questo so sferruzzare a maglia. Mi sono appassionata al vino più o meno vent'anni fa, quando lavoravo in Tasmania; ci rido ancora pure io, tranquilli. Credo nel bevi e lascia bere e raccontane se vuoi, ma sii breve.

6 Commenti

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Stefano Cinelli Colombini

circa 3 anni fa - Link

Non mi sorprende. Casa nostra a Firenze è a Corbignano (confiniamo con Vincigliata, che è subito di là dalla Mensola) e nella ventina di ettari del parco c'era una vigna che dava un ottimo vino. Quando ero bambino a tavola bevevamo quello, non il Brunello che facevamo a Montalcino.

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Stefano

circa 3 anni fa - Link

"Quando ero bambino ... bevevamo". sono indiscreto se chiedo di dirci di più? (cioè: in che anni e a che età i bimbi toscani bevevano vino a tavola?)

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Stefano Cinelli Colombini

circa 3 anni fa - Link

Sono nato nel 1956, e quando ero piccolo la merenda normale dei bambini toscani era pane, vino e zucchero. Ancora usa in campagna. Il primo mosto in fermentazione l'ho bevuto a cinque o sei anni, è una leggenda di famiglia la corsa che feci al bagno nel pomeriggio perché dopo tre ore, per dirla con parole educate, mi si sciolsero le budella. Ma era uso normale nelle case dei nostri contadini di dare anche ai bambini l'acqua con sempre un po' di vino, lo si fa da millenni come potabilizzazione dell'acqua, che era di fonte e spesso non del tutto pura. Mica esistevano gli acquedotti e la potabilizzazione col cloro. Il vino è stato un alimento per millenni, solo di recente è diventato un lusso e un rischio per via dell'alcolismo. Era una cosa normale della vita, e sarebbe bene che tornasse ad esserlo.

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Alessandro

circa 3 anni fa - Link

Vino ai bambini anche no dai. Fa male. Punto

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Franca

circa 3 anni fa - Link

Sono nata nel 1964 e le abitudini descritte dal sig. Colombini (bere da bambini vino con acqua, ecc. ) erano molto comuni anche nelle famiglie di non contadini negli anni 60/70. Bere il vino era normale tanto quanto usare il sale (ovviamente in dosi diverse rispetto agli adulti); difficilmente quello che compariva in tavola era proibito ai bambini. Penso che sia proprio la scomparsa del vino dalla quotidianità che ha portato oggi al consumo dell'alcool in modo smodato e distorto da parte dei giovanissimi

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Fabio

circa 3 anni fa - Link

Io sono del '64 e pane vino e zucchero stava la pomeriggio come la tazza di caffelatte con il pane alla mattina prima della scuola. Mio nonno che aveva lasciato il Veneto a causa della guerra mi dava il vermuth da piccolo perché insieme ad acqua e vino "faceva sangue ".

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