Bergmannhof, il sogno della famiglia Pichler

Bergmannhof, il sogno della famiglia Pichler

di Davide Bassani

Noi, abitanti della bassa, quando arriva la canicola, pellegriniamo verso la montagna per scongiurare i tiri mancini della calura. Come Fantozzi in gita con Filini, Calboni e compagnia la scelta è caduta sulle montagne dell’Alto Adige e la meta non era esattamente Ortisei o la clinica del dott. Birkenmaier (tu mangia?!?).

Son capitato ad Appiano e, tra meleti e vigneti, ho avuto modo di farmi un giro nella cantina – di cui ho già scritto della loro Schiava dalla beva assassina, in occasione del mercato FIVI 2019 – della famiglia Pichler (az. Bergmannhof). Di seguito i miei assaggi:

Schermata 2021-07-28 alle 18.16.14

Chardonnay 2020: fermentazione in acciaio (ed una minor parte in tonneau di quercia), nessuna fermentazione malolattica. Chardonnay inconfondibile di melone, frutto della passione, mango; a tutta frutta con tocco felpato ed acidità sensibile. Sapido quanto basta per invogliare il secondo bicchiere. Ha del tempo davanti, ma tanto ne ho fatto scorta…

Sauvignon 2020: anche qua, fermentazione in acciaio e niente malolattica. Sauvignon classico ma non banale (e ci sarebbe da dirne circa la devianza di certi Sauvignon): foglia di pomodoro, erbe falciate, sapido-sapido-sapido e minerale-minerale-minerale. Buono, ma io ho un debole per il Sauvignon e forse son di parte. Ho già detto minerale?

Lina 2018: Uno Chardonnay Riserva con i galloni del capo, importante, austero, raffinato: una nobildonna teutonica che ti scalda con un sorso. Decisamente materico ma mai pesante, elegante e con un tocco legnoso preciso, che c’è ma non si vede lasciando intatta una certa acidità; di frutta secca e tropicale (ancora? Si, ancora). Prove di Borgogna?

Rosé 2020: Cabernet Franc in gonnella (in tulle rosa per la precisione). Colore ammaliante di rosa confetto ma che piace tanto anche ai maschietti per la bevibilità schietta e diretta. È la mia prima volta. La prima volta che bevo un Franc in rosa ed il risultato mi ha fatto godere. Vedi alla voce fruttini di montagna rossi, lamponi e ribes su tutti. Bbono.

Schiava/Vernatsch 2020: il mio “must drink”. Abbiniamolo a qualunque cosa, dal prosciutto e melone all’orata all’acqua pazza cucinata dalla zia ancor più pazza, alla sogliola, al culatello, alla serata prossima ventura con la ragazza dell’appartamento del secondo piano per far bella figura (e un po’ il fanatico). Una sicurezza. Con sicumera ed atarassia si impone per bevibilità e quel sapore di frutta non ti molla più. Semplice, tutt’altro che banale. Questi sono i vini che si bevono volentieri e con il sorriso stampato sulla faccia. Da ebete però.

Hoamet Schiava 2019: Schiava alla borgognona. Non sto parlando di sfruttamento della manodopera femminile in terra francese ma del tentativo di dare struttura, portanza e longevità ad un vino che, storicamente (ma è tutto da vedere), non si è mai bevuto oltre l’annata. Vinificato con i raspi, che donano tannino, una nota di “verde” ed ammansiscono l’apporto del legno in affinamento. Una ricerca perenne di equilibrio, un funambolo. Tipo Ilicic in gol contro la Roma (il gol del 4 a 1) quest’anno: sembra sempre che cada, che caracolli. Ma alla fine la mette. E tu finisci la bottiglia.

Merlot 2019: Una sicurezza. È il porto sicuro dove rifugiarsi quando piove e tira vento, lui è sempre lui, il Merlot ed incarna benissimo qualunque luogo, qualunque terra. Ciliegioso ma senza essere noioso, sapido quanto basta e dal tannino dolce ed ammansito dal rovere, come sopra gestito a dovere dalla famiglia Pichler.

Lagrein 2020: il ragazzotto che ha appena scoperto di avere la voce profonda ed i baffetti sotto al naso, la prima barba che spunta, ma gli occhi delle ragazze no, quelli ai più grandi, non sono per lui (ancora, vedi sotto). Tannico, acido, duro (ma come può essere duro un bambinone eh), fruttato e nemmeno poi tanto, ci fai due chiacchere con lui, aspetti che faccia le sue esperienze per incontrarlo domani, forse, o dopodomani, meglio. Avrà senz’altro qualcosa di più da raccontarti, ora è ancora presto. Ma si farà.

Lagrein Riserva 2017: Intenso e complesso, di grande persistenza e materia. Rosso scuro come sa essere il Lagrein – che ricorda certi vini del sud Italia per intensità cromatica – è in bocca che diventa elegante, lungo e piacevole. La dimostrazione di come il Lagrein sia un vino da invecchiamento – magari non decennale forse, come mi conferma il buon Benjamin Pichler. È il ragazzotto che è diventato grande e lui si, gli occhi delle ragazze riesce ad acchiapparli.

Kålch 2016: 24 mesi di rovere più 24 mesi di bottiglia, tappatura con sughero e ceralacca (che adoro) per questo Cabernet Franc con saldo di Merlot. Un uomo maturo – ma non vecchio: al solo schiocco di dita accende la “modalità fascino” e tutte cadono ai suoi piedi. Sempre in grisaglia, elegante ma senza essere ingessato in un vestito non suo; è a suo agio alle serata di gala. Imponente e già ottimo ora ma con prospettive di affinamento lunghe – se non di più. Tannino vellutato, fruttato ma speziato di anice, un tocco di vaniglia, liquirizia – tutto ben dosato e con l’equilibrio di chi ha il buon gusto di non definirsi il meglio figo del bigoncio anche se lo è e sa di esserlo. Questo è lo stile. Tutti lo invidiamo ed in fondo è giusto così.

Nessun Commento

Commenta

Sii gentile, che ci piaci così. La tua mail non verrà pubblicata, fidati. Nei campi segnati con l'asterisco, però, qualcosa ce la devi scrivere. Grazie.