Azurmendi, il food-lab di Eneko Atxa

Azurmendi, il food-lab di Eneko Atxa

di Angela Mion

Sabato 10/08/2019 ore 21.00 – Bilbao – Ristorante Azurmendi, tre stelle michelin dal 2012, chef Eneko Atxa, classe 1977.
Il ristorante ha circa 70 dipendenti tra cucina, sala e gestione, non usa frigoriferi e congelatori, si serve di quanto produce e/o approvvigiona da produttori locali. La carta dei vini è indiscussamente patriottica, per il resto non è ampia né profonda (scordatevi la bibbia) tuttavia non manca nulla.

Ricordo un pomeriggio di circa 10 anni fa, estate, ero in vacanza, pioveva e vedo alla tv un documentario dove raccontavano del già non inosservato Azurmendi: mi colpì la struttura, questo giovane chef talentuoso, poi ho sempre pensato che prima o poi ci sarei andata. L’occasione è arrivata quest’estate, niente vacanze lunghe, quindi perché non farne una breve e concentrata? Detto fatto.

Non amo scrivere recensioni liturgiche. Sono come le cartoline dei paesaggi: c’è sempre qualcuno che scatta quella foto meglio di te (questo me lo diceva mia mamma quando da ragazzina con la macchinetta col rullino ci fotografava in tutte le pose ma di paesaggi manco l’ombra, perché?…bastava comprare una cartolina!).

Azurmendi è leggermente fuori Bilbao e onestamente per non guastare la percezione dell’esperienza non ho letto granché del ristorante prima. Sono andata così: una mappa per arrivarci, giorno e ora – e quel documentario di molti anni fa.

Il posto è imponente. Un cubo di vetro e legno, un edificio contemporaneo che mi ricorda molto l’architettura nordica, la montagna e al primo colpo d’occhio quando entri la foresta: la prima sensazione è la libertà.

Sono due o forse tre le opzioni che ho nell’impostare questo scritto: 1. snocciolo in fila indiana piatti vini servizio conclusioni; 2. raccolgo i pezzi della mia serata, li leggo e confronto con recensioni poco omogenee di persone sconosciute (uso di proposito TripAdvisor e non recensioni di esperti perché è curioso capire come i membri di tale community recepiscono questi ingranaggi culinari). Penso cadrò nella via di mezzo.

Premessa.
Come funziona Azurmendi: arrivi e non ti siedi al tavolo.

Atto primo.
La serata si svolge in maniera piuttosto inconsueta: l’obiettivo probabilmente non è farti sentire a casa, ma farti sentire bene in un’esperienza unica. L’aperitivo e alcune portate di antipasto sono in giro per l’edificio: una valigetta da picnic con i primi 4 assaggi appena entri con un calice di txacoli (vino dei Paesi Baschi prodotto dalla loro azienda vitivinicola; fresco, acido, nervoso e sempliciotto), in questo immenso atrio pieno di piante. Poi si va in cucina per altri due assaggi: uno, il famoso Uovo al Tartufo fatto al momento (in diretta bucano un tuorlo, con una siringa ne prelevano una parte e iniettano del liquido al tartufo) da mangiare in un solo boccone – non mi sono commossa; poi si passa alla serra – greenhouse – con altri tre percorsi e assaggi: uno è un bonbon alla rosa – Rose Kaipiritxa – nascosto in un piccolo giardino di bonsai e rose ed era buonissimo; un’altra una barchetta origami fatta di alga, grande un pollice, con un infusione molto concentrata di cozze (qui l’occhio batte il palato).

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Lebellesebastien Più esperienza.. che qualità”
Lo chef è un maestro della performance che inizia in una sala di attesa dove vi sarà dedicata una persona per iniziare il percorso degustativo con un calice iniziale per proseguire in cucina e continuare in una sala eco per spiegarvi le tradizioni culinarie basche. Tutto molto scenografico ed interessante, ancor più perché vi è dedicato uno stagista della vostra lingua. Anche i primi piatti sono veramente di alto livello, ma progressivamente perdono mordente, soprattutto quando si arriva ai dolci. (..) (TripAdvisor)

Atto secondo.
Per un attimo ho pensato che la cena potesse proseguire con una caccia al tesoro nel bosco – sarebbe stato interessante. E invece dalla greenhouse la porta si è aperta su una grande sala: tavoli rotondi, una lunga vetrata, luci soffuse e rilassanti, una cucina cosmica nel mezzo a vista. Ogni tavolo rotondo perfetto essenziale guarda la vetrata: di giorno vedi il panorama, di sera ti ci vedi te.

La scelta quindi tra due menù: quello storico Erroak (radici in basco) e Adarrak (rami), le nuove creazioni; io ho scelto l’innovazione, i rami, col secondo. Non ci do molto peso ma probabilmente tra una settimana non ricorderò un solo piatto di tutti quelli che ho mangiato, probabilmente fa parte del gioco.

Pasquale P387 Chiaro/Scuro”
La location è bella con personale di ottimo livello. Gli antipasti ed i vini sono stati all’altezza del nome.Mentre i piatti della cena molto scenografici e troppo elaborati. Per quest’ultimo nel tentativo di stupire ha lasciato poco spazio al gusto. Troppe salsine tutte uguali.
È scivolato sul piccione poco cotto ”praticamente al sangue”
(TripAdvisor)

Adarrak – Rami.
Piatti elaborati, studiati, curati nei minimi dettagli e particolari; gusti forti, concentrazioni di sapori e spesso non siamo semplicemente abituati al gusto delle cose; materia prima di indiscussa qualità.
Cotture tutte perfette, nessun piccione per una volta nel mio menù, tante laccature, affumicature, riduzioni, tanti fiori e poche acidità.
Quasi un eccesso di zelo.
Nessuna rivisitazione. Disarmante L’ostrica, oliva e olio d’oliva, perfetta la triglia in entrambe le versioni. Scordiamoci l’Italia o la Francia o la Spagna in questo viaggio culinario. Le portate sono creazioni a sé, gli ingredienti sono davvero molti e la presentazione, spesso fatta di composizioni al tavolo, gioca un ruolo molto importante se non essenziale. I piatti sono bellissimi. Come se il menù seguisse una logica esperienziale.

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TBU85Esperienza fantastica”
Tutto perfetto dall’inizio alla fine! Accoglienza e servizio eccellenti, cibi presentati perfettamente e con gusti sconvolgenti. Fortemente consigliato! (TripAdvisor)

gregless86  “A delight”
A beautiful evening of playful whimsy and flavors that will bowl you over with an impressive mix of intensity and restraint. A true experience (TripAdvisor)

Le persone: lato antropico – servizio.
Lo chef è conosciuto per l’occhio di riguardo verso i suoi collaboratori e per la qualità del lavoro. Ho visto tanti ragazzi giovani, in verità a pensarci c’erano solo giovani: preparati, sicuramente per la mansione che avevano. Non mancavano due fattori essenziali: gentilezza e sorriso.

L’unica pecca? tutti lì dentro viaggiano con un orologio al polso. Ogni ospite deve seguire lo stesso percorso: welcome picnic – kitchen – greenhouse – sala, tic-tac – se ti fermi troppo a guardarti attorno blocchi quelli che vengono dopo! Già. Mi sono sentita come Magda alle prese col pignolo marito Furio che contava i secondi della tabella di marcia… (Bianco, rosso e Verdone).

Credo facciano tre turni al giorno, sempre stesso identico schema, percorso, orologio. Non proseguo lascio intendere. Spero cambino spesso menù…

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848brunos  Une expérience exceptionnelle”
Et si malgré la succession de plats tous plus goûteux les uns que les autres vous dites avec humour: «j’ai encore faim»!! On vous répond avec le sourire «on peut vous faire autre chose ou une salade…»

Service décontracté souriant, sommelier très cultivé, directeur présent et maniant humour et gentillesse, bon courez chez Azurmendi
Une expérience unique. (TripAdvisor)

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Atto terzo.
Il vino. Adarrak – I rami – sarebbero spogli senza il vino. Apriamo il mio capitolo preferito.

Devo dire che se i piatti non me li ricorderò a lungo quello che ho bevuto anche sì. Come capita nelle serate migliori a fine cena avevo più calici sul tavolo io di mezzo ristorante. Mi sono divertita.

Il sommelier di sala è un ragazzo piuttosto giovane e in gamba: Bernat Voraviu. Tempo zero ha capito che forse più della forchetta mi appassionava il calice. Gli ho chiesto espressamente un occhio di riguardo verso la Spagna, nella quale fatico ad orientarmi e conosco poco, ci mancava gli dicessi che mi piacciono acidità, sidro e vermut, la risposta è stata: stasera ci divertiamo.

Credo di aver sicuramente ammortizzato il forfait dell’abbinamento dei vini coi piatti.

Mi dice subito di stare tranquilla che la degustazione non è uguale per tutti (avevo molti volti con sembianze astemie e composte attorno a me). La mia è stata tosta e per la maggiore alla cieca.

Niente di scolastico, spesso doppi abbinamenti coi piatti e non solo vino.

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Nessuna bolla, solo un sakè – Dassai sparkling 50 – che forse è stato l’unico sasso nella scarpa: bianco torbido, al naso riso fermentato e cocco, in bocca molto intenso, quell’intensità del sakè che io non amo e trovo a tratti stucchevole, giudizio soggettivo. In realtà la sua texture si sposava piuttosto bene con un piatto complesso, composto al tavolo: la melanzana arrostita al cartoccio con un affumicato forte, acciuga del Cantabrico, caviale Beluga (la mia prima volta), e un brodo (consistenza densa) di ceci a finire – brodo che era un dipiù.

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Qui è arrivato anche un secondo abbinamento con uno Sherry amontillado strepitoso di Bodegas Tradicion0-Jerez, un vino profondo della sua solera e dei suoi anni, d’oro e ambra, potenza, intensità, eleganza, freschezza, sapidità. Potrei scrivere una pagina.

Sul mio tavolo sono poi passati un Meursault 1er cru “Les Genevrières” 2007 Domaine Henri Boillot; un fantastico Mirabràs bianco (Manzanilla – Sanlucar de Barrameda) un progetto sperimentale di Bodegas Barbadillo, da vecchie vigne di palomino, 2.000 bottiglie, il sommelier mi dice che ha fatto quattro anni di flor.

Con agnello e maiale iberico un tempranillo, granato ancora vivace al naso e in bocca: Viña Ardanza 1982 Rioja Reserva – da perdersi nei suoi pensieri.

Ho visto pure un rosè: una bottiglia direi non di pregio ma da bere. Curiosa la sua presentazione: “voi in Italia avete Arianna Occhipinti, noi Lucia” – così col sorriso mi ha fatto assaggiare il Dido rosat 2016 “La solucio’ rosa” de Venus La Universal – grenache.

Ho omesso un paio di altri calici altrimenti qualcuno potrebbe pensare che ho qualche problema serio. Il finire è stato doppio ed ovviamente una morte felice: un sidro, per la precisione un ice sidro, del quale non aggiungo altro perché mi si è aperto un mondo e ne scriverò a parte un post meritato ed ovviamente un vermut, meraviglia che in Spagna assieme al gin tonic è bevuto a tutte le ore del giorno. Il vermut che ha chiuso le danze è una riserva, cadeva quasi denso nel bicchiere, Jerez reserva especial – Collecciòn Roberto Amillo bodegas Altanza: liscio, liquirizia e spezie dolci su un finale leggermente amaricante e lunghissimo.

E vissero tutti felici e contenti.

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Angela Mion

Veneta, classe 1981, studi giuridici e azienda di famiglia. La svolta cubista arriva quando ormai maggiorenne incontra il vino: Sommelier, Master Alma-Ais ed altre cose in pentola. “Vin, avec toi on fait le tour du monde sans bouger de la table”. Bucolica e un po' fuori schema con la passione per la penna, il vino, il mondo e la corsa. L’attimo migliore? Quello sospeso fra la sobrietà e l’ebbrezza.

4 Commenti

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Siro

circa 5 anni fa - Link

...io arrivo al ristorante e vorrei sedermi..non si sta un po’ esagerando?

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Davide Bruni

circa 5 anni fa - Link

Oh, ma quanto bevi?? Si vede che sei veneta !!! Viva la polenta col baccalà !! Azurmedi, con quello che guadagni dovresti tranquillizzarti un po' ... Che il food-lab non diventi Milan-lab, per Dio!! Sempre forza Inter 🐍

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Ciccio

circa 5 anni fa - Link

Si ma il costo?

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Angela

circa 5 anni fa - Link

Salve, il menù costa 220 euro. Sicuramente discutibile. Non ci si va certamente tutti i giorni.

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