Bere e scrivere, uomo o donna (spoiler: contiene esempio becero da supermercato)

Bere e scrivere, uomo o donna (spoiler: contiene esempio becero da supermercato)

di Sara Boriosi

Non saprei dire quale sia stato l’innesco che ha portato a far deflagrare questo pensiero. Da un po’ di tempo ho iniziato a prestare attenzione alla frequenza con cui leggo articoli sul vino scritti da onorevoli professionisti uomini,  rispetto a quelli firmati da altrettanto preparate e autorevoli donne. Con  una punta di imbarazzo per la categoria cui mi pregio di appartenere, mi trovo a leggere con più regolarità firme maschili – spesso più secche – dove il vissuto personale (come nel caso di questo pezzo) viene meno alla costruzione dell’articolo ma quando si intravede è più gustoso e – salvo dovute clamorose eccezioni – poco autoreferenziale. Insomma, per dirla in soldoni, a parità di bravura la scrittura maschile ai miei occhi ha più appeal. E questo, non lo nascondo, oltre a colpirmi nel vivo mi fa pure sentire in colpa.

Non devi fartene una croce, non è questione di bravura: le donne che scrivono di argomenti così specifici, in ogni settore, sono perfino più preparate dei loro colleghi uomini. Il problema è che a voi che scrivete di vino manca quel vissuto un po’ sporchino, quel cameratismo e la cialtroneria che fa da collante a un gruppo di amici cazzoni che decidono di prendere un furgone e andare in cantina in Langa – per dirne una – anche solo a ubriacarsi.

L’analisi sociologica ad opera del mio compagno, venuto in soccorso ora che sento sul groppone la condanna di alto tradimento del gender di appartenenza, mi convince in parte. Sin dai tempi dei dettati in prima elementare la bravura e la preparazione sono appannaggio femminile; ai maschi è sempre concessa un po’ di rilassatezza in ogni loro espressione, so’ ragazzi, che ci vuoi fare. Dunque la scrittura femminile è leggermente più faticosa, perché volta a dimostrare che si è padroni dell’argomento; perde spontaneità e guadagna nozioni.  Personalmente, preferisco leggere chi  scrive per gli altri e non per sé, per sfogo o per bisogno fisico, per esibizionismo, per terapia o per autoaffermazione – categorie che sono state coperte di volta in volta dalla sottoscritta. Chi scrive di vino usando un linguaggio più leggero o spingendo con le iperboli, agli occhi di chi legge guadagna in scorrevolezza ma perde in serietà. E non sono io a dirlo in preda a un moto di autocommiserazione; basta dare un’occhiata ai vari panel tematici in calendario durante le manifestazioni enologiche:  il rapporto tra relatori e relatrici è sconfortante.

Non contenta delle considerazioni a cui sono giunta, sento la necessità si un altro parere dunque giro la questione a Raffaella Guidi Federzoni, un’autrice che leggo sempre con divertita attenzione perché sa trattare argomenti spesso spinosi con grande lievità

“Il pianoforte va suonato da un uomo” così affermava categorica la mia nonna materna, madre di tre femmine e biecamente maschilista. Un paio di generazioni dopo siamo ancora a questo punto? Riguardo al pianoforte e a tanto altro, per esempio la capacità di scrivere di vino e del mondo che lo circonda, ogni tanto me lo chiedo e tutte le volte mi rispondo con lucidità e senza alcuna acrimonia: più o meno sì, nel senso che la percezione di uno scritto da parte di chi lo legge è viziata dal “gender” di chi lo scrive. Non sono la sola ad interrogarsi, diverse amiche mie di penna e di bicchiere avvertono questa discriminazione nemmeno tanto sottile e ne soffrono. Ad essere sincera fino alla spietatezza ne soffro anche io, seppure superficialmente.

Forse bisogna partire da cosa si intenda per scrivere bene: uno stile scorrevole, penetrante, strutturato su informazioni concrete e corrette. Beh, non ne siamo forse capaci anche noi donnette? Certamente sì, ma spesso scriviamo in modo leggero, troppo leggero per chi ritiene che una lettura seria comporti pesantezza. Cambiare quindi? Neanche per sogno, meglio che cambi una certa cultura nel leggere e nello scegliere cosa e chi leggere. Cambiare le proprie sicurezze, cercare un approccio anche scivoloso, meno confortante perché meno conosciuto. Chi può aiutare nel cambiamento? Direi innanzi tutto gli “editori” in senso lato, cioè chi decide quali autori pubblicare. Mi sembra che nell’ambiente vinoso il manico sia sempre tenuto da mani pelose e molto caute. Poi, voi lettori abituali, ecchecacchio, voi enolettori piselluti, smettetela di vergognarvi nell’ammettere che leggete abitualmente la tale o la tal’altra perché scrive ed informa bene e non solo perché ha un bel paio di tette! Possiamo lavorare sull’autostima quanto ci pare, ma l’ambiente è ancora quello che è, almeno nel nostro campicello italico.

Mi tolgo dalle spalle una bella zavorra: il dubbio sulla differente percezione di genere da parte del lettore c’è ed è condiviso, non è solo roba mia.  Forse, come dice Raffaella, è solo questione di abitudine. Bisogna spingere affinché non ci si ritrovi mai nella condizione di abdicare al proprio stile per somigliare ad altro. Forse è necessario sentirsi più rilassati e sicuri di sé, senza avere addosso la sensazione di trasmettere agli altri che si è capaci tanto quanto.

Tiro un respiro e torno in rete, clicco sul link che mi è stato girato da un contatto e mi si apre una pagina che reca scritto questo: Giornalisti e winewriter  (nella categoria rientrano ormai anche le graziose donzelle che necessitano di due sedute dall’estetista prima dello scatto alla bottiglia, o della partenza della #wineporn  diretta su Instagram) vengono invitati a dei tour dai Consorzi e dalle cantine.

Niente da fare, la strada è ancora lunga e in salita, e poco importa se si prediligono i tacchi alle ballerine: sono entrambe scarpe scomode.

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Sara Boriosi

Vivo come un’estranea nella provincia denuclearizzata, precisamente a Perugia. Bevitrice regressiva, il mio cuore appartiene al Carso. Dotata di una vena grottesca con la quale osservo il mondo, più dei vini mi piace scrivere delle persone che ci finiscono dentro; lo faccio nel mio blog Rosso di Sara ma soprattutto per Intravino. Gestisco con godimento la migliore enoteca della città, ma lo faccio piena di sensi di colpa.

9 Commenti

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Chiara

circa 5 anni fa - Link

Arriverà l'era delle "Bene Gesserit" ma io probabilmente sarò già morta... probabilmente degorgiata. Però grazie per questo nuovo amaro scorcio di consapevolezza.

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Fabio Zanzucchi

circa 5 anni fa - Link

Fatta una prima scrematura, in modo da togliere gli scritti che non passerebbero nemmeno all'esame di 5a elementare, nella mia statistica mi pare che le signore scrivano meglio e vadano più al sodo. Alle volte anche più divertenti. Mi auguro solo che ne nascano molte altre. Certo a me piacciono le donne, e questo potrebbe avere un riflesso sul mio giudizio.

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Manuel

circa 5 anni fa - Link

Per me il problema è che la scrittura gentile è difficilmente egoista, e , quando lo è, lo è spesso accompagnata da un sottile velo di reazione isterica. Ne nascono scritti che invece che raccontare vogliono dimostrare. Risultato: noia, sedativo, punto di domanda nascente su autenticità vs googollata. Chiaro che il problema non è solo di una metà, ma quel malcelato tentativo di ottenere una parità di giudizio attraverso la forzatura della overperformance ottiene spesso il contrario. Così la naturale derisione la si classifica come maschilismo e si giustifica la mancanza di originalità. Ma credo che il problema vada oltre lo scrivere di una passione

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Nelle Nuvole

circa 5 anni fa - Link

Questo post ha provocato qualche sussulto in altra sede, quella social per eccellenza relativamente alla generazione X. e pure a molti Baby Boomers non ancora totalmente ammuffiti. Dei vari sussulti il più interessanti per me è quello riferito al testo riportato da Sara in fondo a questo post. Un testo più che altro deprimente, nel senso che vuole essere spiritoso ed ironico citando come cliché eno-femminile donne molto protagoniste su Instagram e poco professionali riguardo alla loro reale conoscenza e capacità. Un testo difeso dal suo autore e da altri come, appunto, benevola presa in giro di alcune "gentil donzelle" malate di protagonismo estetico. Beh, non fa ridere. Così come non farebbe ridere e verrebbe pesantemente criticato un equivalente maschile del tipo "Giornalisti e winewriter (nella categoria rientrano ormai anche i cortesi maschietti che necessitano una lucidatina ai loro tatuaggi prima dello scatto alla bottiglia o della wine wanker diretta su Instagram)

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amadio ruggeri

circa 5 anni fa - Link

Sacrosantissime parole. Brava.

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Denis Mazzucato

circa 5 anni fa - Link

Scatti l'operazione articolo di intravino alla cieca, come li vini, fatti su nella stagnola!

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Fiorenzo Sartore

circa 5 anni fa - Link

mica male come idea :D

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Josè Pellegrini

circa 5 anni fa - Link

Finché continueremo a chiederci se sia meglio lui o lei non saremo mai noi. (Lo sapete vero che sono la Josè.non il Josè, come tale battezzata e iscritta all'anagrafe . No, non è un sostitutivo e nemmeno un diminutivo... )

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Gigi

circa 5 anni fa - Link

Brava Jose', secondo me hai toccato il punto giusto. Dinentichiamoci quote rosa e stereotipi e leggiamo quel che viene scritto e basta. Pregiudizi vogliono che le donne siano più preparate, più sensibili al naso/palato e meno ironiche/imprevedibili. Possibile, ma esistono infinite eccezioni (vedi Sara..)

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