Brexit: annullati gli obblighi burocratici che bloccavano il vino europeo

Brexit: annullati gli obblighi burocratici che bloccavano il vino europeo

di Elena Di Luigi

Non capita spesso che un governo cambi idea, soprattutto se significa ammettere un errore. Ma quando succede ed è per il bene di tutti, allora tutti, anche gli ex amici, devono apprezzarne lo sforzo. Il governo britannico ha accolto la richiesta della sua industria vinicola e ha deciso di rinunciare al certificato VI-1 che sarebbe entrato in vigore da gennaio 2022 per la importazione e la circolazione dei vini europei in GB.

Aveva sorpreso tutti scoprire che, dopo il divorzio, la GB avesse deciso di mantenere questo obbligo burocratico prodotto dal parlamento europeo ma che l’Europa non voleva applicare. Fino a quando non ha parlato l’industria, con i numeri: la UE fornisce circa la metà dei 4,4 miliardi di dollari di vino che GB importa ogni anno, cioè il 55% del vino consumato nel paese.

Il documento VI-1 nasce in Europa negli anni ‘70 con lo scopo di salvaguardare le identità vinicole dalle imitazioni provenienti dal Nuovo Mondo. Ancora oggi i paesi terzi come l’Australia, devono corredare il vino da esportare in Europa con delle analisi di laboratorio che dimostrino, per esempio, il livello alcolico e l’acidità. Il costo di queste analisi varia, per esempio è minore per chi imbottiglia nel paese di arrivo, come le grandi aziende vinicole a cui basta un campione per serbatoio.

Ed è stato questo il modello preso in considerazione dal governo che ipotizzava un ammortizzamento dei costi del VI-1 di 10 pence a bottiglia. Ma non sarebbe stato così per i piccoli produttori e per le aziende di vini pregiati, che esportano vino già confezionato e per i quali fornire la campionatura ai laboratori significa aprire bottiglie costosissime, spesso provenienti da più vigneti piccoli, e che comunque non possono essere rivendute in alcun modo. Oltretutto per le piccole aziende il VI-1 avrebbe reso difficile sfruttare il groupage con merci diverse, perché i controlli, tra l’altro, avrebbero ritardato la distribuzione.

La campagna che ha portato il governo a cestinare questo ostacolo burocratico è stata possibile grazie alla determinazione e compattezza dell’industria vinicola che deve gestire quotidianamente gli ostacoli e i ritardi venuti alla luce da gennaio ad oggi.

L’importatore del Galles, Daniel Lambert, se ne è fatto portavoce facendo presente che il governo non poteva permettersi di non ascoltare. Anche qui i numeri parlano chiaro: il settore vinicolo della GB contribuisce con circa 11 miliardi l’anno all’economia del paese, dà lavoro a 130,000 persone ed è la carta che il ministro delle finanze si gioca, indipendentemente dalla sua provenienza politica, quando c’è necessità di fare cassa.

Basti dire che dal 2010 la tassazione dei vini ha visto un incremento del 39%, superiore a quella sulla birra (+16%), sul sidro (+27%) e sui super alcolici (+27%). Lambert ha lanciato con un tweet una nuova discussione, questa volta sulla mancanza di camionisti (heavy goods vehicle driver), facendo presente che si tratta di un altro problema che la GB non aveva prima di gennaio 2021. È stato stimato che mancano 90,000 HGV drivers, e tra questi anche i 25,000 europei che se ne sono tornati a casa dopo il divorzio.

Ma non finisce qui. La GB è determinata a confermarsi hub europea del commercio dei vini e per questo, secondo Bloomberg, il governo britannico si sta adoperando per togliere anche ai paesi non europei l’obbligo di presentare il certificato VI-1. Ricordiamo che transitano su territorio britannico anche le bottiglie prodotte in UE destinate all’Asia, agli Stati Uniti e in alcuni casi anche quelli rivenduti in Europa, come per esempio fa Liv-ex che compra vini pregiati dalla Francia, li immagazzina a Londra per poi rivenderli ai consumatori francesi, spesso anche in quantitá superiori di quelle distribuite a casa.

Insomma, si fa ancora fatica a capire e a vedere i numerosi vantaggi che la GB prevedeva con l’indipendenza votata nel 2016. A proposito, é di poche ore fa la notizia che ad alcuni mesi dal fatidico referendum, David Cameron, allora primo ministro, fu tra i piú fervidi sostenitori di una tassa pensata per i cittadini non UE che entrano nella zona Schengen senza passaporto europeo. La tassa che dovrebbe entrare in vigore nel 2022, sarebbe di 7 euro e con validità triennale, da applicare a tutti gli adulti tra i 18 e i 70 anni.

Neanche a dirlo, i Brexiteers sono furiosi, ma si sa che ‘What goes around, comes around’.

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