Brunello di Montalcino Il Marroneto, la verticale di John Fogerty

Brunello di Montalcino Il Marroneto, la verticale di John Fogerty

di Emanuele Giannone

È trascorso molto tempo, se vale il calendario. Ma il tempo è trascorso molto per mare e molto per ozio – l’ozio classico di amori pomeridiani e pagine, conversari e convenevoli, pane, vino e Kaurismäki, deschi e dischi. Per giunta, molto tempo è un termine vano e sovrastrutturale, soprattutto quando ci sono di mezzo il mare che fa dire e fare, liquida i calendari e distrae le distanze; e l’ozio che disossa orologi e velocità, ne fa bocconi nudi e crudi, pronti per lente cotture e lenti assaporamenti. Uno slow food for thought che mescola memorie e desiderio, abdica al riscontro cronometrico, determina che Siena in novembre non sia lontana più che ieri il bayou, cantato da molti e risuonato in un pullman da Houston a Galveston, costa cajun: occhi incollati al vetro, il pensiero ai Creedence Clearwater Revival e proprio durante la rêverie ecco la voce e le corde del capoelettricista-chitarrista, rara risorsa umana che mi pregio di avere in squadra come tutti i suoi preziosi colleghi, lui che parla la lingua dei trasformatori e canta l’inglese di Manfredonia, lui che mai senza la chitarra, poco importa che si parta per Palermo o Caraibi, Napoli o Singapore.

Sdoganiamo le distanze. Sdoganiamo le dissonanze e ascoltiamo quest’accordo strano e sincretico che oggi congiunge John Fogerty e Alessandro Mori, il texano e il toscano: del secondo e del suo collateral homage al Sangiovese Purosangue novembrino mi capita di scrivere oggi, stando per mare. Tanto è come se fosse ieri e a terra, nel bayou o a Siena poco importa. Domani si arriva a Castaway Cay, isolotto di ozii cinematograficamente rilevanti, e poi Nassau e si berranno rum e Kalik (1) fumando sigari chiari e dolci. Poche ore fa, a Galveston, consigliato da un replicante dei ZZ Top (2) bevevo una grande IPA (A Pale Mosaic, prodotta da Hops and Grain, prendere nota) e pensavo al Brunello. Pensiero stridente, ma se vi infastidiscono feedback e distorsori peggio per voi, restatevene pure con papaveri e papere. Sarebbe bello se un qualche dopodomani a venire Alessandro Mori riproponesse una verticale, magari del suo vino della Madonna, dopo averci proiettati in ozio e fuori tempo – quante ore durò a Siena? Due? O tre? – col Brunello d’annata. Ricordo tutto bene come se fosse ieri, i vini e la sua mezza promessa di una seconda puntata col vino della Madonna. Domani, intanto, rum e Kalik.

Azienda Il Marroneto di Alessandro Mori Lucia Nannetti manager

Brunello di Montalcino Il Marroneto
L’asterisco segnala i vini migliori secondo il giudizio personale. Il mio preferito fu nell’occasione il 2008.

1980. Naso esile, elegante e antico. Fiori ed erbe essiccati, tè, ibisco, pula, tisane e un tenue cenno di bacche rosse disidratate. Si svolge veloce, quasi avesse fretta di sfogliare le pagine trascolorate che illustrano la presenza e il nerbo che furono, l’inizio del gioco: “C’era il gioco”, dice infatti Mori dei suoi inizi. Bel gioco allora, bel ricordo oggi.

1987. Sulle prime suadente, terragno e carnoso, poi si ricompone in grazia e contegno sfogliando le rose, proseguendo su note terziarie in successione lenta, aeree, con fiori secchi, fogliame, acqua di rose, frutta candita (agrumi, zenzero) e pane di spezie. Equilibrato e progressivo anche nello sviluppo al gusto: composto, presente e sapido, delicato nelle note speziate e iodate, risolto per tannini e acidità in un tocco delicato ma durevole, non evanescente.

1989. Spezie, tabacco, cenere, cacao, conserve e mon chéri per un impressione nel complesso dolce, morbida e risolta. Evolve velocemente in una parte minerale di ardesia, tè nero e terra. Bocca piana, non discontinua, esile in progressione e con finale terroso e un poco asciugante. In tono minore.

1992. Delicato e declive. Profuma ancora di fiori e poi tè, neroli, acqua di pomodoro, garofano e ruggine. Alla distanza compaiono salamoia e infusi. È un fiore delicato ed esile. Al gusto conserva freschezza e sapidità, la progressione conserva tono ed è un’antologia di aromi terziari. Chiude su terra e spezie scure, con tannini piccoli e asciuganti.

1994 (*). Naso contratto e serio che riporta apparentemente a una sostanza più integra e vigorosa, infatti la bocca indica una fittezza di trama, una robustezza di stoffa che serbano materia ed energia inesauste. Integra è anche la qualità del frutto, che poco concede alle conserve e colpisce per succulenza e maturità. Dinamica gustativa continua e coinvolgente, bella definizione aromatica. Dopo la triplice apertura all’insegna di piacevoli nostalgie e suggestioni vintage, qui finalmente materia e calore, presa e polpa, lunghezza e piacere di bere per una prima, vera prova di stile e classe.

1995. Agrumi, ibisco, lamponi, ginepro e spezie rosse in un profilo olfattivo unitario e leggiadro. Maturità sottile e luminosa, non cedevole, né molle. Alla distanza un delicato cenno ad anice e pot pourri di fiori. Bocca fresca, progressiva, sorprendentemente pronta e ferma nel tocco, piena per effusione aromatica, quindi calda in progressione e abbastanza persistente.

1998. Terra, radici, funghi freschi e una nota sanguigna con il frutto sullo sfondo, maturo e integro. Più dinamico al sorso con attacco di grande presa, energico e apprendente, agrumi e amarene ad aprire lo sviluppo, influenzato da tannini incisivi e alleganti.

1999 (*). Terra umida, ginepro, pigna, edera, fiori blu, mora, aronia, salagione e ferro per presentare sommariamente il profilo di un vino ampio e profondo, elegante, ricco di spunti olfattivi di bella definizione e pregevoli per unità espressiva. Prende il palato risoluto, energico, vivo di una tensione soffusa, senza strappi. Vino ponderoso e serio, dal profilo aromatico che compendia le note scure di liquirizia, mirtillo e cacao alla dolcezza acidulata dell’arancia sanguinella e della melagrana, ornato di note più soffuse di spezie e fiori, con un lungo finale di frutta da guscio ed erbe amare ritmato da tannini giovanissimi, radenti e croccanti. Colpiscono durata e intensità dell’impressione tattile.

2000. Concentrazione e pienezza senza pleonasmi, il frutto è maturo e denso ma giusto. Bocca succosa e tenera, setosa, arricchita da richiami alle spezie e al frutto (ribes, mora) insieme a note amare e terrose molto composte. Tannini radenti e ben calibrati.

2001 (*). Frutta rossa e scura fresca, profondità e droiture, un marcato accento amaro (erbe, china) e più in generale una complessità non ostentata. Discreto nella presentazione, non per la qualità. Dinamico e verticale al palato, di materia ingente e grande slancio, deciso nella presa e preciso in progressione. Sapidità salina, infusa e nettissima, diffusione aromatica dosata ma incessante. In proiezione, un grande Brunello per molte altre bevute a venire.

2003. Ecco il Marroneto cajun, ci saluta dalle zone calde. Maturo e dolce nel frutto (cotognata, confetture di more e ciliegie), secco nella parte vegetale di fieno e altre erbe, quindi lardo e ruggine. Non propriamente stanco ma piano, con palato lento e massivo, ampio, morbido, dalla tensione risolta e con tannini duri, brucianti.

2008 (*). Già al naso è fermezza e freschezza: il frutto non è ostentato ma si dà in finezza e nella succulenza aspra di aronia e melagrana, mima la dolcezza di camemoro e prugna, la riveste di curcuma e chiodo di garofano, radici, erbe amare, una vena balsamica di bacca d’alloro. Il tocco di bocca è forse il più fine della rassegna, la progressione è la più espressiva e continua, la diffusione calorica e aromatica semplicemente perfetta. Vino esemplare per intatta energia e grazia non estenuata, leggasi eleganza.

2010 (*). L’ansia prestazionale dei più insigni brunellògrafi, specialmente di quelli inclini al supersizing, può far danni: quando, ad esempio, si sfidano a chi celebra più entusiasticamente i migliori anni della nostra vite, finisce che laggènte si stufano e aspettano trepidanti the next big thing (in arrivo a breve, tra l’altro, con la 2012). Anche per questo è bello ritrovarsi a gustare una 2010 ad altoparlanti spenti; una che, come questa, merita silenzio e ascolto, la cui bontà è concinnitas – complessità ed equilibrio e giochi plurimi di corrispondenze – e in due anni si è accresciuta in progressione geometrica. A proposito di progressione: energica, pressante, piena. Aggiungiamo profondità in allungo e persistenza aromatica. E la purezza del frutto scuro all’olfatto. Non sarà il premiatissimo vino della Madonna, ma quest’icona minore è pur sempre preziosa.

2011. L’élan vital. Nodoso, nervoso, impulsivo. Un’arancia rossa , un mazzo d’erbe fini, una presa di sale e tannini grintosi e ben integrati. Al cospetto del precedente suona più acuto (e su una corda elettrificata). Magro, scontroso e bello.

2012 (*). Bound by wild desire / I fell into a ring of fire. Arancia amara, habanero blanco, pimento, acciuga, felce, edera, rovo, tutto parte in bassa frequenza e cresce. L’oggetto irradia, è denso e concentrato, energico, in transizione verso uno stato di equilibrio che si preannuncia per segnali: l’impronta (o il graffio), la tensione, il succo, la presenza, l’ampiezza. And it burns, burns, burns.

PPS. Faceva parte della rassegna anche il Brunello 2004 penalizzato dalla bottiglia non integra. Questa degustazione uscì dritta dalla cantina di Alessandro Mori nonché dal sacco di Sangio Claus, alias Babbo Bonucci, nel novembre scorso, durante la prima senese del suo Sangiovese Purosangue. Della festività scrissi qui. Li ringrazio di nuovo.

Note:
1. Kalik è il nome di una delle due birre nazionali bahamiane e sta a Sands come Peroni a Moretti.
2. Immagino che visitiate Galveston regolarmente e che sappiate quindi quanto bene si beve (birra) al Brews Brothers, 2404 Strand St, TX 77550. Ho un collega che ne sa una più di Poldo secondo il quale anche gli hamburger sarebbero deliziosi.

Emanuele Giannone

(alias Eleutherius Grootjans). Romano con due quarti di marchigianità, uno siculo e uno toscano. Non laureato in Bacco, baccalaureato aziendalista. Bevo per dimenticare le matrici di portafoglio, i business plan, i cantieri navali, Susanna Tamaro, il gol di Turone, la ruota di Ann Noble e la legge morale dentro di me.

2 Commenti

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Marco Bariani

circa 7 anni fa - Link

Fogerty mi pare sia californiano ma poco importa

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Emanuele

circa 7 anni fa - Link

Lo è. Ma al contempo (da solo e insieme ai CCR) decisamente sudista d'adozione (e ispirazione).

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